“Pianeta Tibet” di Stefano Dallari: il frutto è sempre l’espressione della radice?
Etimologicamente, il pianeta è quel che, planando va errando, dove non si sa, se non si calcola. A volte i calcoli sono azzardati e problematici.
Il primo regalo che mi offre l’autore è l’avere affidato l’Introduzione al suo reportage Pianeta Tibet a Fosco Maraini, una cui opera vasta e misteriosa giaceva da anni su uno scaffale della mia libreria. Lo stesso giorno in cui ho cominciato a leggere questo libro di Stefano Dallari, mi sono gettato a pesce sulla strana autobiografia in terza persona di Fosco. Le due letture da giorni stanno scorrendo parallele e, pur essendo di dimensioni diverse, per qualche miracolo esistenziale, si concluderanno quasi all’unisono. Il tempo, a quanto pare, è un’illusione benedetta da Non So Chi.
Scrive Fosco: “Sul Tibet si può scrivere con la testa. Sul Tibet si può scrivere col cuore. Questo è un libro scritto col cuore.”
Il cuore e la testa, se non sono collegati, possono recare con sé i germi della morte. Speriamo il bene.
Il primo capitolo parla del Tibet: Anima del Mondo.
Scrive Stefano:
“Ho seguito quel pastore fino a…” – etc.
“Ho pianto per l’uomo che in un attimo…” – etc.
“Ho pianto per l’uomo che nel nome di…” – etc.
“Ho pianto per la mia…” – etc.
E termina al momento il suo dire così: “Per illuminare il cammino di tutti, per indicare la luce, per non rendere le tenebre le sole protagoniste dell’esistenza. A quel semplice pastore, a tutti i testimoni della luce, dedico questo…” – etc.
I seguenti due capitoli sono dedicati agli orrori imperialisti di un popolo quasi infinito perpetrati su uno, al suo confronto, quasi infinitesimale, oggi ridotto all’osso, ma non per questo meno grande. E viene da pensare a come funziona la macchina della storia, per cui Cesare che disse Veni, vidi, vici, è definito il più geniale fra i dittatori, ingiustamente ammazzato da chi ne temeva l’irrimediabile arroganza. E Vercingetorige, allora, chi sarebbe? Una vittima di un imperialismo che non gli consentì di essere un carnefice? Quien sabe?, direbbe Tex Willer.
Poi l’autore parla de Il popolo più felice della terra. Quale può essere l’unità di misura? E io che credevo che fossero, o che almeno una volta fossero, i Pigmei! Il capitolo termina con tale consapevolezza: “Dormo con il popolo più felice della terra.”
Cos’è Il Buddismo? È un quid “che non si è mai imposto sulle altre religioni, proprio perché ritiene inutile e dannoso volere forzare qualcuno ad illuminarsi.” – svariati anni fa lessi il romanzo di Mipam, e provai tutt’altra impressione. E ci scrissi su qualcosa. Forse quel papiello è allocato in qualche meandro del solaio. L’uomo, diceva la Christie, è uguale dappertutto ma, penso io, in taluni luoghi potrebbe esserlo più che altrove. Forse Stefano pensa a quell’altrove.
“… la loro non è né la fede né la preghiera intesa in senso religioso classico. Il singolo stabilisce il rapporto prioritario sempre con se stesso.” – e il resto, dove sta in quell’attimo?
Stefano parla con fede di reincarnazione, ma anche di ignoranza: “Non lo so” pare abbia risposto il Buddha a chi gli aveva chiesto di quel Tale, di Dio.
“La verità non ha mai paura della verifica, anzi la cerca.” – come se fosse la risposta a un’ipotesi scientifica? Una teoria falsificabile? Un dato assoluto o relativo? Un dato? Da chi? chi è il Dante?
“… un Dio indimostrabile può giustificare la sopraffazione, la sconfitta perpetua del più debole, guerre e violenze senza fine.” – anche l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam, l’Induismo?
“La via della preghiera incessante” – debilitante o rassodante? – è “quella che invita l’uomo a spingersi dentro se stesso per capire che l’esistenza terrena è sofferenza, ma che la luce illumina ogni ombra, fino alla completa illuminazione.” – l’ombra potrà mai rinfrescare quel flusso di luce?
Un buddista ammaestra l’autore, dicendogli: “Aiuta gli altri.”
Ignoro quanto vi sia di verosimile in questa frase: “In Tibet questa meta è stata raggiunta.”
Tre “ho visto…” e un “ho letto…” rallegrano pagina 48, mentre io posso solo dire, al momento, che ho letto, senza vedere null’altro che parole, scrutando pensieri altrui, non ancora miei.
Si parla ora di Karma e Reincarnazione. L’intera faccenda mi ricorda il DNA. Un’illuminata anziana (affetta a un certo punto della sua lunga vita da una forma di Alzheimer) disse una volta: i geni non mentono, intendendo quelli ereditari. Ognuno è quel che è stato fatto diventare dalla Natura. Un po’ può cambiare, non tanto, e a volte gli servirà ad adattarsi agli eventi. A volte lo porterà a una fine prematura.
A pagina 57 leggo della necessità di “credere al Karma” e di “credere nel Karma”. E che, in assenza di “un Dio che regola il mondo”, in questo cosmo pur così scosceso, “tutto dipende da noi, solo da noi.”
Il che mi fa pensare dapprima al Fato deciso da Chissà Chi, a cui anche gli Dei non possono che piegarsi, poi al Destino che ci permette di de-stinare da qui a là, nonostante o forse insieme, al resto del cosmo. Sarebbe questo il libero arbitrio che sfugge a ogni sorta totalizzante di pre-destinazione?
“… l’individuo è ‘costretto’ a nascere in quel momento” – costretto da che, da Chi? La domanda è unicamente religiosa?
“I tibetani si chiedono costantemente il perché delle cose, non si fermano alla superficie, pongono ogni circostanza in relazione con le altre e indagano sempre su quale sia stata la causa primitiva di ogni fenomeno.” – mi viene il dubbio di essere oriundo di gente analoga, originario da luoghi simili.
“L’individuo dunque diventa autosufficiente psicologicamente…” – e questo mi accade quando percorro l’autostrada da solo. Talvolta sono rimasto a piedi e ho chiamato l’ACI.
“Infatti l’ereditare i propri meriti estende il nostro cammino oltre la soglia di una singola esistenza, redime ogni passato e ci abitua non solo a vedere, ma a prevedere, a seminare per un futuro che sarà comunque nostro.” – mio e di chi? Redimere quale colpa? Forse ereditata da una delle 498 (o 1.754, o 12.356, o 123.444) generazioni che mi hanno preceduto? A partire dall’ameba? O da prima ancora?
“Ognuno è infatti genitore e figlio di se stesso ed ogni attimo condensa in sé il passato ed è la premessa del futuro.” – e quell’attimo dove si può mantenere, con tutto il suo ben di dio?
Il prossimo capitolo riguarda Il Dalai Lama, l’Oceano di Saggezza. Davanti a tante maiuscole mi sento un minuscolo stefano pioli.
“Ogni suo gesto, ogni parola, ogni momento della sua esistenza è ispirato dall’amore verso gli esseri umani…” – e allora ti chiedo, mio omonimo, se egli non gioisca talvolta nell’essere solo. A me succede di sovente.
“Cambiare religione – ama ripetere – è tempo perso, bisogna cambiare noi stessi…” – mi capita talvolta di cambiare ignoranza, variare la forma di diffidenza, scegliere su cosa non confidare.
Come vorrei che Padre Aldo Bergamaschi, che con la sua saggezza mi proibì, senza manco conoscermi, di disertare la sua messa (un suo mezzo miracolo, mai riconosciuto daa alcuno, ma che io ho sentito dentro la mia pelle), a me, che non credevo di credere in alcunché, e quel Dalai che tu tanto stimi, si fossero conosciuti! Aldo diceva che il Cristianesimo era scaduto al rango di religione, scordando di essere esperienza d’amore. Credo che il Dalai avrebbe annuito sorridendo.
“È l’uomo dell’unione, della sintesi…” – e non anche del distacco? Metà del mondo si separa puntando all’entropia e metà tende a convergere verso l’attrazione dei corpi. Una metà ha torto, l’altra invece ha la verità incorporata?
“L’Occidente deve considerare il pianeta come un tutt’uno…” – non dentro di sì, ma insieme a lui – “La spiritualità dell’Oriente deve incontrarsi con la ricchezza tecnologica dell’Occidente ed operare una sintesi.” Mia nonna Linda Zuelli direbbe: Magara!
“… un santo di una religione è molto simile al santo di un’altra…” – tra córer e scapêr, ove in dialetto la coniugazione è identica, come anche il senso: scomparire verso l’Altrove.
“È anche vero, peraltro, che certe volte la religione viene usata per creare discordie: questo è uno degli sconsiderati atteggiamenti del genere umano.” – re-ligio è scelta, oltre che legame. E ognuno sceglie il legame con cui proteggere la propria insicurezza.
“… anche se si segue una strada diversa, alla fine si arriva sempre alla necessità di base di dare amore a tutti gli altri.” – che siamo noi oppure no? Occorre decidersi!
“… se riusciremo a fare questo, allora l’alba del ventunesimo secolo potrà mostrarsi con un mondo completamente demilitarizzato.” – da Magara! in poi, è una parte del discorso, riportato da Stefano, del capo di stato più sorridente della storia.
Stefano scrive ora che la politica “diventa lo strumento indispensabile per realizzare l’ideale religioso.” Poi si fa delle domande banalmente intelligenti, del tipo: ma siamo sicuri che il nostro politico medio sia motivato a scendere in piazza, magari strepitando, dico io, per amore dell’uomo che non sia lui medesimo?
Il libro è del 1993, e non credo che trent’anni dopo sia cambiato granché: la risposta è la medesima, poiché “il frutto è sempre l’espressione della radice.” – di chi ti ha preceduto.
“… il Dalai Lama è la dimostrazione più alta che l’illuminazione, nella concezione buddista tibetana, non è un fatto privato, singolo, ma una meta messa a disposizione dell’intera comunità degli esseri umani.” – politici inclusi?
“Inoltre la figura dell’Oceano di Saggezza, così vuole dire Dalai Lama, posta al vertice politico non crea soltanto…” – ma anche “… una base sociale che…”.
Da noi occidentali si dice “che la violenza è dentro l’uomo, inseparabile, quindi insopprimibile” – cioè bestiale come soltanto è la bestia che è in lui.
“Senza fede nell’uomo non si può essere non violenti…” – e questo è tutto da dimostrare, o forse basta la Fede?
“È l’ideale estremo della compassione che non vede nemici, ma solo esseri da aiutare, da amare, che trasforma il nemico in Maestro per vivificare la compassione e mettere alla prova l’amore universale: chiave per la pacificazione mondiale.” – e forse non è che un’illusione, come lo è, dicono fisici come Barbour e Rovelli, il tempo; ma perché non utilizzare questa splendente allegoria rinunciando a sprecare le risorse in armi, in assurde distruzioni e in successive penose ricostruzioni? A volte una finzione può aiutare a comprendere la verità. A volte la finzione funziona!
“Basta entrare in una casa tibetana o sotto la tenda di un nomade… ecco che si respira quel senso di straordinario calore umano che rende immediato l’abbandono, rende spontanea la fiducia, cancella le distanze e le differenze.” – quel che ci rende stranieri e non consanguinei.
“… e in Tibet la non violenza la si insegna dappertutto, nelle scuole, nelle case, la si respira dappertutto, è il fulcro dell’educazione, la colonna della vita sociale.” – volendo provocare: è davvero politica.
Lama è monaco e nulla più. Chiunque può diventarlo e cessare d’esserlo senza drammi, ed “è un voto che si rinnova ogni giorno con il concetto di impermanenza di goni fenomeno perno della dottrina buddista.”
Perché non si bruciano o si seppelliscono i cadaveri? Perché possano servire da cibo alle sorelle bestie, come le chiamava più o meno San Francesco. Del porco e dell’uomo, anche del Lama, non si deve buttare via nulla, “perché all’infinito vuoto appartiene ogni forma.” – tutto è energia che si rinnova!
“… perché all’infinito vuoto appartiene ogni forma…” – una frase così, scritta sul finire del capitolo 13, mi fa pensare. I fisici non credono al vuoto, in quanto, dicono, brulica di infiniti conati d’esistenza, le particelle virtuali che aiutano quelle reali a esistere, certi bosoni che ce la mettono tutta a soffiare dentro di esse la loro provvidenziale energia (sono detti le particelle di Dio), tutte cause ed effetti del medesimo e variegato cosmo. Quello sciamante vuoto esiste come ente in cui tutto questo pare aver origine. Se do un pugno al tavolo, i due oggetti non entrano in contatto, ma è la forza elettromagnetica che illude della sostanza, per cui rischio una frattura. Bohr scrisse che la particella ottiene il suo spazio-tempo allorché la si osserva, mentre, diversamente, è pura onda energetica. Sono tutte fantasie? Fraintendimenti? Logiche illusorie?
“… in Tibet non tutti i monaci erano santi uomini e la storia racconta di lotte tra le diverse sette per sete di potere, ma, alla base, il rapporto tra i tibetani e i ministri della loro religione era ottimo.” – in Mipam, di cui già dissi, m’inquietò quell’incessante turbinio di conflitti che sconvolgeva quel paese che nella mia mente era immaginato, fino a quella lettura, un luogo di quiete. Questo Stefano sta cercando di descrivere col suo libro, che non è un saggio, non è forse nemmeno un reportage, anzi, è sia un saggio che un reportage, in quanto tali definizioni possono aiutare a capire, anche se è solo leggendolo che si può tentare di scoprire il motivo per cui un determinato libro è stato scritto.
E il mio è un reportage di un reportage, manchevole come dev’essere, in quanto ignora, per esempio, di Tashi il sacro artista, così altrimenti essenziale. Ma ne parli tu, ergo, occore soltanto leggerti.
“… essere degno di dare…” – come se fosse un privilegio che la vita ti sta elargendo e, se lo guardi, magari rigirandolo, è proprio così. Si dà in quanto si ha. E si è ben disposto a dare.
“Ogni tibetano è diventato un monastero, tabernacolo, Buddha” – e ancora: “Ogni tibetano è diventato un bodhsattva, un profeta per se stesso, il suo paese, l’intera umanità.” – il quale, facendosi avanti, dice quello che sente, che sa.
“La religiosità ha bisogno di intermediari, di riti, per arrivare al divino…” – è legame, catena amorosa, passione, è kam’a? Mircea Eliade definiva il sacro come il punto di incontro fra l’uomo e l’ineffabile.
“… la religiosità è invece il rapporto diretto col trascendente, senza pareti, senza sacerdoti…” – è libera scelta di vedere quel che nella costrizione è negato. Interessante quell’invece. Forse che il “buddista, senza Dio”, possa indurre a liberare l’anima da quei pur affettuosi cordami?
Per il Dalai Lama, la pace “comincia da te, qui, oggi, dal tuo cuore e dalle tue mani, dalla tua comprensione, dal tuo essere di aiuto a tutti…” – senza appartenere ad alcuno?
Stefano butta l’occhio su una scritta pubblicitaria: “We are all Connected” – entangled? Correlati come quelle due particelle che, una volta che sono venute a contatto, rimangono appesa l’una al destino dell’altra? D’ora in poi non più libere, allora? È questo, forse, il mistero? Forse: fors sit, sia la sorte!
“Richard Gere si solleva il lembo dei calzoni nocciola e scopre alla luce delle lampade un polpaccio martoriato dalle zanzare.” – le quali non hanno bisogno di autografi, ma di sangue fresco! Questa sorta di dittera democrazia fa meditare sia Stefano scrittore che Stefano lettore.
“… Votigno, un borgo medioevale sulle colline reggiane a un tiro di schippo dal celebre castello di Canossa…” – e, parlando di armi, anche da quella miuscola Pecorile in cui le Br decisero la lotta armata. Convergenti colline, divergenti idee.
Feci un salto in quella Casa del Tibet, con l’intera famiglia nel 2006. Si sostò una mezz’oretta sotto l’acqua, fermi in un parcheggio un po’ fuori dal paese. Quando spiovve, visitammo l’antico borgo. C’era molta gente per una conferenza tenuta da una tibetana di una cinquantina d’anni, che appena intravedemmo. Dopo un po’ ce ne andammo. Ma presto ci tornerò. Ma a volte può esprimere un sogno.
Il piccolo Sarsang è, dicono, un reincarnato molto mal messo, con “la sua lingua attaccata al pavimento della bocca da un frenulo corto” – e tu, Stefano, lo aiuti a risolvere quel problema che gli impedisce di parlare: “… e penso a quanta gioia, quanta speranza, quanta inestimabile riconoscenza, sono sbocciate da una piccola scheggia di scienza.” – ed è come se avessi liberato me, non so perché mi venga da dire questo, ma è così: “Aiutiamo i tibetani a sorridere.” – anche quelli di Gavassa e di Massenzatico, mi raccomando! E non scordiamoci quelli di Rivalta!
“Non sono, e lo ripeto, un buddista praticante, ho sempre fatto fatica a lasciarmi irretire dalle grandi cattedrali e anche i grani monasteri tibetani mi attraggono solo in parte.” – io del resto, caro amico, marinavo sia la scuola che la messa dei Cappuccini, in via Bonini, la cui chiesa era salvificamente fuori mano e i miei non venivano fin là a controllare la mia devozione. Un giorno, per caso, entrato così per perdere del tempo, udii una mezza omelia (essendo giunto che era già iniziata) di Padre Aldo Bergamaschi… di cui un giorno, o forse nel prossimo capoverso ancora ti dirò. Io sono un ignorante di dio, con o senza maiuscola, che non so nemmeno se Lui sa se ce l’ha. Quando incontrai Aldo poco prima che ci lasciasse per Chissà Dove sentii dentro di me che anche lui non sapeva di essere certo di sapere. Rimase un po’ spiaciuto quando gli dissi che non ero credente. Ma so che mi comprese. Ne sono quasi certo. E mi regalò un libro. Non voleva la miseria che gli offrì, ma poi la prese, per i suoi poveri. Gli chiesi se li avesse forse finiti. Mi disse di no.
“… la visione buddista che non nega la ricchezza” – è come il messaggio evangelico: beati i poveri nello spirito! Quelli che hanno i soldi e li usano per essere giusti! O meno sbagliati, se preferisci, tanto è lo stesso.
“… il buddismo non è mai contro le scienze, anzi esige la sperimentazione, la ritiene necessaria nella vita di tutti i giorni, nelle piccole e nelle grandi cose” – la scienza è perenne falsificazione, scelta kierkegaardiana, Enten–Eller, ed “è sempre il risultato concreto quello che conta”.
Amico Stefano, elenchi una serie di definizioni del buddismo che non riporto, per non macchiarle con delle mie fallaci interpretazioni. A chi ti ringrazia per le “medicine”, tu rispondi: “grazie a voi: siete voi la medicina del mondo…” – ed è quanto io amo dire a ogni autore che vado leggendo.
“L’olocausto tibetano, l’esodo di dolore e di luce, ha sparso le scintille della loro illuminazione ovunque.”
Ho appena afferrato un’altra perla iridescente: “Accolgo l’universo, l’universo mi accoglie.” – ed è come nel coito. Iago disse che quei due che facevano l’amore parevano un’unica bestia con due schiene. E non aveva tutti i torti. La bestia è l’animale condannato alla lotta nell’arena della vita. L’’uomo, si dice, è invece un animale. Qui vale ancora il detto: fra correre e scappare… Chi dei due esseri è collegato all’amore? Entrambi, è ovvio! E questo vale per tutto, lo sento!
Ed è così bello riunirsi con l’Altro perché sarà ogni volta bello uscirne, per poter finalmente tornare a rincorrere i propri guai. Gli altri siamo noi, canta Umberto Tozzi, con passione amorosa.
Bestia e uomo sei tu “monaco comune (trapa) della setta del Berretto Giallo (Gelup-pa) nel tempio abbandonato della fortezza, a Gyantse” a “Tibet, Gyantse”, che se la rida allegramente, e siete voi due adolescenti, sempre a Gyantse, ma potreste anche essere sulle rive del Crostolo, ben più giovani pupette, un po’ più anziane di mia mamma, entrambe quasi desnude, che si sollazzano ridenti nel 1937: due mirabili foto scattate da Fosco. Carni assai diverse, spiriti assai identici. Un popolo felice.
Nella quarta di copertina, ripresi da chissà chi, ci siete in tre, seduti su quel che pare uno strambo divano, a sinistra il fotografo “Claudio Cartelli”, al centro, Fosco e a destra tu, mio gaio omonimo, che te la sorridi.
Claudio dà l’impressione di essere un tipo capace di stare assai attento a quel film che è la vita. Fosco, pare davvero simile a quel Clé del suo romanzo. Tu hai la faccina furba e buona che già conosco, sia per averti incontrato davanti alla Gelateria K2 di Reggio Emilia, circa trent’anni fa, sia per averti visto spesso in tivù. Siete i componenti solidali di un trio felice… Da cui deduco che ho fatto bene a rintracciare il tuo libro in quello scaffale, e a leggerlo. Un giorno poi mi dirai di quella strana U maiuscola che pare un’asimmetrica cetra senza corde. A presto, caro!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Stefano Dallari, Pianeta Tibet. Dal Tibet buddista un messaggio per la salvezza dell’Umanità, Il Cerchio, 1993