“Io sono Nina” di Pina Irace: finché c’è vita c’è insorgenza
Mi sono imposto l’obbligo esistenziale di commentare qualsiasi libro che leggo (evitando all’uopo quelli di Bruno Vespa e dei politici che oggi vanno per la peggiore), a prescindere dal gradimento e dalla difficoltà dell’impresa.

Il breve romanzo Io sono Nina di Pina Irace m’è piaciuto ma mi chiedo se riuscirò a reagire adeguatamente, per iscritto, anche a una storiella scritta apposta per gli infanti. Questo è… ovvio!, come diceva Totò, esibendo l’ombrellino. Detto fra noi, ma potete farlo sapere solo a òm, dòni e ragâs, ho deciso di leggere il presente libro dopo aver sentito Pina recitare ‘A livella scritta dal Principe della, a volte amara, risata.
Uno come me non la smetterà mai di finire di crescere, perché finché c’è vita c’è insorgenza, che non so come m’è venuta, e quel che conta ora è iniziare il mio mestiere di enzima anarchico, insurrezionale, un tipo alla Masaniello, per intenderci, senza porre balle in mezzo.
Inizio dalla frase finale del primo capitolo: “Io sono Nina.” – è capitato a tutti di definirsi una prima persona singolare, e non più una Nina ha fame, Nina è questo o quello, Nina ha sonno. Tra l’altro, ‘sta Pina pardon, Nina mi pare un tipo tranquillo, come no, manco quando dorme lo è!
Quel Tale lo disse, riparato dietro il roveto ardente: Io sono colui che sono, un ente colmo di ragioni esistenziali. Detto en passant, per un bambino essere ed esistere sono la medesima cosa, ma quando si diventa adulto si inizia a differenziare. Ma ti sembra giusto? Gianluca, fioraio ultracinquantenne, mezzo secolo fa mi chiamava Pento, mentre mio figlio Michelangelo, che oggi ha la barba di un Matusalem, da zicu mi chiamava Fefo. La mia Fiest L, con cui lo portavo ogni mattina a Marina di Pixuntum, per lui era la Fefina. A un certo punto, dicono a noi infanti che dobbiamo adeguarci, perché, a quanto si dice, “i nomi li danno i grandi”. Ma se facessero le paroline loro!
“Per arrivare allo scuolabus dobbiamo salire 283 scalini…” – mentre, per giungere a Pontone da Amalfi, gli scalini sono 800, qualcuno più, qualcuno meno. E pensare che le donne di quel paesino li scendevano tutti i giorni per accattà ‘o pane, per poi risalirli, ovviamente, per portarsi sul desco. E vorrei che una qualche femminista mi spiegasse, senza urlare però, perché esiste la locuzione: chilla è ‘na fémmena ‘e Pontone! Che portavano, insieme al pane?
“Ora sto pensando che, sull’isola, le distanze le misuriamo in scalini.”: per andare al ‘Laboratorio di papà’ Pina, cioè Nina ne annota 27, per andare in “Bagno”, per fortuna, ne conta solo 2.
La vita è fatta a scale e, per un ineffabile gioco del destino, io sono Pioli.
Scopro che quando un certo Giò, che, essendo arrivato per primo, ganassa, a Pina, cioè Nina basta rispondergli con un “Miao!” – il vincitore di una corsa dovrà sempre aspettare la sua micia.
Dopo aver avvisato l’uditorio che il mio secondo nome (solo in chiesa però) è Giovanni, segnalo che Nina ha un sincero sentimento amicale per questo Giò, bravo e simpatico ragazzo, che ha un solo torto: prima o poi dovrà partire per chissà dove (per dei motivi di lavoro del padre…).
Quando Nina incontra una donna attempata e si presenta al suo solito modo (“Io sono Nina!”), quella risponde: “Molto piacere, io sono Bluetta.”
Galeotto fu quel libro e chi l’ha scritto, che ebbe il buon senso di cadere sotto la terrazza di quella che poi sarebbe diventa “la terza nonna” di Nina, un’attrice in pensione da tanti anni ormai.
Le due fémmene, coetanee nell’anima, non nelle esperienze di vita, diventano molto intime. Da lei Pina, cioè Nina imparerà tanto. Ognuno ha la terza nonna che si merita!
La saggezza di Bluetta si spinge a pronunciare un’eterna verità (un po’ bagnatina): “… il mare sta facendo il mare.”, come dire che la passione sta facendo la passione. Vittorio G. Rossi scrisse Però il mare è ancora quello. E sapeva quel che intendeva, genovese com’era, di Santa Margherita Ligure, un paesino che pare entangled, correlato, con l’arcano locum di questa storia.
Il Mare è un amico-nemico, a seconda di come gli gira la corrente, un Nume di tipo ondoso. “È il mare che decide se i battelli devono partire…” – e tante altre cose. Lo si può pure sposare, ma sarà ogni volta lui a diventare vedovo. Da lui non ci si divorzia, e ti resterà rischiosamente fedele fino alla morte.
Detto arşân tésta quêdra: al fa al mistēr ed Miclâs: al màgna, al bév e al va a spâs, lo si dice quando si esercita il mestiere di gaudente, gozzovigliando e prendendo la vita come se fosse una piacevole camminata. Forse è quello che faceva, cara Pina, cara Nina, il vostro Michelazzo, che tanta paura incuteva a voi due e a Giovanni, fino a che non scoprite il suo segreto: non saluta nessuno perché “è semplicemente duro d’orecchi”.
Egli “appare burbero e scontroso”, e invece l ē un Miclâs dal cōr bòun, che vi regala “una medusa fatta di corde e conchiglie”. Così, Pina e Nina, scoprite che non è tutto oscuro quel che rimane al buio.
Ora tuo padre dice: “Ascolto musica, guardo il mare, penso.” Al che la maliziosa che cova in te borbotta mentalmente: “E io che credevo che da grandi questa abitudine finisse.” – e qui ti correggo: è un vizio, che rimarrà tale fino a quando… Non te lo dico, è troppo triste.
“La caccia della musica è come una caccia al tesoro, bisogna cercare la musica che si nasconde nei rumori.” – e qui sarei un pessimo allievo, che aspetta sempre che la musica (della lezione) sia finita, per poter finalmente dire la sua. Quando c’incontriamo, Pina e Nina, sarò più chiaro. Ora vi dono il solito aiutino: tót i cajòun a gh ân la só pasiòun!
Quello che dice la terza nonna della morte mi spinge a sospendere questa mia tiritera, per alzarmi e applaudire, ma non intendo riportarla: per chi è interessato è a pagina 63. Do anche qui un aiutino: “a fine spettacolo siamo noi attori a ringraziare il pubblico per averci concesso il suo tempo.” – che non esiste per nulla, essendo un’illusione, ma di quelle che fanno penare! E pensare!
“… ognuno porterà con sé un’emozione, un dubbio, una risposta.” – aspettiamo pure! A paghêr e a murîr ‘s fa sèinper a tèimp!
“Sì, salutavo Giovanni che partiva. Ma appena imparerò a volare, volerò da lui.” – lo stai già facendo, tranquilla.
A pagina 86, terz’ultima riga, trovo l’unico refuso del libro, e sono così arliōş che non te lo indico! Dai, cerca ora il termine sul dizionario Ferrari-Serra.

Ma perché usi sempre l’espressione “millemilioni di volte”, e poi, a pagina 119, ti scappa detto che “è la milemillesima volta che lo sento”: “Nina, la lavagna è di qua!”. Le conti ogni volta, come fai coi gradini? O fai finta?!
Prima che ‘sta ritrovata nonnina se ne vada, le dico che anch’io ho trovato (non ricordo dove) “un’altra solitudine, quella che arrivava senza essere cercata, non sempre benvenuta” – ma sempre necessaria. Anch’io sono diventato, malgrado tutto, amico suo.
Parlando di tua sorellina Matilde, dici: “Quando sarà più grande, le insegnerò a volare.” – che è il tuo sogno imperituro, solo se te lo chiede lei, però! Non tutti i terrestri ci tengono troppo.
Giovanni ora “mi racconta come fanno gli uccelli a volare”. Lui lo sa per averlo visto, non per sentito dire.
“Mi mancheranno questi racconti, non so che farmene dei ricordi.” – ne fai dei racconti, no?
Come insegna il professor emerito Gino Ruozzi, a cui spesso attribuisco concetti miei, l’importante è ex-agerare, uscire dagli argini: per cui “lascia che siano i grandi ad accontentarsi.” – ogni poeta è un fanciullo che a volte piange, a volte ridacchia tra sé.
Poco dopo, nonna Bluetta enuncia la sua definizione di libertà: fare quel che gli altri considerano illegittimo. E poi aggiunge: “Che sia salto o volo l’importante ogni tanto è staccare i piedi dalla terra…” – talvolta, sennò diventa una noia anche quella. Alla fine si trova ogni cosa che serve, anche il Nulla, se si cerca bene.
“Sto volando! Sono in cielo…” – brava, Pina, anzi Nina: quando scendi ti offro nu caffè. Non meno di tre e non più di trentatré (al giorno), dicono colà, non lontano dalla tua isoletta.
Alla fine Pina dice: “Nina è venuta a trovarmi una sera…” – svolazzando, immagino.
“… Nina voleva essere raccontata.” – e tu, Pinuccia, hai assolto quel compito grato.
Scopro infine che la location della storia non è un’isola, ma la tua candida Positano. Ma va’! In effetti ci ho fatto diversi bagni nella pluri-citata “Spiaggia Grande (345 scalini)”!
A me il tuo paese piace per come si staglia alla vista non solo al turista, ma a chiunque la va rimirando. Anche se lo vede tutti i giorni, millemilioni di volte! E ogni volta ci si innamora!
Ma com’è bella quest’Itaglia!
E papà tuo, che fa?: “… è in bottega, ancora al lavoro, sta alla finestra e guarda il mare”.
E tu?, tu dici: “Ma prima o poi volo. Lo so!”
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Pina Irace, Io sono Nina, Read Red Road, 2022