“I ragazzi della via Pál” di Ferenc Molnár: di quante feroci umanità sono stato l’inconsapevole complice?

È il libro giusto da leggere subito dopo il terribile Uno splendido isolamento di Edna O’Brien, che narra della verde Irlanda arrossata dal sangue di tanti suoi figli, e che mi ha recato tanta sfiducia per l’umanità, tanta diffidenza verso l’uomo.

I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár
I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár

Il tema è lo stesso: il conflitto che sorge fra gli umani di tribù diverse per il possesso della medesima terra.

Nella splendida introduzione, il compianto Marcello D’Orta, professore e scrittore, autore del celeberrimo Io speriamo che me la cavo, nativo del cuore antico di Napoli, dice: “… gli eroi del libro di Molnár si fanno guerra per conquistare uno spazio, uno spazio in cui poter giocare, in cui poter ‘liberare’ il proprio corpo, mortificato, castigato dalla ‘cattività’ casalinga e scolastica…” Queste creature volevano soltanto giocare in una città in cui altre esigenze predominavano. Un’analoga situazione Marcello l’ha vissutaal vico Limoncello 21, Porta San Gennaro, nel cuore antico di Napoli.

Entrambi i miei figli ignorano l’esistenza di questo classico della mia infanzia, che io non lessi a suo tempo perché ero impegnato a giocare a pallone e a correre spensierato nelle vie. Questa condizione quasi paradisiaca, che col tempo la mitopoiesi ha forse enfatizzato, è stata loro estranea, non avendo essi vissuto quel che per me era la norma: scendere in cortile e trovare ogni volta dei compagni di gioco. Per andare a trovare i loro amici, essi dovevano essere condotti in auto da noi adulti.

Questo è uno dei tanti indicatori di com’è mutata la vita nei decenni. La storia dei ragazzi della Via Pál è ambientata a Budapest all’inizio del XX secolo. Marcello e io siamo temporalmente equidistanti fra loro e i fanciulli delle nuove generazioni. E possiamo tentare di comprenderli entrambi. Più di me, Marcello ha sofferto della mancanza di spazi che ha reso inevitabile lo scontro fra adolescenti ugualmente meritevoli di felicità.

Nel quartiere vi sono due bande, una agli ordini di János Boka, che “pareva un ragazzo savio e s’era messo in cammino nella vita come colui che, se anche non raggiungerà una posizione brillante, terrà sempre il suo posto con onore.”; l’altra è guidata da Feri Áts,robusto, aveva le spalle larghe e i capelli castani”: anch’egli un tipo autorevole e saggio, con “un’aria da condottiero”.

L’unico modo per seguire l’intento etico dell’autore, che è abilmente sotteso a una narrazione ricca di grazia e d’empatia, è evitare accuratamente di parteggiare per una delle due schiere. Occorre provare pena per ciascuno di queste giovani vittime del cosiddetto progresso, che dona la vita, talvolta la toglie, ma limita gli spazi sempre e a chiunque, anche se privilegiato dalla sorte.

Boka è un capo giusto. Al momento delle votazioni compie un gesto nobile, votando per il suo avversario. Poi si adombra leggermente, quando scopre che, pur avendo stravinto, due ufficiali hanno votato il suo avversario, e il fatto lo sorprende. Chi ha avuto i tre voti ne è invece orgoglioso e forse in quel momento medita il tradimento.

Il vero protagonista del romanzo è Ernö Nemecsek, che l’autore definisce per lo più il biondino, piccolo, emotivo, pauroso, coraggioso, idealista, sincero, sognatore, sfortunato, uno che è destinato a pigliarle da tutti, ma soprattutto dalla vita. Una sua azione eroica viene fraintesa e la Società dello stucco decide di espellerlo, scrivendo il suo nome in minuscolo nel registro dei traditori, ernö nemecsek, in segno di spregio imperituro.

Molnár descrive il terreno disputato dalle due bande:Quel piccolo pezzo di terra, quella minuscola pianura limitata da due case che per la loro anima fanciullesca significava l’infinito e la libertà: che al mattino era una prateria americana, il dopopranzo si mutava in steppa ungherese e sotto la pioggia diventava mare e nell’inverno il Polo Nord… Un amico, che si trasformava secondo i loro desideri, per farli divertire sempre di più…

Nel proclama di guerra si dice, tra l’altro: “… Se sarà necessario difenderemo questa terra con la nostra vita…

Lo scontro è imminente. Vi sono, in una delle due nazioni, due irriducibili rivali, sempre in dissidio fra di loro, in modo non dissimile dai nostri politici. Il Generale ordina loro di fare subito la pace: “Altrimenti mando via tutti e due. Non si può combattere una battaglia se non si è in perfetta armonia.” Questa e altre severità non sono discusse, perché “tutti comprendevano che in tempo di guerra non è possibile ottenere obbedienza con sistemi diversi.” La guerra è un misfatto non solo atroce, ma anche maledettamente serio.

Il Generale sente che questa è una prova generale per il giorno in cui dovrà difendere la sua patria e combattere da adulto la sua battaglia esistenziale. Un uomo non pare abbastanza eroico se non ragiona in termini di conflitti e di come cavarsela, lui e la sua combriccola di cari.

Ferenc Molnár
Ferenc Molnár

Quando è attestata l’innocenza del biondino, la Società dello stucco decide di riabilitarlo. Uno dei due capi partiti vorrebbe cancellare senza indugi il suo nome dal registro dei traditori; l’altro invece crede sia più corretto riscriverlo con le iniziali maiuscole e solo in un secondo tempo cancellarlo. Questo busillis da nulla assomiglia alle diatribe che riempiono le giornate ai nostri parlamentari.

Ernö Nemecseksi fece triste” perché, a causa della sua salute malferma, non avrebbe potuto partecipare alla battaglia. Finita la quale, l’eroe che riesce, in un modo sorprendente, a compiere il gesto che determina la vittoria della sua fazione, il nostro solito e sempre più febbricitante biondino, viene accompagnato a casa da quell’esercito composto solo da ufficiali di cui egli fu sempre il più semplice dei soldati: “Quello che stavano facendo era per loro così importante, direi quasi sacro, che non si sarebbero lasciati distogliere” da null’altro. Una sacralità che, pur tardiva, angustierà i cuori di una generazione.

Non importa chi abbia vinto la guerra, né quale sorte spetterà al nostro prode combattente.

Alla fine tutti i ragazzi comprendono l’enormità di quello che è successo, ma ormai il destino si è compiuto. Il mondo ha un martire in più, anche se niente è apparentemente cambiato, se non nelle loro coscienze. Chi aveva tradito si riabilita chiedendo perdono. Chi ha combattuto compiange chi ha pagato per tutti.

Al Generale viene infine detto che il loro campo sarà presto occupato da una grande casa a tre piani”, un’enormità a quell’epoca, simile, forse, a quella in cui abito io. Vincitori e vinti sono accomunati da una nuova e irrimediabile sconfitta sociale.

Edna lo scrisse, nel libro citato: “Piange, la terra, e c’è poco da meravigliarsi. Ma la terra non può essere occupata; è lì”.

Sarà sempre e ogni volta sarà presa in affitto dal pre-potente di turno, da chi ha vinto la sua piccola e maledetta battaglia e la cui gloria si trasformerà prima o poi in un disgraziato Nulla.

E io sono ora combattuto da alcuni sentimenti contrastanti.

A quanti eroi della Storia sono debitore della mia amata libertà?

A quanti martiri dovrò chiedere perdono per essere ora qui?

Di quante feroci umanità sono stato l’inconsapevole complice?

Chi sarà così scevro da colpe per potermi un giorno rispondere?

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Ferenc Molnár, I ragazzi della via Pál, Newton Compton Editori, 1995

 

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