“Breezy” di Clint Eastwood: la storia di un film rimosso
Per molti anni Breezy è stato un titolo che a malapena compariva nelle filmografie di Clint Eastwood, nonché un film regolarmente escluso dalle raccolte dei suoi “capolavori”. Questo anche perché, uscito in prima visione nei cinema americani nel novembre del 1973, non fu reperibile in home video fino al 1998, e l’edizione in DVD uscì solo nel 2004.
Terza regia del celebre attore californiano, dopo Brivido nella notte e Lo straniero senza nome, Breezy è una pellicola di genere sentimentale, lontana anni luce dai western e dai thriller che avevano all’epoca reso famoso Eastwood, che in questo film peraltro non appariva come attore (se non in un brevissimo cameo non accreditato, oltre alla sua foto nella locandina de Lo straniero senza nome che i protagonisti, in una sequenza, vanno a vedere in un cinema).
Sarà solo dopo più di vent’anni – e una quindicina di altri film da regista – che Eastwood verrà sdoganato anche come autore di genere romantico grazie a I ponti di Madison County (ma riferimenti al precedente costituito da Breezy non ne verranno fatti).
Come si diceva, il film uscì nelle sale a New York nel novembre del 1973 ed ebbe inizialmente uno scarsissimo successo commerciale, ricevendo anche recensioni non particolarmente positive. Dopo alcuni ritocchi al montaggio, fu rilanciato in 39 sale nello Utah nel luglio del 1974: questa volta i risultati furono più incoraggianti, spingendo la Universal a ridistribuirlo in altri Stati americani e in Canada, riuscendo infine a fargli recuperare i costi di produzione (peraltro piuttosto ridotti).
Secondo Richard Schickel, biografo di Clint Eastwood, il film «disattese le aspettative alienando molti fans da Eastwood». Le recensioni oscillarono tra perplessità su alcune supposte ingenuità, fragilità e stereotipi nella trama – controbilanciate tuttavia dall’alto livello delle prove attoriali – e, un po’ paradossalmente, la denuncia di troppa debolezza nelle scene d’amore rispetto al contenuto così potenzialmente scandaloso del film (lo stesso Schickel commentò che Eastwood era «troppo educato nel suo erotismo»). Nondimeno, è stato spesso riportato come Eastwood consideri Breezy una delle sue realizzazioni favorite.
Ma forse tutti questi dati non spiegano fino in fondo l’ostracismo riservato per decenni a questo film. Vediamone la trama.
Il film si apre con due sequenze speculari. In una camera disordinata una giovane coppia dorme mentre fuori fa mattina; lei, poco più che un’adolescente, si sveglia, salta fuori dal letto e inizia a vestirsi; al momento di uscire, il compagno le domanda il nome, lasciandoci capire che si è trattato di un’avventura occasionale: lei risponde «Breezy» e si avventura a fare l’autostop verso una prossima mèta.
Nella stessa mattina Frank, un uomo di mezza età, saluta il suo ospite notturno: una bella bionda che mostra aperto interesse per lui, che invece sembra quasi non vedere l’ora di sbarazzarsene.
Frank Harmon (William Holden) è un ricco agente immobiliare, divorziato, cui non manca nulla di materiale. Abita in una meravigliosa casa sulle colline di Hollywood (in cui si svolge buona parte del film), ma l’apparentemente brillante vita di società che conduce non riesce a nascondere la sua disillusione e la sua amarezza rispetto alla vita. Più volte nel film gli viene rimproverato di essere emotivamente freddo, se non bloccato.
Edith Alice Breezerman (Kay Lenz) ha invece perso i genitori anni prima in un incidente d’auto, e vive come una hippie, con un carattere spensierato, genuino e solare che rispecchia il suo soprannome (breezy significa “spigliato”, “disinvolto” – da breeze, “brezza”).
Breezy letteralmente piomba nella vita di Frank strappandogli un passaggio in auto e riuscendo poi in qualche modo a installarsi a casa sua. Inizialmente infastidito dall’invadenza e dalla pervicacia di questa ragazza giovanissima e loquace, man mano Frank si addolcisce, e Breezy con la sua naïveté – ma anche con alcune folgoranti affermazioni sul carattere di lui – fa infine breccia nella misantropia dell’uomo, che finisce con l’assumere una sorta di ruolo paterno, salvo entrare in crisi quando la ragazza dichiara di essersi innamorata di lui.
Travolto dal mix di freschezza e innocenza del carattere di lei, dopo l’iniziale ritrosia Frank si butta in questo rapporto vissuto evidentemente con una valenza di rinascita, salvo poi iniziare a tormentarsi per la differenza di età, di carattere e di ambiente, nonché per l’inevitabile disapprovazione velata o apertamente manifestata dalle persone che lo circondano. Una sera, infine, Frank tronca bruscamente la relazione e cerca di riprendere la sua vita solitaria.
Sarà però un colloquio in ospedale con una delle sue ex, sposatasi ma rimasta vedova poco dopo le nozze a causa di un incidente stradale, a fargli balenare la precarietà della vita e dei rapporti. Frank quindi ritrova Breezy e per la prima volta le dichiara esplicitamente il suo amore, pur con la consapevolezza che potrebbe trattarsi di un legame destinato a finire in un futuro non lontano.
La trama del film, raccontata così, può forse apparire banale e anche un po’ retorica. In realtà Breezy è un film di straordinaria delicatezza, con una bella regia che rende in pieno la plausibilità psicologica delle fasi della storia tra Frank e Breezy, anche grazie ai due interpreti principali. Straordinaria è infatti l’interpretazione di William Holden: si noti come Frank non sorrida mai nella prima parte del film – neanche quando si accompagna con l’amante di turno – salvo aprirsi in un improvviso, luminoso sorriso in una scena verso la metà della storia, che comunica, senza bisogno di dialogo, la piena accettazione della storia d’amore con Breezy. Kay Lenz, d’altra parte, per la sua interpretazione ricevette una nomination ai Golden Globes come Nuova Giovane Promessa (Lenz peraltro recitava da quando aveva 13 anni).
Credo tuttavia che la vera ragione della scarsa fortuna di Breezy negli anni non risieda in realtà nel film stesso, ma sia legata all’epoca in cui fu girato e di cui è estremamente rappresentativo. Sono esattamente gli stessi anni in cui in Europa si andava affermando David Hamilton, il fotografo inglese noto per i suoi nudi di fanciulle adolescenti (morto suicida nel 2016 in seguito alle accuse di violenza sessuale da parte di alcune sue ex modelle – a quarant’anni di distanza); anche il suo sodale Alain Robbe-Grillet, lo scrittore francese esponente di spicco del Nouveau Roman, in quegli anni aveva narrato storie a sfondo sessuale con protagoniste adolescenti. Ricordiamo anche le famose foto di Brooke Shields decenne nella vasca da bagno scattate da Gary Gross, o quelle – sempre del 1975 – di Francesco Scavullo (tre anni dopo Shields fu protagonista di Pretty Baby di Louis Malle nel ruolo di una giovanissima prostituta nella New Orleans di inizio Novecento). E si potrebbe andare avanti a lungo.
Probabilmente come effetto della “rivoluzione sessuale” iniziata negli anni Sessanta, la sessualità adolescenziale nel decennio successivo venne come sdoganata (si pensi allo scandalo che invece negli anni Cinquanta aveva accompagnato la pubblicazione di Lolita di Nabokov), ricevendo una visibilità e importanza che fu presto sfruttata anche dall’industria culturale che non perse occasione per farne occasione di lucro: per citare alla rinfusa un po’ di titoli cinematografici, si va dal romantico e casto Una piccola storia d’amore di George Roy Hill (1979, la protagonista femminile era la debuttante tredicenne Diane Lane) alla scoperta della sessualità insorgente in Laguna Blu di Randal Kleiser (1980), al molto meno casto – e bruttissimo – Amore senza fine di Zeffirelli (1981), questi ultimi due titoli ancora con Brooke Shields protagonista. Verranno poi a ruota i vari Tempo delle mele eccetera.
Si tratta però di tutte storie d’amore tra adolescenti, quasi a rivendicare un mondo diverso e indipendente – se non contrapposto – a quello degli adulti. Scottante rimaneva, invece, il tema del rapporto tra una persona adolescente (anche se, “prudentemente”, nel film viene fatto intendere che Breezy è maggiorenne) e una adulta.
Prima di Breezy c’erano stati in realtà due casi molto particolari: Harold e Maude di Hal Ashby del 1971, dove però si narrava in chiave di tragicommedia una storia di gerontofilia (il film non a caso non incontrò successo e fu rivalutato molto tempo dopo) e, sempre nel 1971, Soffio al cuore di Louis Malle, che culmina in un incesto. Alla fine del decennio, invece, ci sarà Manhattan di Woody Allen (e, in Italia, Così come sei di Lattuada, vagamente ispirato a Homo Faber di Max Frisch, con Marcello Mastroianni e una Nastassja Kinski diciassettenne).
Il cosiddetto “riflusso” degli anni Ottanta portò, tra le varie cose, anche a un ripensamento morale – perlomeno di facciata – rispetto alla “libertà sessuale”, e contemporaneamente iniziò ad affermarsi, giustamente, il concetto di pedopornografia come limite e baluardo allo sfruttamento fisico, e anche di immagine, di persone minorenni.
Considerando tutto questo contesto, Breezy (che – va notato – fu scritto da una donna, Jo Heims, già co-sceneggiatrice di Brivido nella notte) appare oggi come un film crepuscolare. Con la sua delicatezza fotografa, metaforicamente parlando, quel breve periodo in cui Eva fu libera dalle catene che nascondevano la sua sessualità adolescenziale spontanea, innocente e nondimeno conturbante, prima della caduta dall’Eden.
Fuor di metafora, il progressivo affermarsi di giuste regole a protezione dei minorenni, e anche lo stesso concetto di politically correct – che però talvolta tende a esaminare retrospettivamente fatti o periodi storici con l’occhio attuale, senza tener conto del loro contesto sociale e culturale originale (si pensi, per esempio, al caso dell’abbattimento delle statue “colonialiste”) – hanno probabilmente condannato Breezy a essere un film “scomodo”.
Un certo tipo di rapporti, almeno nel cinema degli ultimi decenni, non può finire bene, per un motivo o per un altro: in questo senso due titoli esemplari (oltre che bellissimi film) sono American Beauty di Sam Mendes (1999) e Diario di uno scandalo di Richard Eyre (2006). Anche nel geniale La commedia di Dio di João César Monteiro (1995), il film in assoluto più libertario su questi temi, il rapporto tra il protagonista e la sua giovane commessa non si conclude nel migliore dei modi per lui.
Nel caso di Breezy, quindi, temo che il “peso ideologico” della trama – con la sua leggerezza e a suo modo il lieto fine – probabilmente continuerà a impedire ancora per molto tempo una valutazione serena e scevra da pregiudizi di questo film.
P.S.: Per uscire dagli stereotipi, ricordo che le storie tra una persona adulta e una adolescente non vedono esclusivamente come adulto il maschio: al di là dei citati Harold e Maude e Soffio al cuore, cfr. per esempio Kung-Fu Master di Agnès Varda (1988), in cui il personaggio di Jane Birkin seduce un compagno di scuola della figlia…
Written by Sandro Naglia