“Le inchieste di Chindemi e Tamagnini – Rotta di collisione” di Pio Raccuglia: un thriller minimalista
Un thriller può seguire, come ogni altro tipo di romanzo, diverse traiettorie, tutte mirate all’aumentare l’aspettativa del lettore; ma anche cerca di modulare la sua tensione emotiva.
Un esempio celebre è quello di Agatha Christie, scrittrice che privilegia l’aspetto speculativo del plot, che provoca domande che ogni volta spuntano improvvise, come tanti funghi, ovviamente tossici.
Perché si uccide? Principalmente per denaro, per vendetta o per passione amorosa.
Perché l’assassino è lui e non può essere che lui? Perché, come ogni equazione ha almeno una soluzione, ogni delitto ha almeno un colpevole. Raramente due. Rarissimamente tre. Quasi mai quattro.
Pio Raccuglia è uno scrittore sui generis e imprevedibile.
È importante in ogni caso celare fino all’ultimo la chiave delle suddette soluzioni? Sì, anche se essa può assumere forme e contenuti diversi a seconda della psicologia dell’autore.
Tutto ciò è importante, ma non è tutto. Quel che più conta è la modalità con cui è tessuta la narrazione.
Pio Raccuglia è un autore che tende al minimalismo, alla descrizione minuta delle piccole cose. Non tutti avrebbero la pazienza e l’ardire di descrivere in un capitolo (l’VIII) le regole che valgono nella variante del poker giocato da un gruppo di ragazzi, in cui, casualmente, potrebbe partecipare uno dei colpevoli. Oppure no. Chissà?
È anche uno scrittore di tipo esistenzialista. A lui interessa narrare di incontri, di fatti, di incidenti, di omicidi, di atti sessuali, di violenze gratuite, di fughe, di attentati, di azioni di guerriglia e di tanto altro.
Ma, soprattutto, la sua attenzione è mirata a certe minutezze che sanno descrive l’uomo o la bestia umana, in ogni caso il bipede implume che, esistendo nella sua quotidianità, soffre: un suo sguardo, un’espressione, un’esclamazione, un acuto dolore, un grido, un pensiero improvviso, qualunque essa sia. Anche triviale, se è il caso.
“… Comunque una cosa lasciamela dire lo stesso. Posso?”
“Prego, di’ pure.”
“Vaffanculo!”
Ogni personaggio ha il suo idioma, il suo perché, come si suol dire, e questo fa sì che il romanzo sia gustosamente farcito di espressioni variegate, del tipo:
“Cucu, ce nessuno?”
“… alla signora piaceva fèr la vâca tótt al dé”
“… e ci abbiamo parlato…”
“… ci passò a fami a criatura?”
“… questa storia mi sta sulle palle…”
“Minchia che culo che ha! Lui gliele può taliare e io no” – qui è da notare il corsivo che esclude il termine siciliano per guardare.
“Am in dspies. A n ò brişa capé” – una strana variante di arşân.
“… ci darò due dei miei…”
“Where are you leading us?”
“Minchia, ti devi assittare…”
“Bi xêr bê, fransi!”
“Te sei propri un pirla!”
“Pôver ctè, come sei ridotta!”
“… La ‘un macina più.”
“Sembrano delle peschmerga.” – ovvio che tutti sanno di cosa si sta parlando.
“…l’amur, la fiama e la tuss se fan cugnuss.”
“Sembrano proprio dei blîguel divén!” – appunto.
“Allora, voi votà l’ssacco?”
“Sole a tinchitè.”
“Ho capì nagott, ma va ben inscì.” – anche il lettore faticherebbe un po’ a capire, se non fosse per le note a piè di pagina.
“Ma se l’è del tutt ciôcch!”
“Ma và a dà via i ciapp!”
“E perché lo vuoi fare te?”
“Bartolo, ti sei ingrullito?”
“… ho un impegno in pretura.” – il personaggio ignora che quell’istituto non esiste da anni, sostituito dalla Procura (probabilmente egli vede troppa televisione).
Il libro finisce così (ehi, non sono mica uno spoiler io, eh!): “Ma te vo fa gli affaracci tuoi, maremma majala?”
E ce ne sono tantissimi altri di ‘sti strambi esempi di argot, ma questi sono forse i più icastici.
L’autore non lesina certe espressioni colorite. Ne riprendo per pudore soltanto un paio:
“… fermati più avanti a far finta di pisciare…” – questo la Christie non se lo sarebbe permesso, e forse nemmeno Cornell Woolrich.
“Gli ho menato anche i testicoli. Devo averglieli spappolati!” – atroce e doloroso gesto.
Infine l’autore non disdegna di descrivere, entrando a volte nei particolari, certi atti erotici e alcuni efferati delitti, senza per altro mai eccedere nella misura.
Ma occorre senz’altro sottolinearlo: egli si comporta sempre come un realista esistenziale.
Un cenno alla storia, che merita di essere letta. L’intreccio di Le inchieste di Chindemi e Tamagnini non è per nulla banale, è anzi originale. Il sottotitolo dà l’idea di quel che condurrà al delitto, pur occorrendo scorrere tutto il libro per conoscere i suoi autori veri.
Gli scenari sono variegati, nostrani, ma a tratti esotici e spesso intriganti.
La scrittura di Raccuglia è piacevole e ricca, anche se mi rendo conto che tutti questi regionalismi possano non risultare a tutti graditi. A me gustano assai. E poi ci si abitua, pagina dopo pagina. E ti accompagnano fino allo scioglimento finale del rebus investigativo, come accade in ogni thriller che si rispetti.
Written by Stefano Pioli
Il commento sul libro di Pio Raccuglia lo trovo calzante e puntuale sotto ogni punto di vista; naturalmente ho letto il libro e non posso che condividere la straordinaria originalità sulla narrazione dei fatti che si susseguono rapidamente, mutando spesso scenario che incuriosisce il lettore, coinvolgendolo nella descrizione di eventi tanto improbabili quanto realistici perché coerenti con l’epoca storica attuale.
Una storia tanto assurda da parere assai probabile