“Parola, non solo parole” di don Daniele Simonazzi: ognuno di noi ha un’opera da compiere
Saprà mai un ignorante di Dio correggere sulla Parola di quell’Infinito Tale un suo Ministro (da minus, colui che è meno, minister, servo)?
No. Quindi sì. Ogni umano deve correggere il suo percorso se desidera incontrare il suo Prossimo. Il quale deve correggere il proprio se intende incontrarlo. Alla fine, tra servi, ci si intende sempre.
Di seguito alcune considerazioni delle omelie “Parola, non solo parole” di don Daniele Simonazzi.
AVVENTO
Marco 13, 33-37: “… la legge Bossi-Fini è iniqua…” – Dio non lo è, mi auguro. Equo significa uguale verso le parti. Chi vive nel mondo è in un equilibrio precario. Ognuno, come canta Vasco, sta a rincorrere i suoi guai, fregandosene di quelli degli altri. Almeno fino a che una luce non gli appare.
“Quanto più la nostra comunità è una comunità che si sa mettere in viaggio, andando verso la gente e non aspettandola, tanto più della nostra comunità si potrà dire che aspetta il Signore.” – gens è la stirpe che eredita la ricchezza del Padre, occorre ora vedere chi sia quel Padre da cui potremo aspettarci l’eredità.
“L’opera da compiere è quella della Pasqua, quella della Risurrezione, quella di far risorgere le persone” – a quanto pare Cristo è risorto, e noi stiamo un po’ attardandoci prima di partire per il viaggio che ci condurrà a Lui.
“Ognuno di noi ha un’opera da compiere.” – seguire il suo Destino, cioè entrare nel Destino collettivo, dicendo ognuno la sua che, qualora assomigli alla Sua, è fatta. Non facile, però.
Giovanni 1, 6-8: “… prima di essere noi a raccontare di noi stessi deve essere il Vangelo a parlare di noi” – lo può fare solo un uomo ispirato da un Dio che si è fatto uomo, per potergli comunicare un messaggio in una lingua che quello è in grado di capire.
“… come lui non c’è mai stato nessuno e come lui non ci sarà mai più nessuno.” – e questo, che vale per l’uomo, figuriamoci per il suo Inventore.
“Io ti ho, se ti servo…” – se, servendoti, inizio a rassomigliarti. Una frase quasi hegeliana. Qui però il servo non vuole spadroneggiare, ma imparare a servire per il meglio di sé (e degli altri), imitando il padrone.
Luca 1, 26-38: “… il suo regno non avrà fine” – il cosmo, dicono i fisici, è illimitato, non è finito, ma è in perenne espansione, è ex-agerato, nel senso che esce continuamente dai propri argini.
“Se Maria è turbata, Dio non lo è da meno…” – un Dio che si confonde, che prima crea la confusione, il disordine, l’entropia, e che poi attira verso di sé, essendo una Singolarità. Chissà come finirà, se finirà.
“… Il mistero dell’incarnazione è il mistero per il quale Dio assume nel suo stesso mistero, in virtù di Gesù, quello che è ciascuno di noi. E noi, nella nostra vita, assumiamo quello che è in Lui.” – noi e Dio ci scambiamo le rispettive storie; noi dapprima ci guadagniamo. Ma sappiamo poi trarne profitto?
“L’onnipotenza di Dio consiste nella sua impotenza…” – a toglierci la nostra possibilità di errare Altrove. Ogni Altrove è Terra Sua, ma… siamo noi a scegliere la nostra location.
“Questa è la possibilità che Dio ha e questa è la possibilità che noi diamo a Dio” – lui è Tutto, noi siamo una minima parte di quel Tutto: siamo un essere omogeneo di diversa entità.
“Quanto più sei povero, tanto più sei la sua possibilità di essere una cosa sola con te.” – non avendo, sei (sei un lettore di Avere o essere di Fromm, ma non sempre sei un fruitore del suo messaggio). Siamo delle temporanee eventualità, lui è l’Eterno Evento.
“Ma se non servi a niente, il tuo servizio è puro dono” – non contaminato da un interesse che ti può asservire. Ti è essenziale, solo se non ti serve. Non è il profitto che ti serve, questo ci insegnava, Daniele, padre Aldo Bergamaschi.
La Madonna, “Dio l’ha amata gratuitamente, totalmente.”
Gv 1, 1-18: “Allora il mistero del Natale è un mistero nel quale e per il quale ci si scomoda, chiamando in causa Dio; non solo, ma tirandolo giù da dove noi l’abbiamo posto.” – a Lui non servono i baldacchini.
Daniele, fratello germano caro, parli dell’Islam, e forse dici anche cose giuste, che io non riporto.
“Cosa ce ne facciamo di un Dio così?” – di Tutto, rispondi.
Luca 2, 22-40: “Non è una famiglia chiusa, è una famiglia aperta, nel senso che è una famiglia che si lascia dire.” – non è una camarilla, né una tribù.
“… una sostanziale sottomissione.” – significa star sotto la croce: “e il compimento di tutto sarà poi la Croce.”
Un consiglio salvifico, che pare, ma non è, un’antifrasi: “Pensa di morire nel momento in cui hai incontrato il Messia.” – e da quel giorno non contare più i giorni, sei arrivato. Un’unica aspettativa permane: “di rincontrarsi”.
Ripeti, con apparente noncuranza: “… avere a che fare col Signore è avere a che fare con la nostra morte…”. E concludi, quasi serenamente: “Ora l’incontro col Cristo è tale per cui si è congedati da tutto ciò che è che rappresenta la logica del mondo.” – il che sarebbe davvero bello: finalmente avremmo scoperto l’errore e cesseremmo di errare come vagabondi del cosmo. A Rèş as dîs, di un ingrediente di una pietanza, l ē la só môrt, è la sua morte, quello che rende unico quel cibo.
Luca 2, 16-21: Daniele, a pagina 48 ripeti tante volte varie forme del verbo credere; a pagina 49 pure. È il verbo che potrebbe separarci, se non è il Verbo. Al momento io cedo alla Speranza e non alla Fede; per quanto riguarda la Carità, potremmo anche accordarci.
“… andare senza indugio…” – avere le idee chiare; io non le ho (lo avevi capito che sono un ignorante?). Avevo dieci anni e davo del tu a Dione, così lo chiamavo. Non vedevo l’ora di morire perché una suora ci aveva detto che bastava chiudere gli occhi, nell’Al di là, e ci si trovava subito a Milano (ero un fan di Rivera). Forse un giorno, ti rivedrò Dione. Perdonami, se puoi. Ho avuto dei gravi pensieri, nel frattempo.
“Dio non salva: Gesù è Dio salva” – quest’ultima, irregolare frase, tu la ripeti due volte, vuol dire che ci credi davvero.
Per me, per i miei malanni, è meglio questa medicina: “Siamo stati pensati in quanto salvati.” – tutti, o solo i più fortunati, come sta accadendo in Turchia e in Siria?
Siracide 24, 1-4, 12-16; Giovanni 1, 1-18: Ancora penso al singolo che entra nella Singolarità, per quanto cerchi di fuggirla. E non riesce a evadere dal Destino, di cui lui è l’ultima delle pulci, eppure dotata di libero arbitrio. “Non è così forte in noi come in Dio la volontà di essere come lui che condivide e si lega alla vicenda di ogni uomo” – noi siamo il suo legaccio, come lui è il nostro; e la sua elezione, la reciproca scelta. I due etimi possibili di religio. Entrambi pericolosamente fatali.
Dici che era grande “il desiderio in Dio di vivere e di cogliere la comunione con l’uomo” – Dione, quando ci vediamo ti chiederò perché tutto questo. Così dicevo, ricordi: quando sono morto mi dici dov’era Atlantide; oppure chi mi ha fregato i soldatini. Questo poi l’ho scoperto da vivo, grazie a una spiata.
“È ultimo colui che viene mandato perché dopo di lui non verrà più nessuno.” – e adesso chi glielo dice ai topi che non saranno mai gli umani di domani? Ma forse non intendi in senso spazio-temporale, ma economico, oppure spirituale: quelli che sono più in basso. I più umili? O la feccia? Dopo di cui non ci sarà più una goccia di acqua pura? Dovremmo riparlarne perché ho le idee confuse. Forse anche tu?
“Non c’è luogo, non c’è tempo, non c’è vicenda cui Dio non abbia offerto il suo Figlio: noi siamo gli uomini.” – gli unici in quanto ultimi? Gli ultimi saranno i primi e unici? Vedremo, dai.
Matteo 2, 1-12: “L’adorazione comincia nel momento in cui apriamo i nostri scrigni: un’adorazione che non prevede l’apertura degli scrigni diventa idolatria. L’idolatria non costa niente: l’adorazione secondo Dio mi porta ad aprire lo scrigno del mio cuore.” – e te, fratello germano, ormai ti conosco come colui che reitera le espressioni, e stavolta tocca allo scrigno. Significa, immagino, che sia segno di sincerità. Non penso che sia un mezzuccio da predicatore.
“Il dono dice chi è colui che dona e anche chi è colui a cui è donato. Noi sappiamo che il dono dice l’identità di colui che dona, ma anche l’identità di chi è donato”: devono essere re-inizializzati in maniera omogenea, seguire le linee del medesimo sistema informativo.
“Il dono comincia molto prima del movimento in cui lo faccio; comincia nel momento in cui lo scelgo e penso alla persona cui voglio donarlo.” – direbbe l’autrice di Harry Potter che esso contiene tanto l’horcrux del donante quanto quello del donato. Dai, don, cerca su zio Google!
Marco 1, 7-11: “… Dio ha delle vie, Dio ha dei pensieri…” – lo diceva sempre mamma, cugina germana della tua: Stefano, quando muori dovranno fare dei calcoli mica piccoli su di te, per vedere dove destinarti. Mamma non so quanto era bella, ma schietta, fin troppo. Scusa, Dio, se ti ho dato da pensare, ma un po’ di colpa ce l’hai anche tu: se mi hai creato.
“La distanza dei pensieri di Dio dai nostri consiste nel fatto che Lui si è fatto uomo, che Lui è più legato alle vicende degli uomini di quanto non lo siamo lui.” – per noi esiste lo spazio-tempo, per lui no: lui è (sarebbe) lo Spazio-Tempo.
“… l’amore basta a se stesso, perché questo legame basta a se stesso” – amore da kam’a, passione, da cui anche amicizia e kāma sūtra, e vuol dire passione, sentire tanto il dolore quanto il piacere. Sicuro, cugino, che Dio sia amoroso? E non atarassico? O fa gioco cercare altri termini ancora?
“… il ‘come’ non esaurisce mai quel che l’amore è…” – come te non c’è nessuno! Ma per Dio tutti sono come tutti, tutti sono il Tutto.
“… se ci fosse dovuto, non sarebbe più amore” – Dio ci ama senza quel deve. Ci ama perché Può. Può perché Vuole.
“… ogni giorno si tratta di abitare le fenditure della roccia…” – dove si sta stretti, ma si sta tutti.
“Io ti appartengo, ma mi costa.” – com’è costato al Padre vedere come trattavano il figlio, a vederlo al di là del tempo. A vederlo in croce.
“… l’alternativa alla passione che abbiamo è la morte.” – due facce della stessa cosmica medaglia, come lo è la nera Singolarità e l’Entropia (il disordine cosmico assoluto) a cui forse saremo condannati.
“Amare una persona in modo unico, non vuol dire escludere le altre” – Dio ama noi quanto chi adora altri dei, e darebbe la sua umana vita per un profugo, per un ladro, per un politico corrotto.
“La presenza dello Spirito è garanzia che, amando il Figlio, il Padre ci ama tutti, perché Lui è capace di amare così.” – senza pudore alcuno, senza alcun senso del peccato. Ti chiedo ora se lo Spirito è l’Energia che collega il mondo a Dio, Dio al mondo?
Giovanni 1,35-42: “… erano circa le quattro del pomeriggio…”.
“Chiamarlo vuol dire dargli un’appartenenza.” – inverto il titolo di un reportage di Carlo Levi, basato su un detto siciliano, Le parole sono pietre in Le pietre sono parole, anche i nomi lo sono.
Simone, poi Pietro, “è un uomo chiamato” a essere un fondamento.
Ti chiedi: “Ma perché proprio le quattro del pomeriggio?” – perché in quest’illusione che si chiama tempo per vederci occorre fissare un orario. L’importante non è l’ora, è vedersi.
“C’è un’ora, che è l’ora dell’incontro.” – del fenomeno che deve accadere, non del noumeno che sarà anche bello ma che non si riesce mai a cogliere. Più che andare in “pullman” in certi luoghi, tu dici che le strade “seguire” sono quelle che ci conducono a “riconoscere l’Agnello.” – e i suoi insegnamenti.
Matteo 1, 14-20: Oggi sei terribile, quando dici che: “il primo a convertirsi è stato Dio, perché per Lui assumere la nostra condizione nel Suo figlio ha voluto dire un cambiamento.” – anche per lui è panta rhei, con la r più dura che si può? Poco più su avevi detto che “Più uno è consegnato più c’è di mezzo l’inizio di qualcosa che per il Vangelo è l’inizio del Regno.” – la questione ha un senso sibillino. Chissà se mai capirò?
“Dio ha pensato che gli mancava qualcosa. Gli mancavamo noi.” – anche su questo ragionamento rimango perplesso. Non si sta parlando di un match di pallone, ma di quel che è indimostrabile. E ora tiri in ballo ancora quei (benedetti?) “musulmani”, che dobbiamo temere “perché loro non riconoscono un Dio che muta, un Dio che cambia” – il nostro segue le previsioni del tempo?
“Dire che Dio muta è una bestemmia per loro.” – Se muta, egli è popperianamente ravvisabile, si può falsificare, nonché circoscrivere, nonché attestare. È che noi esistiamo in un modo bohriano (di Bohr), secondo cui la particella è un’onda che esiste come particella solo allorché la si attesta.
Dio esiste, oppure è? È onda o particella? O entrambe?
Tu ami gli islamici, perché non riesci a evitarlo, non vuoi, non devi: “Amare sotto condizione diventa un dare e un avere.” – e questo non significa un do ut des, ma un do e nulla più.
“Noi dobbiamo sempre fare dei corsi. Dio non ha fatto un corso.” – siamo stati pensati. E pesati? Dio dà forse i numeri (della nostra massa gravitazionale)? Dio ha cultura? Noi abbiamo il culto di Lui. Lui ce l’ha di noi?
Tu dici che due sposi, vedendosi i difetti, si potranno amare meglio, oppure odiare. Non sei mai stato sposato, vero? L’uomo non è onesto come quel Dio. È tipico di un prete credere (nel senso di believing, non di thinking) che l’uomo debba tendere alla divinità, senza pensarci troppo. “Se ci convertiamo è per il bene di Dio, non perché siamo bravi noi.” – dov’è allora il libero arbitrio?
“… il Sacramento del Perdono è il luogo dell’amore di Dio.” – il Luogo che non è falsificabile, almeno secondo Karl Popper, alla cui lettura io t’invito.
Chi sbaglia non “deve pagare”, fai capire: chi paga, per noi. Dio? “Se uno va in galera, paghiamo noi.” – con tasse e imposte, ok!
Luca: 2, 22-40: “Visto il Messia, abbiamo visto tutto.” – almeno in parte, Egli non esiste, ma è? Il cosmo è illimitato, dice la fisica, in continua espansione. Il tutto di oggi è una parte di quello di domani ma l’energia e la materia sono le stesse, pur spingendosi sempre oltre.
“Questa festa è segnata da un uomo che si congeda dal mondo…” – dal Tutto, per andare Colà dov’è il Nulla?
“Dio è un Dio che cambia, perché è un Dio che ama…” – un motore immobile che si muove senza andare Altrove, ma sempre Qui?
“L’ingresso di Gesù nel tempio dice la maternità di Dio, il suo dilatarsi e il suo restringersi.” – il suo essere sempre Quello, Colui che? Qual è il suo raggio? In progress o sempre il medesimo?
Il mistero che Lo riguarda “è il mistero di chi abita, ma è anche il mistero di chi si lascia abitare, perché Dio ci ha amato con viscere di misericordia.” – come se fossimo un condominio? Con Lui che ci amministra? Che lascia libertà di scelta ai singoli condòmini? Alla maggioranza?
Giobbe 7, 1-4.6-7; Marco 1, 29-39: “Il servizio è segno del fatto che siamo una comunità in salute” – non esibiamo orgogliosi alcun certificato medico. Un invalido può dare tutto se stesso, o solo la sua parte sana? Sono consapevole della mia malattia. Come posso utilizzarla a fini cristiani? Debbo per forza guarire?
Matteo 1, 40-45: “Quante volte per noi il servizio diventa una prestazione anziché una realtà che dice la nostra fede in Dio?” – anziché un dono, un miserabile do ut des? Il dono è un’offerta (a Dio) gratis, chi presta attende la restituzione, maggiorata da interessi.
“… ma non c’è differenza tra un povero che ti chiede e un povero che non ti chiede.” – come dire nulla diversifica un uomo da suo fratello.
“Il lebbroso è guarito ed è riammesso…” – poiché, in qualche modo, è stato pagato il suo debito, che era stato prescritto nel suo male.
“Quando non ci saranno più ingiustizie, io starò, sempre e comunque, dall’altra parte.” – il più sarà rinvenirla con precisione.
Matteo 2, 1-12: purtroppo, oggi, mi fai troppo reagire e non so se è un bene, a volte si reagisce male, o bene, o così così: “Quante volte diciamo che è importante calarsi nei panni degli altri!” – e questo verbo calarsi lo usi non so, forse una decina di volte. Tu preferisci calarti un black hole, un’orrida singolarità, dove cessa la tua Storia; o innalzarti nell’estrema entropia dove è finito il carburante (l’energia) e la tua 126 è immobile? Una particella casca colà e poi sparisce come entità. Oppure s’innalza all’estremo e cessa di esistere. Quel che importa è poter andare, potersi calare o innalzare per l’eternità (per la nostra vita, almeno).
“In fondo il mistero dell’Incarnazione è il mistero di un Padre che cala il Figlio davanti a ciascuno di noi.” – o che l’innalza tre giorni dopo di essa. L’importante è… è partire! Andare oltre, ex-agerare, uscire dall’argine.
“Ciò che crea il problema non è il perdono dei peccati: è che sia Gesù…” – a dire, a parlare. E noi: dobbiamo restare muti come tinche?
“… il perdono diventa una possibilità che ci è concessa nel rapporto tra di noi; è ristabilire un’alleanza, un dare credito.” – e se si cessasse questo rapporto creditore-debitore? È lui la banca che gestisce il nostro debito?
“‘Io ho pagato.’ ‘A chi?’” E se l’Onnipotente promuovesse un condono generale?
“Follia e perdono…” – la prima che hai detto? Oppure entrambe?
Osea 2, 16-25; Marco 2, 18-22: “E il Signore dice: ‘Se voglio sedurla ancora, dovrò ricondurla nel deserto.” – Queto ci vuole condurre come se fossimo agnoli incapaci di camminare con le nostre zampe! Niente affatto in grado di intendere e di volere? Senza alcun libero arbitrio?
“… amare non sia una delle cose che possiamo fare, ma ciò che siamo.” – Avere o essere, si chiedeva Fromm. Quale parte del cosmo ci appartiene? Nulla, nemmeno l’onda che ci muove?
Ti auguri che “il digiuno delle persone che si amano sia presenza qualificante di coloro che attendiamo…” – lasciare lo spazio a un cibo altrui? Ne parleremo ancora, se vuoi.
QUARESIMA
Genesi 9, 8-15; Marco 1, 12-15: “La tentazione consiste nel suo ‘non stare con le fiere” – come un Dio “che ha deposto il suo arco”, non belligerante, ma donante.
“Non si può lasciarsi servire dagli angeli se non si è tentati; non si può essere tentati se non si sta con le fiere.” – è comodo stare seduti da un ospite munifico che ti tenta con dei dolcetti e con un amaro; diverso è condividere il tuo pasto con Cristo la tigre, così l’ha chiamato Eliot.
Matteo 9, 2-10: “… li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro.” – incommensurabile mistero.
“Si può essere da soli pur essendo con Gesù.” – ma entangled come quelle famose particelle che, una volta entrate in contatto, rimangono per sempre fra loro correlate?
“Adesso a essere solo è Gesù.” – ma io subito ti correlo, non ti stare a preoccupare.
“… perché Gesù rimane radicalmente solo, dobbiamo riconoscere che lui è proprio il…” – e torniamo ancora a Thomas Eliot: Egli è il. E noi chi siamo, i figli bastardi quell’articolo?
Giovanni 2, 13-25: “La gelosia, invece, o lo zelo…” – di noi umanoidi, il seguire con troppo accanimento, con un assurdo spirito di emulazione, colui che è da seguire, ma a distanza. Colui che fa distruggere il tempio ma che saprà ri-costruirlo, dall’energia ne consegue prima o poi, necessariamente, una massa: con l’energia del cosmo, che lui non ha, perché lo è. Se e finché Quello è isolato nel suo Fato e non intende condividere il nostro vile destino, non m’interessa. Ne parleremo?
Giovanni 3, 14-21: “Non ci sarà pace fino a che noi metteremo altri sulla croce e li bruceremo” – “Bush”, “Blair”, Sharon”.
Dobbiamo seguire chi accettò la sua Croce. Sembra che per Gesù “il suo essere innalzato sia la parte più importante della sua vita.” – il suo Sacri-Ficio. Ognuno ha il suo quarto d’ora di celebrità, diceva Andy Warhol. Quanto durerà la sua Ora? Per l’Eternità? Perché non ha schioccato le dita e detto: ora siete liberi! Mi pare davvero uno strano Mistero!
Giovanni 12, 20-33: “Se uno vuol servire, mi segua.” – mi imiti. “io non ti servo se ti faccio delle cose, ma se vivo la comunione con te è la sequela.” – l’ordine che tu mi ordini. Non tanto una serie di comandi, ma soprattutto quella serie di comandi.
“… se non viviamo la sequela il nostro essere cristiani è solo puro volontariato.” – misero volontariato.
“Gesù è pienamente se stesso nel momento in cui vive la comunione col Padre: sulla croce…” – e questo è, per me ignorante, il Mistero: il condannato dagli uomini è il Figlio di Dio che salva i suoi aguzzini.
Quando Qualcuno “‘deve’ morire”, non “‘vuole’ morire”; quando “è giunta l’ora”. E “quando io sarò innalzato da terra, attirerò a me tutti.” – che triste spettacolo! Che bell’arcano!
Marco 14, Marco 15: “Credo che non ci sia bisogno di altri commenti al racconto della Passione.” – no, a parte: “… volersi bene vuol dire permettersi reciprocamente di vivere questo mistero grande che è il mistero di chi ci ha voluto bene fino in fondo.” – e quindi esiste un fondo?
Giovanni 20, 1-9: la differenza fra te e me, Daniele, è che io, non tu, riesco a prescindere da “Maria di Magdala” – che tu citi in maniera concitata. Per me lei e il sottoscritto sono analoghi e a me poco importa che fosse la donna amata dal Messia: “… ciascuno di noi non è qui per adempiere un precetto, per abitudine, ma perché ci vogliamo bene.” e anche: “C’interessa solo la grande comunione. L’essere una cosa sola. Il Risorto vuol dire questo.” – al che ti narro un aneddoto che riguarda l’ignorante che sono io e una che apparteneva a una compagnia di veri cristiani, mentre gli altri erano solo imitazioni. Piove. Deve andare a casa. Vede vari ombrelli, ne prende uno, il mio. Quell’arnese è comunitario, di chi ne ha bisogno. Lo prende, avendone bisogno. Avrà pensato: e se serve a quello che si crede, paganamente, il suo proprietario? Si bagnerà. E se pioverà ancora di più che ora? Si inzupperà. Ma non dobbiamo pensare a questo: noi cristiani non dobbiamo pensare al male. Pensiamo al Sommo Bene, che è nostro perché è lui che ce lo dona. Morale: feci un bagno gratis. La pia donna entrò in casa asciutta. Poi riportò in ufficio l’ombrello. Non era una ladra.
Giovanni 20, 19-31: “Questo non è il Vangelo delle certezze, è il Vangelo delle incertezze…” – e poi: “… diamo per scontato di credere in un Cristo diverso da quello che Tommaso chiede di vedere” – e di farne la verifica (l’eventuale falsificazione) popperiana. Popper differenziava fra teoria religiosa (non verificabile) e quella scientifica (attestabile o negabile). A distanza di venti secoli, che ci rimane da fare? Restiamo ancorati a un’idea squisitamente religiosa? O vediamo che ne è di quei chiodi? La meccanica quantistica, diversamente da quella relativistica, dice che lo scienziato, con la sua presenza, condiziona l’esistenza del mondo (delle particelle che lo compongono) e che non può esservi un controllo che sia al di là di quel condizionamento. La relatività dice che si può, ma che ognuno di noi vede relativamente a sé.
Il cristianesimo, diceva il nostro maestro Padre Aldo Bergamaschi, è scaduto al rango di religione. Intendeva forse che la Verità è assoluta? E che chi dubita alla fine non può che peccare? L’atteggiamento corretto è quello di Tommaso, ma non è affatto facile: “Quindi attenti a parlare male di Tommaso!”
Luca 24, 35-48: due tipi “raccontano agli Undici riuniti quello che avevano riconosciuto Gesù da un gesto, la frazione del pane.” – e il motivo è: “Se non spezzi il pane rimane sempre di uno solo: e gli altri cosa mangiano?”
A ciascuno il suo, direbbe Sciascia, nel bene e nel male. Ricordo la tua omelia, cugino, alla messa del funerale di tua mamma: voi due fratelli, orfani di padre, a volte vi lamentavate con Savina: Mamma! C’è solo questo? E Lei vi rispondeva: C’è questo! Quanto bastava per vivere in grazia del cibo e, per chi crede, di Dio.
Anche “la sofferenza non è più una questione personale”: “anche lei può essere condivisa”.
Chi sono io a criticare un testo ispirato da Quello? Eppure il passo in cui quel trentenne esibisce le estremità e dice: “… sono proprio io!”, mi interessa a scopo narrativo. Così come quella storia, ambientata nel Kashmir, che narra di un certo Joshua che, dopo essere stato schiodato ancora vivo, scappò dalla sua terra, rifugiandosi in un villaggio, ove ora impera la guerra, e dove si dice che si parli un dialetto simile all’ebraico. Pare che quel sopravvissuto predicasse di amare il prossimo come se stessi. Se vuoi ci andiamo, non appena le acque si calmeranno, forse mai.
Giovanni 10, 11-18: “Il Vangelo dice: ‘Io sono il Buon Pastore, conosco le mie…’” – pecore. Tu poi dici che “ormai il criterio non è più il nome che uno ha, ma è quello dell’appartenenza.” – infatti, nel sud dicono: a chi appartieni, intendendo a quale tribù. La differenza fra quel popolo per cui il mosto lo dovevano pestare solo piedi giudei e quel che auspicava Padre Aldo, è interessante: Aldo prefigurava l’utilizzo di una lingua unica, che conducesse a una Storia unica. E dovette lasciare il luogo dove officiava, allorché stava giungendo a Reggio un padre polacco. Non perché era polacco, non perché non era filo-russo, non perché si affacciò insieme a Pinochet da quel balcone, non so perché. Forse perché quell’Aldino aveva stufato chi non voleva deporsi ai suoi piedi, non so se e quanto anellati, non so nemmeno quale piede gli diede un calcio nel di dietro, negandogli la possibilità di officiare la messa, e questo per anni. È Aldo un martire della Chiesa?
“E se c’è una cosa che riconduce ad unità la vita di una parrocchia, è il presupposto che il parroco sia un deposto.” – anche un vescovo, anche un papa, anzi più loro di chiunque: hanno più gente presso i cui piedi deporsi.
Giovanni 15, 1-8: Non ho capito bene chi sia il tralcio e chi la vite. Quale dei due è Dio? Ho capito! Uno è il tralcio, l’altro la vite. Ma può anche andare bene il contrario. Sia la vite che il tralcio, che le radici, sia le rame che vanno potate, servono a dare il vino che poi Gesù berrà insieme a noi.
“… ma siccome che Gesù è la vite, noi siamo in comunione con una comunione.” Se io sono in comun-unione con lui, lui è in comun-unione con me. Che bello essere divini.
Giovanni 15, 9-17: “Per questa Parola nessuno è più misura dell’amore per gli altri e, nello stesso tempo, nessuno più può indicare la carità come una teoria, ma come una persona.” – che geme o gioisce come gemi e gioisci tu.
“Fonte della carità è la persona del Padre in una dimensione discendente.” – il suo essere caro, prezioso, giunge fino a te, che sei laggiù, anzi, quaggiù.
“Neanche la volontà di Gesù, che è la cosa più sacra che abbiamo, si sottrae all’invito che il Padre gli rivolge in quanto amato. E così è amato Gesù dal Padre.” – che però non ascende verso di noi? Per noi è difficile amarlo, per lui no, immagino.
“Ed è importante che l’amore sia un comandamento, perché se non lo fosse sarebbe solo un sentimento come nei testi delle canzoni di Sanremo.” – e comandare significa far sì che una cosa si faccia, dare energia. Purché non sia una scoppola, una coercizione, mi va bene. Anzi…
Atti, 1, 1-11; Marco 16, 15-20: “Il vostro rapporto con Gesù non è il rapporto con chi vi porta sul passeggino. È il rapporto con chi vi invita a camminare con le vostre gambe e a prendervi delle responsabilità.” – siamo maggiorenni, a quanto pare.
“Lo dico poi a tuo padre!” – diceva la Savina e voi rigavate dritto. E tu sai che si può, anzi si deve per lo più, scampare senza padre, il quale può scomparire, come Cristo, pur rimanendo hic et nunc, come quel Giudeo. Si tratta di seguire il suo “segno”.
Giovanni 15, 26-27; 16, 12-15: “L’amore ha ragione di essere in virtù del dono che ci si fa l’uno all’altro”: il cosiddetto spirito giusto.
“È lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è ciò che permette a Gesù di usare un termine che noi, quando parliamo della carità, non usiamo mai; cioè la parola ‘mio’.”
Da soli, no: come dice “Don Alberto Altana”: “la Chiesa del Concilio deve passare dal ‘mio’ al ‘nostro’ e dall’ ‘io’ al ‘noi’.” E come insegnò nel suo breve mandato papa Luciani, lui è un io che dà, non un noi che fagocita… No, non disse proprio così, ma così lo intesi. Con Dio è diverso, il suo io, comprende il nostro noi: “È bello questo! È la gioia.” – di ricevere e di dare, di scambiarsi energia, e massa: “Non siamo mai stati noi stessi come quando apparteniamo.” – a quale tribù appartieni? Alla Tribù del Tutto!
Ultima Buona Novella: “Non si capisce per amare. Si ama per capire.” – verbo latino strano, e doppio, che significa sia comprendere, prendere, che essere compreso, preso, capito. Capire, capere. Aggio capito!
Matteo 28, 16-20: “La preoccupazione è per i figli: è che capiscano che noi ci siamo quando hanno bisogno.” – e se non capiscono? E se non riescono a capire? Sono meno figli? Il genitore li ama di meno? Li serve di meno? E se scappano da casa? Li perdona?
“Anche Gesù ha offerto se stesso in sacrificio a Dio come ‘soave profumo’. Il profumo di quella persona dice l’identità, dice il suo modo di essere, dice la sua volontà di donarsi…”. Quando tutti si donano nessuno si dona più, tutto è di tutti: tutto per tutti! Così si chiama il vostro magazzino! Un figlio dona se stesso a un suo genitore quando quello diventa anziano, perché in questo mondo tutto deperisce, soprattutto l’età e la salute: la solita entropia. Il Signore non deperisce. Un mistero è per me cosa significa donarsi al Signore, se quello non ha bisogno di nulla.
Marco 14, 12-16. 22-26: “La festa che facciamo oggi è un po’ unica, perché è l’Eucaristia che dice di sé.” – che è un ringraziamento per il dono che ci è stato dato: “è il Cristo che dona la vita e che dona se stesso.” – e a lui cosa possiamo donare? Chissà se gli basta la mia speranza? Oppure pretende qualcos’altro? Non penso che ci tenga a una sottoscrizione, a un abbonamento, a un impegno. Chi potrebbe rispondermi?
Matteo 16, 13-19: breve omelia, e densa: “È tanto importante per Gesù essere il Cristo, il Figlio di Dio, quanto è importante riconoscerlo come tale.” – e questo è Tutto, o forse nulla, da domani ci penserò. Oggi ho da fare.
“Questi due verbi legare e sciogliere: sono entrambi legati ad un’attività della comunità” – come capire e capere, capire, catturare, accalappiare, essere capito, catturato, accalappiato.
“Si parlava di sciogliere come di una sorte di riammissione.” – nell’Ekklesia?
“Don Alberto diceva che quanto più per uno venivano date delle credenziali per convincerci a prenderlo in casa con noi, tanto più ora convinto che non avesse bisogno di noi… Lui prendeva solo dei delinquenti.” – ma dov’è finito quel tale, che vorrei donargli il primo Nobel che riesco a rubare!
“I motivi per i quali lo terreste legato a voi sono i motivi per i quali lo lasciate andare. Per ciascuno di noi si scioglie nella misura in cui si sa amato?” – devi spiegarmela!
TEMPO ORDINARIO
Marco 6, 1-6: La Parola è Colà, noi costì: da Colà a costì sono zero metri, percorsi in zero secondi. Da costì a Colà i valori sono incalcolabili.
“Per noi è importante che ci siano i Sinti, perché c’insegnano a vivere il Vangelo di oggi. La loro patria, la loro terra è il luogo in cui si fermano.” – e questo perché non v’è per loro un costì o un colà, né un domani, ma un hic et nunc.
“Così come il mondo è il luogo in cui tutto il mondo è mondo, si confonde col cielo.” – non c’è un’ipotesi di viaggio, perché il percorso è abitazione, come lo era il punto di partenza, come sarà il punto d’arrivo.
Marco 6, 7-13: “Io e mio padre siamo uno” – cioè, intuisco, Tutto. E = mc2. Diceva quell’Ebreo non errante che in quell’equazione c’era tutto. La massa che si trasforma in energia, e viceversa. Intendi lo stesso, cugino? O infinitamente di più?
“Questo è il Vangelo stesso, e la comunicazione è il Vangelo. L’uno per uno, che Gesù dice essere il due per due, è l’essere stesso di Dio: questo è il Vangelo. La Buona Notizia è questa.” – e il più è capirla. Tu ci sei riuscito, fratello? Me la spieghi dal vivo quando c’incontriamo?
Bella: “Se uno mi usasse come sandalo, gli darei la forza per camminare, si sentirebbe sostenuto.” – anche se, alla nostra età, abbiamo a volte bisogno di un bravo ciabattino!
Marco 6, 30-34: ho deciso di non sottolineare nulla ma di recitare a soggetto. Ma poi mi contraddico: “Dio diede compimento.” – dove? L’energia continua a tarsformarsi in massa, la massa in energia; le particelle virtuali fanno sempre del loro meglio per aiutare le loro consorelle reali, poverelle.
Il riposo quando ci sarà: il venerdì, il sabato o la domenica? Idea: facciamo tutti quanti il giovedì?
Giovanni 6, 1-15: si parla di un miracolo forse frainteso, quello dei pani e dei pesci. La divisione equanime degli stessi, secondo padre Aldo Bergamaschi. Un ragazzo dice…
“L’importanza di questo ragazzo è legata esclusivamente al fatto che se vuoi metterti al servizio devi essere povero.” – nello spirito o nel conto in banca?
Se “sei pronto all’Eucaristia”, oppure “al servizio della folla”, ma non “alla povertà”, è un mezzo, insolubile, problema.
“Allora non siete pronti”; “allora non siete chiamati” – o forse siete sordi come campane. Come chi mangia avidamente, che un occhio non vede l’altro, così siete voi, così sono io. E le orecchie e il naso puntano al portafoglio. Non al vostro Signore. Chiunque Egli sia.
Giovanni 6, 24-35: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.”: l’altra domenica, che non è una trasmissione popolare: “con pochi pani e pochi pesci Gesù aveva dato da mangiare a 5000 persone.” – non è vero ma ci credo, direbbe Eduardo. Ma oggi ci voglio credere, per Dio!
“Cominciate a riconoscere e a vedere dei segni, poiché in verità voi non mi cercate per un segno che io ho fatto ma mi cercate perché avete mangiato.” – fratello, perché hai bisogno di dire sempre in verità? Non ti fidi?
Non tanto la “preoccupazione per una pancia che si è riempita (e noi abbiamo molte pance di diverso tipo che cerchiamo di riempire) ma per dei segni. Va cercato per dei segni.” – il tuo solito ripetere i concetti, come si fa coi bambini. A volte questo parete, voi preti, dei maestri elementari.
“Chi viene a me, non avrà più fame, chi crede a me, non avrà più sete.” – e per chi è ancora ignorante alla sua pancia chi ci pensa?
“Ci siamo necessari come il mangiare e il bere, come nutrimento. Noi viviamo di Lui, perché mangiamo di Lui. In ordine a Lui: come il mangiare e il bere.”
Tralascio la critica alla tua critica sui musulmani, sul fatto che un Dio che ti dà da mangiare è più economico di un Dio a cui occorre solo obbedire. Dovresti smetterla, consiglio da cugino. Ognuno ha il suo Dio, e il più è capirlo con la propria testa.
L’1% della popolazione mondiale, si dice, possiede e gestisce, speculandoci sopra, il 50% del reddito; dell’altro 99% un 50% soffre per la fame. Che balla racconteremo oggi al mondo?
Giovanni 6, 51-58: “Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita nel mondo.” – anche per i vegani, immagino.
“È un pane quello dell’Eucaristia, cui non possiamo far riferimento altro che per quella condizione di debolezza che il Signore ha assunto…” – e un Signore debole è proprio quello che ci manca.
“E lo riconoscono bene coloro che sono come il pane dell’Eucaristia: i deboli, i malati, i povero, i piccoli…” – e gli ignoranti di dio (e di Dio).
Grande “Don Giuseppe Dossetti”, che “diceva ‘Se vi cibate dell’Eucaristia, vi cibate di un veleno, perché è Gesù nella sua condizione di debole.” – ed è come quella stella che regala la sua massa alla sua compagna, che prima o poi, fra qualche milione di anno, se non dopo, contraccambierà. Tutto scorre, anche dio? Anche Dio?
“… la via dell’Incarnazione è la via dell’essere una cosa sola, è la via della croce.” – Amen?
Giovanni 6, 60-69: “Giosuè chiede al popolo: ‘Scegliete chi volete servire’. Pietro dice: “Signore, da chi andremo?’”. Da quel che ho capito che il servizio è sempre ad personam: “sempre più legato alla persone cui ci rivolgiamo”. Nel caso di “Dio”, “il suo interlocutore è se stesso e quindi serve se stesso”.
Un caso da risolvere: “Qui sta la differenza tra la schiavitù e il servizio” – che necessita di “un tu”.
Altra regalia (come sei aldesco!): “… qui sta la differenza tra la schiavitù e il servizio…” – perché “ogni servizio è tale se ha come riferimento un tu.”
“Gesù è in rapporto al Padre perché dà del tu al Padre ed è in comunione con Lui.” – Lui? O lui? Omogeneo con la O, o con la o?
“Non si vice l’idolatria con altri idoli: la si vince con il servizio.” – donando sé. Mica è facile. Che cosa credi? In quel dio inserviente?
“L’idolatria è quando noi siamo idoli di noi stessi” – come scattando un diabolico selfie!
“… l’idolatria finisce quando ci diamo del tu.” – caro compagno di servizio, ora tocca a te (a me).
“Ecco perché la sposa o lo sposo non è colei o colui che sta di fianco, ma che sta di fronte.” – Bum!
“Il vero servizio è questo: assumere la condizione di ciò che non giova a nulla.” – no profit… Quello che non piace a quell’1% di miserabili. Quelli che ingrassano dormendo sugli allori altrui.
“… uscire dalla logica per cui tutto è sottomesso al profitto” – questa parola-bestemmia che tanto innervosiva il nostro Aldo.
“Ogni persona che non viene, è una persona cui andare verso…”.
Marco 7, 1-8. 14-15. 21-23: “Questa è anche la base per ogni gratuità, perché tutto è suo dono. ‘Voi siete così’ – dice il Signore – ma io vi attirerò a me, vi condurrò nel deserto e io li parlerò al vostro cuore.” – un’allegoria, in un deserto dove si è da soli, noi e Lui. Noi con Lui. Noi è Lui.
“Io mi sento profondamente amato, poiché sono soggetto ad intenzioni di prostituzione.” – una messa in vendita in promozione commerciale. Dio è gratis amoris dei, non costando che una vita.
“Ci sentiamo amati per questo, perché l’amore sia dono e non pretesa, sia grazia e non retribuzione, sia gratuità e non restituzione”: un rimettere i debiti a chi ci ha imprestato delle sue risorse che non rivendica. Sto pensando alla preghiera del Padre nostro: chissà cosa s’intende per rimettere i debiti e per nostri debitori.
“E quando il criterio per amarci è la miseria, che altro abbiamo? Allora non ci può essere altro.” – a quanto pare se la miseria è condivisa diventa una ricchezza, l’unica possibile.
Marco 7, 31-37: “Per Dio il dono dello Spirito è il dono della sua vita. Quando Lui dona il suo Spirito, ci dona la sua vita.” – ergo è lui il dono, la vita. Io cosa sono per Lui?
“… l’ascolto della Parola non è solo questione di testa: per Dio la comprensione della sua Parola, da parte nostra, implica il dono dello Spirito, quindi il dono che ci fa della sua vita.” – repetita iuvant ma, se uno non vuol capire, non serve. Forse perché io cerco di adoperare soltanto la testa.
“Paradossalmente è il nostro peccato che apre il cuore di Dio.” – così, non dovrei aver problemi a entrare. Se fossi perfetto, a quanto pare, avrei dei seri problemi di accesso.
“Non ti abito se non nel dono della mia vita.” – e queste parole significano: “ogni altro abitare è un impossessarsi, ogni altro abitare è una violazione di domicilio. Invece l’abitare diventa un dimorare.” – un restare a tempo indeterminato. Vedremo cosa significa alloggiare gratis amoris dei, e poi valuteremo? Quanto tempo ho per decidere?
Marco 9, 30-32: “… di mezzo c’è l’intervento di Dio. Dio è così.” – quest’intrigante essere è così.
“… la consegna non viene innanzitutto da Giuda, ma da Dio: Da Dio a Giuda.” – e poi a noi ultimi.
“… bisogna voler bene ai mussulmani perché loro servono Dio in quanto Dio è grande; noi serviamo Dio in quanto ultimo e quindi serviamo anche loro” – ci sono più servi che padroni, è sempre stato così. Quale delle due schiere è la meno sfortunata?
Ho l’impressione, Daniele, che non sia un caso che Aldo sia stato perseguitato dalla Chiesa e che Sgarbi dica, nella sua predica in Ghiara, che Papa Francesco badi più alle altre religioni che alla nostra. Forse non è affatto nostra, non è proprietà di nessuno, ma di tutti, anche degli islamici. Quell’altro papa come lo pensava così? E quello prima ancora? E il papa che chiese a
Michelangelo di scolpire la sua statua non con un braccio che benediva ma che brandiva una spada?
Tu parli sempre degli islamici perché ti sono vicini? E non degli ebrei che ti sono lontani?
“Il parroco è l’ultimo in quanto chiamato al servizio…” – minister deriverà per sempre da minus.
“Questo non è un vangelo di certezze; è un Vangelo di domande!” – la miglior frase in assoluto, finora.
“Abbiamo tormentato questa parola e ci ha dato queste cose belle, perché bisogna tormentarla…” – anche questa non è male.
Marco 9, 38-45. 47-48: innanzitutto una frase che desta allegria, ma anche un po’ d’ilarità: “Dio ha fatto così: perché Dio non è uno che dice e che non fa.” – non è un politico che cambia schieramento. È uno che crede in noi (ma mi pare una mezza piolata).
Poi si parla di occhio, mano, piede che non valgono il Tutto che ci sarà Colà, in Paradiso. Posso leggere le avvertenze e le istruzioni d’uso, perché quel che dici, pur bellissimo, mi pare fumoso. Sei troppo amante di quel Signore per essere lampante. Sono anche disposto a diventare un invalido, ma a quanto ammonta l’assegno eterno?
Marco 10, 2-16: “Perché Gesù fa riferimento all’inizio? Perché Gesù dice che maschio e femmina Dio li ha creati all’inizio?” – risposta obbligata: non si può sapere. Essendo morto, non si può contattare agevolmente, e maschio e femmina pare sia un’invenzione posteriore alle lumache, che li avevano entrambi, i sessi. Le amebe manco sapevano di avere una cellula, ma ce l’avevano. E si sdoppiavano come se niente fosse.
“Quindi la dignità che Gesù riconosce alla donna è una dignità alla quale solo Dio può aver pensato, una dignità per la quale la tua fede in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Non c’è fede che non passi attraverso quella comunione con la persona che ami.” – l’ameba ama solo se stessa, fino a che non si sdoppia; la lumaca a volte cerca compagnia. Il discorso vale per quelli che sono venuti dopo. Non i bonobo. Parlo degli ultimi, i sapiens sapiens.
“Per te trattare il tema della fede, della tua vita, è trattare con la tua sposa.” – con la sposa del sapiens sapiens. Non quella del bonobo.
“… il rapporto con la tua sposa sia un rapporto in virtù del quale tu riconosca dignità, a colei che ti sta di fronte; non di fianco, ma di fronte, che è la dignità per la quale dici: carne dalla mia carne, osso dalle mie ossa: cioè tu vivrai di ciò che vivrò io e soffrirai di ciò di cui soffrirò io.” – quale è il crisma che differenzia l’io e il tu: un organo sessuale?
Ancora Marco 10, 2-16: “Dio ha pensato all’uomo e alla donna come diversità, poiché l’unità non si cerca se non nella diversità. Non solo, è nella diversità che si comincia a costruire l’unità. L’unità è nella diversità, non nell’uniformità.” – sono d’accordo, non lo è nemmeno nella disuguaglianza. Diversi diritti e doveri, ma pari di valore. Discorso difficile?
“Lo sposo non deve usare il suo corpo nei confronti della sposa come chi se ne appropria, ma come chi se la vede donata.” – discorso interessante. Anche reciproco?
“Lo sposo per la sposa è ‘vestito’ se ha freddo; è ‘cibo’ se ha fame.” – in genere è la sposa che dice al marito come vestirsi e le prepara il vitto, ma anche il contrario non mi pare immorale.
“La sposa è la misura fino alla quale Dio si mette alla prova davanti a lui.” – Lui maiuscolo si mette alla prova davanti a lui minuscolo?
Ogni uomo è storia a sé. Il mondo femminile è invece sempre quella cosa lì?
“Anche lo sposo senza sposa è povero. Allora di che sarà ricca la sposa? Della povertà dello sposo.” – anche viceversa? Esiste parità dei sessi davanti a Dio?
Marco 10, 17-30: “Il Signore ha deciso di legare strettamente la manifestazione della sua carità allo spogliamento di se stesso in Gesù.” – qual era l’abito? La consuetudine. La tradizione millenaria? La religione, chiederebbe forse Aldino.
“… diventare poveri, perché il mistero dell’Incarnazione funziona così.” – è un meccanismo preciso allora!
“Quanto bisogna essere poveri? Nella misura in cui si ama…” – l’hai capito o no? Chi ama è povero, chi è povero ama: questa è la mia (anche la tua, cugino?) folle esegesi.
Marco 10, 35-45: “… il servizio comincia nel momento in cui Gesù dice di sé e del dono della sua vita.”
Una frase che non so se piacerebbe a Gramsci (che talvolta Aldo citava): “… il servizio non è una lotta di classe…” – è una classe di lotta. Una specie di lotta: noi contro il nostro spudorato egoismo.
Poi c’è uno scambio teatrale di battute, in cui voglio riportare solo la Risposta finale: “Fagliela”.
Poi spari un’assurdità che non posso fare a meno di amare: “i poveri”, questi sconosciuti, “quasi fossero un patrimonio di Madre Teresa” – sono quelli che non hanno un Monopoli con cui giocare.
“… in via Adua in cui c’erano tutte le ragioni per cui fossero preoccupati per la mia salute fisica e mentale.” – pure per la mia, forse.
“Noi dobbiamo aiutarci in questo, perché il servizio è questo. È bellissimo questo, un testo meraviglioso!” – che si legge, ci si emoziona, poi si scorda.
Marco 10, 46-52: “Quanto più nella mostra condizione, chiediamo pietà, tanto più la concediamo agli altri. Il modo di essere di Dio è quello di avere pietà, non solo di aver pietà come un sentimento, ma è il suo stesso essere.” – pio significa, etimologicamente, puro: senza macchia. Cos’è una macchia? Chi è senza macchia getti il primo assorbente, la prima carta igienica.
“… siate consapevoli che, chiedendovi pietà, vi volete davvero bene perché ritenete la persona che avete di fianco capace di questo: di avere pietà chiedendovi pietà.” – trattasi di uno scambio di (desiderio di) purezza. “Sarete totalmente voi stessi. E poi il problema non è Roma: il problema è che la meta è la strada.” – dove ci s’insozza. Un minimo di sporcizia è essenziale per andare a purificarsi.
Giobbe 19, 1.23-27; Giovanni 6, 37-40: “… è previsto in Dio il perdersi, perché il Mistero di Dio in Cristo assume anche la dimensione di un Dio che ci è avversario…” – il quale, tra l’altro, gioca sempre in casa! Oh, mio Dio!
“… il discorso invece è quello per il quale, se il Padre è colui che dona, Gesù è colui a cui viene donato e noi siamo il dono.” – il solito umanissimo E = mc2: Lui è l’Energia, il Figlio è la Trasmissione, noi siamo la Massa. Quanto mi dai oggi in Meta-Fisica, cugino?
Giovanni 4, 19-24: “… i Samaritani, non essendo graditi ai Giudei, erano soliti pregare Dio su un altro monte.” – e chissà se per Hitler le due fazioni fossero un’unica tribù da sterminare.
Come fra correggesi e carpigiani, livornesi e pisani, atranesi e amalfitani, dove si dice che i primi preghino che piova il giorno di Sant’Andrea, santo protettore dei secondi. Il problema è che i cortei, le folle, degli uni a volte offendono, spaventano, gli altri.
“Dio è presente nella storia di tutti, cioè il Signore ci vuole bene per come siamo” – non per dove siamo: lo spazio-tempo, che informa il mondo, c’è chi dice che sia tutta un’illusione, un loop che gira su sé stesso e nulla più. Il tempo non esiste, lo spazio non è che un grumo (Rovelli).
“Per Gesù…” – questo ragazzo perspicace – “… il luogo della preghiera lo fa chi riconosce Dio come Padre. La preghiera è un legame. È una comunione, fa essere una cosa sola.” – una sinergia.
Marco 13, 24-32: “In che cosa consiste questa tenerezza se non in quella condizione per la quale io do la mia vita?” – intuisco: non esseri duri col prossimo, ma disposti a con-cedere, a dare, a flettersi davanti a lui.
“E allora il ramo che si fa tenero è il ramo della croce. E ci si ama in modo unico se ci si ama secondo la croce.” – e cos’è questa croce se non il ramo che ci conduce alla sommità della pianta?
“La persona che ami in particolare è unica se la si ama come Gesù” – come il ramo che si allunga verso di te, per farti andare oltre.
“Perché una persona ti è unica? Perché unica è la croce.” – Unico è il cammino, il Tao, direbbero altrove, che esprime il senso di flusso e l’energia a esso connessa.
Giovanni, 18, 33-37: “… non c’è niente di più mondano che l’essere dell’altro mondo” – se il mondo è uno, anche quello che appare altro lo è. Che cosa sia poi lo scopriremo vivendo, forse pregando, forse sperando, credendo. Forse… non lo so. Di certo non sparando.
“Islam vuol dire sottomesso, quindi troviamo la pace nella misura in cui siamo dei sottomessi.” – e il problema, caro cugino, non è essere sottomessi, ma chi è colui che sta sopra di noi. Io accetterei solo una forma di supremazia: tutti quanti i sottomessi, insieme, sono il Signore. Null’altro.
“Per questo io sono…” – nel senso, se (se!) ho capito, tu sei “in quanto, in rapporto a colui al quale rendi testimonianza, questa testimonianza che ti rende Lui stesso.”
Trovato l’assassino, che non era il maggiordomo, no: “… Noi siamo in quanto… Uno coglie il suo esistere… dopo uno può anche morire.”
Lo disse quel tale: se vuoi essere quel che vuoi essere, devi morire.
È l’ultimo degli atti. Dopo di cui c’è il Nulla. E sei libero.
E adèsa, Daniele, ‘s at dêghia? Intânt, grâsia!
Grâsia, intânt!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Don Daniele Simonazzi, Parola, non solo parole, Edizioni San Lorenzo, 2004