“Crepa poeta” di Stefano Raspini: un homo humilis creato dall’humus
Uscendo ogni dì dal tuo guscio umano, ignori se ti possa capitare quel giorno d’incontrare Stefano Raspini. Lui che è un Poeta forse lo sa.

Mi capitò ieri di recarmi, in un gelido mattino in cui fischiava il vento della sigaróla, alla Libreria del Teatro, luogo dell’anima letteraria reggiana, per comprare il quarto libro della se…
Ma stiamo parlando di questo Poeta, ora, a questo Poeta, e non di e ad altri.
Caro Stefano Raspini, ho letto le poesie urlate nel tuo libro Crepa poeta e ho subito colto da ognuna uno o più versi, quelli che più mi sono entrati in quel pertugio che si chiama anima, a cui ho vilmente accodato un mio discorso a latere. Era mia intenzione farti un giorno dono della mia reazione.
Ma c’ho ripensato. Sarebbe stato come rispondere con pernacchie o una lettura di Heidegger a un’enciclica papale.
Mi sono limitato a reagire all’illuminante postfazione di Rosaria Lo Russo.
“È il Poeta Naïf in versione Bambino Incazzato…” – non discuto sul Bambino, né sull’Incazzato, ma sul Naïf. Tu, Stefano, lo sei, Ingenuo, come tutti noi, a volte di più, a volte di meno. Ma sei anche uomo infarcito di letture, anche tu Bestia Letteraria.
Fra gli autori che sento che hai fatto propri, azzardo solo un nome: Gregory Corso.
Mi sembri sempre conscio di quel che sta facendo, anche quando pari esistere Fuori di Sé.
Oppure è semplicemente fuoriuscito il tuo Sé, col tuo Io che lo osserva avidamente.
Ora siamo internati in una pandemia: abbassiamo le maiuscole, dove si può.
Il sé, come l’acqua, ha sempre ragione e sa dove scorrere.
La tua non è una ragione fondata sulla Ragione, perché quest’ultima è soltanto una delle tante Illusioni: e la Ragione la si dà a Coglioni. Ma sul tuo proprio liquido che una volta sparso bisogna attendere che s’asciughi.
“Non fa paura la rabbia di Stefano sul palco, è catartica” – la tragedia si crea prima, e dopo, non durante, intuisco, l’esibizione, che è puro dramma.
Carmelo Bene definiva i suoi testi teatrici come scrittura scenica, non opera letteraria. La sua esibizione era l’unico e assoluto atto che serviva a far ardere quelle scarne ed eccessive parole.
Lo stesso, immagino, capita durante i tuoi happening.
Se la tragedia non ci fosse, tu la inventeresti.
Ma c’è e viene utilizzata come combustibile che brucia e riscalda l’uditorio.
Diverso è il discorso da farsi a proposito di un testo libresco.
“Ben presto mi ha colpito l’umiltà di Raspini…” – Rosaria ha fatto bene a rivelarla, perché può fuggire. Essa prende vita nell’humus che tu vai da tutta la tua esistenza scavando dentro di te, come se fossi una talpa.
Dal basso, Poeta, tu gridi come un homo humilis creato dall’humus: tre vocaboli che hanno il medesimo etimo.
Sei l’anarchico che disconosce l’altezza di chicchessia, anche la propria. Dal terriccio si genera la tua poesia, che è intrisa di fango, d’insetti dal volto cadaverico e di radici strappate al terreno.
T’ho incontrato una sera, Poeta, per caso, di sfuggita e in casa d’altri.
Facebook mi ha svelato la tua arte giornalmente.
T’ho talvolta zittito e una volta t’ho bannato.
Chi non ha mai bannato Stefano lanci il primo mouse.
Ci sono tre varianti del vir-virus Raspini:
a) quello che allucca nelle pubbliche letture;
b) quello che posteggia su FB;
c) quello che emerge in questo libro.

Trino, ma sempre incredibilmente Uno.
Eppure si tratta di tre persone distinte, che:
a) spero di conoscere presto;
b) a volte schifo perché la parola dev’essere pulita quando appare a noi schizzinosi;
c) quello che ho iniziato ad amare, grazie anche all’anonimo e orgoglioso lavoro di Rosaria.
Pur non avendo mai vissuto il tuo canto in presenza, anch’io in te “vedo affiorare tracce e a volte lasse di una poesia inaudita.”
A udirle, pur così sfuggenti, non saranno più inaudite e si perderanno nell’abissale caos: odioso pleonasmo.
Serve leggerle su quell’eburnea cellulosa per capirne e carpirne la violenza, l’assordante virilità, il suo verde fluorescente, la sua vis, la forza energetica che non ti aspetti da un silente libro, ma che solo in quel luogo può, per l’eternità, essere.
Dal vivo tu conflagri, e l’effetto d’un tratto si placa, e col tempo svanisce.
Dallo stato di zombie feisbucchiano, tu esplodi e all’istante ti dilegui.
Su carta, di continuo tu ondeggi per l’eternità a ogni verso e vocabolo.
Nella scrittura pubblicata si perde quell’anonimia di cui dice Rosaria, che contraddistingue la poesia dalle altre umane attività.
Mi correggo: è arsa in buona parte, ma continua a covare sotto le ceneri.
Entrando nelle viscere di quell’animaletto gonfio di pagine, il seme della poesia non può che nascere, battezzarsi e infine morire.
Mi dispiace Raspini: ora ti hanno finalmente catturato, incatenato e ucciso.
Crepa poeta…
… ma tranquillo, avrai il tuo loculo personalizzato e col tuo ormai mitico nominativo inciso nel marmo (o su wikipedia, se ti va da dio).
Marmoria è l’antico vocabolo arşân per Memoria.
Si è liberato Prometeo e quel Tale figlio di quel Tal Altro, e anche tu potrai farlo.
Risorgerai allorché quel peloso quadrupede scivolerà nella mano di un primate qualsiasi, che lo ingurgiterà con tutto il muso e la coda, come si fa con una nutria spolpata e appesa a un filo.

Il lettore è un medium che farà ogni volta riviverne lo spettro, trapassato o vivente che sia.
Ogni volta che accade quel catartico evento, si crea la necessaria consustanziazione (non la transustanziazione, per la mà!): io e te saremo per sempre ignobilmente correlati.
E rimembra ogni mattina che ti levi dal tepido letto, ricorda, Poeta che a thing of beauty is a joy for ever!
Speróm dai!
Written by Stefano Pioli
Bibliogragia
Stefano Raspini, Crepa poeta, Edizioni Argolibri di Ancona, 2021