Poesia classica latina #2: Pacuvio, il poeta delle tragedie erudite
“Questi che capiscono la lingua degli uccelli
E che sono sapienti più per il fegato d’altri che per il proprio,
credo si debbano ascoltare, sì, ma senza dargli retta.” – Pacuvio, dal “Chryses”
I latini, per indicare la poesia, utilizzavano il termine “carmen” di etimologia molto antica connessa al verbo “cano” con il significato di “cantare”. Al plurale, “carmina”, la parola raggruppava non solo le poesie ma una grande quantità di tipologie di testi come le leggi, gli incantamenti, le formule di giuramento, le preghiere, i precetti, gli oracoli. Dunque, sia una preghiera al dio Mercurio sia una legge delle Dodici Tavole erano un canto, dei carmina. Dalla poesia alle leggi, i latini utilizzavano “carmen” per qualsiasi testo che non fosse di uso colloquiale e quotidiano, testi che dovevano preservarsi nella memoria e perdurare nel tempo. Se vogliamo poi concretizzare questo assunto bisogna prender per vero che l’essere umano per poter “inventare” una legge o una poesia necessita dell’ascolto del canto che ode durante l’atto del pensiero. È l’Io che crea o piuttosto l’Io sa ascoltare il canto dell’Anima?
Marco Pacuvio nacque il 29 aprile del 220 a.C. a Brundisium, l’attuale Brindisi. Il toponimo deriva dalla forma caratteristica del porto della città che ricorda la testa del cervo per la sua ramificazione, sia il greco con “Brentesion” sia il messapico con “Brention” traducono “testa di cervo”. Al tempo Brundisium, come Rudiae, era influenzata dalla cultura greca. Pacuvio discende da una famiglia di origini osche, morì a Taranto il 7 febbraio del 130 a.C.
Plinio il Vecchio ci racconta che la madre era sorella di Quinto Ennio, un’altra fonte, invece, Sofronio Eusebio Girolamo ci racconta che fosse nipote di Ennio e dunque figlio della figlia. Si pensa che la seconda fonte sia in errore, e ci si avvale preferibilmente della testimonianza di Plinio il Vecchio.
Pacuvio fu istruito proprio da Ennio ed inizialmente, a Roma, si occupò di pittura anche se in adolescenza aveva avuto dallo zio precetti di filosofia di grande livello, complice anche la società multiculturale nella quale era nato.
“La fortuna è folle, cieca e brutta: certi filosofi dicono così
E raccontano che sta su u masso che gira come una ruota:
e dove il caso spinge il masso, dicono, lì la Fortuna rotola.” – Pacuvio, dal “Chryses”
Frequentò gli stessi ambienti di Ennio, e dunque il Circolo degli Scipioni, si legò in un rapporto di duratura amicizia con il politico romano Gaio Lelio (secondo quanto ci racconta Cicerone). I suoi versi sono permeati di teorie filosofiche che vogliono, attraverso i personaggi del mito greco, sensibilizzare l’ascoltatore (ed, oggi, il lettore di ciò che è rimasto) all’analisi dei vari punti di vista.
“Dicono che sia folle perché è dura, incerta e instabile,
e che sia cieca, dicono, perché non vede affatto dove si va a buttare,
bruta perché incapace di distinguere chi ne è degno e chi no.” – Pacuvio, dal “Chryses”
Produsse circa dodici tragedie delle quali noi oggi possediamo circa 365 frammenti, non ebbe dunque molta fortuna con i posteri anche se lo si può denominare come il primo grande tragico latino. Infatti, Pacuvio si dedicò solamente alla tragedia in ambito letterario, trascurando totalmente gli altri generi, a differenza dello zio. Le tragedie sono di ambito culturale greco (fabula cothurnata).
Per esempio ne “Chryses”, di cui ci restano trentanove versi, si deduce che i protagonisti siano Oreste, Ifigenia e Pilade. I versi che ci sono pervenuti di grande bellezza e trattano del cosmo e del Sole con una descrizione da grande erudito.
Erano tipici gli excursus filologici nei quali Pacuvio rifletteva e riportava le differenze delle parole greche contrapposte a quelle romane e, talvolta proprio per questo motivo poteva annoiare qualcuno con la sua ostentata erudizione, ma di sicuro è stato molto apprezzato per la serietà con la quale affrontava il teatro.
“Ma alcuni altri filosofi, al contrario,
dicono che nessun male è a lei dovuto, e che tutto di svolge per un caso.
È l’esperienza dei fatti che ci insegna
Che è più vicina al vero questa voce:
come Oreste che – da re nacque –
un pezzente è adesso diventato.” – Pacuvio, dal “Chryses”
La trama de “Chryses” la possiamo ricostruire dalla tragedia di Euripide secondo la quale Oreste, Pilade, Ifigenia e la statua di Diana dalla Tauride approdano in un’isola sconosciuta, Sminte, nella quale abita un sacerdote di Apollo, Crise il vecchio, padre di quella famosa schiava che bramò Agammennone, Criseide.
Gaio Lucilio (Sessa Aurunca, 170 circa – Napoli, 102 a.C.), l’inventore della satira, fu molto duro con Pacuvio sostenendo che egli, Ennio ed Accio sono stati molto apprezzati dai romani soltanto perché trattavano di esseri fantastici nei loro testi.
Si invita il lettore a rileggere la citazione iniziale nella quale proprio Pacuvio, con grande ironia, sostiene una tesi contro la divinazione sussurrando all’orecchio dell’ascoltatore di ascoltare coloro che comprendono la lingua degli uccelli in volo ma di non averne conto per decidere le azioni da compiere. Se un autore decide di trattare di esseri alati come draghi è perché cavalca il mito ed utilizza le metafore poetiche che al tempo, come oggi, sono rimaste di grande fascino.
Written by Alessia Mocci
Info
In foto: particolare del dipinto “Il poeta Tibullo” del pittore Lawrence Alma-Tadema, del 1866. La maschera tragica è stata presa da un mosaico di Pompei (Casa del Fauno).
Rubrica Poesia classica latina