“Sarei forse più sola” poesia di Emily Dickinson: il volontario isolamento dal mondo

La pace e la speranza, così immense nelle loro promesse per l’umanità, sono vissute dalla poetessa come presenze problematiche: esse potrebbero, infatti, turbare il delicato equilibrio della sua solitudine.

Emily Dickinson poesie Sarei forse più sola
Emily Dickinson poesie Sarei forse più sola

“Sarei forse più sola”

“Sarei forse più sola
senza la mia solitudine.
Sono abituata al mio destino.
Forse l’altra – la pace –
 
potrebbe spezzare il buio
e riempire la stanza –
troppo stretta per contenere
il suo sacramento.
 
La speranza non mi è amica –
come un’intrusa potrebbe
profanare questo luogo di dolore –
con la sua dolce corte.
 
Potrebbe essere più facile
affondare – in vista della terra –
che giungere alla mia blu penisola
per morire – di piacere.”

 

La solitudine, la pace, la speranza.

Entità che Emily Dickinson si trova a dover fronteggiare, nella sua vita solitaria ed isolata.

La solitudine, in particolare, è per lei una presenza che, per paradossale che possa sembrare, allevia il suo (volontario) isolamento dal mondo: è l’ospite a lei più cara (e forse qualcosa di più, come vedremo) nel suo mondo personale, così ricco di sensibilità, di sensazioni, di ispirazione.

La pace e la speranza, così immense nelle loro promesse per l’umanità, sono vissute dalla poetessa come presenze problematiche: esse potrebbero, infatti, turbare il delicato equilibrio della sua solitudine, una simbiotica alchimia con la sua stanza e il sentire così elevato e sottile della poetessa americana.

Che cosa è di più sacro per lei?

Non la pace, perché potrebbe “riempire la stanza” (v. 6), ma quest’ultima è “troppo stretta per contenere/ il suo sacramento” (vv. 7-8).

Neppure la speranza, la quale “potrebbe/ profanare questo luogo di dolore” (vv. 10-11).

A Emily più sacra è la sua solitudine, libera, anche nei suoi risvolti di (inevitabile) dolore.

Quella solitudine che diviene sempre più un alter ego della poetessa (o forse lo è sempre stato), non semplicemente un doppio, né un riflesso, quanto piuttosto una sorella gemella.

Questa solitudine dal profumo di dolorosa libertà è un approdo in cui Emily, se lo raggiungesse con tutto il suo essere, potrebbe “morire – di piacere” (v. 16), una “limpida penisola” (v. 15), traduzione peraltro imprecisa (alla lettera sarebbe “penisola blu”) che fa mancare parte del senso di ciò che l’autrice vuole enigmaticamente e simbolicamente comunicare.

Questa penisola blu non è forse il suo angolo di cielo, che dalla Terra, o per meglio dire dalla sua camera, spicca il volo?

Un sospiro di Infinito, come se la sua stanza perdesse i suoi confini e la poetessa potesse vedere, citando il titolo di una bellissima canzone scritta dal cantautore Gino Paoli nel 1960, “Il cielo in una stanza”.

Riporto qui la poesia in lingua originale:

“It might be lonelier
Without the Loneliness –
I’m so accustomed to my Fate –
Perhaps the Other – Peace –
 
Would interrupt the Dark –
And crowd the little Room –
Too scant – by Cubits – to contain
The Sacrament – of Him –
 
I am not used to Hope –
It might intrude upon –
It’s sweet parade – blaspheme the place –
Ordained to Suffering –
 
It might be easier
To fail – with Land in Sight –
Than gain – My Blue Peninsula –
To perish – of Delight –”

Written by Alberto Rossignoli

 

Bibliografia

Emily Dickinson, “Poesie”, Newton Compton Editori, Roma, 2015

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

OUBLIETTE MAGAZINE
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.