“Storie sbagliate” racconti e poesie a cura di Ilaria Biondi, Ilaria Negrini, Maria Cristina Sferra: il confronto con il sé
Apro il libro nella mia comoda poltroncina di lettura e mi ritrovo catapultato su un percorso che si lancia nel centro di pericoli spaventosi, senza protezione. Via veloce come se la narrazione fosse un viaggio su un vecchio pullman scassato. Salti, scossoni, sballottamenti, sbandate tra un costone roccioso e un precipizio profondo proprio sotto i finestrini di questo mezzo sgangherato. Paura. Paura che più avanti sarà peggio.

Il viaggio è una metafora, ma le sensazioni sono vere, e sono quelle che incontri in Storie Sbagliate, antologia appena uscita con la collaborazione di varie autrici (Golem Edizioni 2020), dove il viaggio è un quasi viaggio da incubo.
Sono tutte storie di donne speciali, madri, figlie, bambine, spose, donne, donne che hanno subito, donne che hanno pagato. Donne che non hanno mai conosciuto il rispetto. Donne che qualcuno spesso ha buttato via come un cappotto vecchio.
Donne che avevano dentro bellezza, amore, voglia di vivere, sguardi incantati, occhi per guardare il futuro. Un futuro che spesso non potranno più guardare.
Donne tradite, donne tradite da una vita che per loro aveva sempre un risultato negativo. Donne che incontri in queste pagine, di storie dure, anche senza pudore e senza reticenze. Perché sono Storie sbagliate, e qui il racconto lascia in bocca il sapore acre della polvere da sparo.
È un viaggio veramente difficile. È come arrampicarsi con un pullman precario, appunto, su una stradina che scorre al bordo di un precipizio. Che normalmente ti giri dall’altra parte, o chiudi gli occhi finché non è finito. Ma qui guardi giù in quello strapiombo senza parapetto, e senti il vento della vertigine del vuoto. Ti manca l’aria, ti fa male tutto, ti escono le lacrime.
Parole, pagine, lacrime. Volo precario, forse precipitare.
Il libro è una sequenza di quadri, di narrativa o di versi, che affondano nella violenza sulle donne. Storie vere, che diavolo! Storie vere, o verosimili, mannaggia!
Molto spesso ispirate a fatti di cronaca: raccontate anche con la voce delle protagoniste che non lo possono più raccontare. Loro parlano, o parlavano, e il libro fa tacere tutto il resto.
La cifra di scrittura è sempre molto alta. Vai avanti affascinato dall’aspetto letterario. Sono belle pagine e c’è una sorprendente continuità di stile tra tutte le autrici. Quasi una voce univoca, come un unico spartito suonato da tanti strumenti. Infatti non ci sono linee spezzate tra una voce e l’altra, ma una sorta di continuità che attraversa tutte le sensazioni. Per poi salire ancora di tono nelle poesie, dove i versi dischiudono mondi ombrosi, dischiudono sofferenza affilata.
«Non chiamarmi Isabella,
non chiamarmi affatto
perché io non mi volterò
mai più».
Ritmo veloce. Accusi la sferzata di vento freddo e sei già in un altro quadro. Via, emozione, rabbia, sangue, paura, ribellione soffocata, sangue, ferocia, senso di inadeguatezza, sangue. Un’altra pagina, un altro racconto, stessa intensità, sangue. Riparti con una storia nuova, aspettando di capire dove farà male. Farà male sotto la cintura con un colpo proibito, sangue.
Lungo le pagine segui la scia di sangue e ritrovi emozioni veloci. È stranissimo come in Storie sbagliate le emozioni siano così rapide: le vedi passare lanciatissime come come un treno diretto che non si ferma alle stazioni. Le percepisci, le scorgi in lontananza come la sagoma nera di una locomotiva, le senti in un frastuono di ferraglia molto distante, che poi si avvicinano, sempre più vicine, eccole scure e inquietanti, arrivano velocissime che non si può pensare di fermarle e sono lì. Saetta, botto, via. Vuoto.
Resta un fischio acuto si conficca nella testa, un battito di ciglia ché hai chiuso gli occhi per lo spavento improvviso, e sono già passate.
Però quello che ti lascia stupito è proprio che il fatto che non ti abbiano stupito. Ti hanno sfiorato, graffiato, forse colpito, ma senza provocarti stupore. Hai terrore di esserti abituato. Perché quello che ti è passato davanti veloce era un mondo omologato.
Ecco, secondo me, sta qui la stilettata più bella e più profonda della antologia. Questo libro ha il rarissimo pregio di metterti a confronto con te stesso. A confronto con te stesso perché ti sfida a chiederti se il mondo che racconta sia omologato, normale, quotidiano. Il mostro è normale, e lì, al nostro fianco.
Si vola a scendere dove l’abbietto diventa scontato e il raccapriccio, ordinario. Le donne, le vittime, le donne finché erano vive santo cielo, finché erano donne, le abbiamo lasciate a credere che tutto quel nero si considerasse semplicemente spiacevole. Normalmente spiacevole.
Era “soltanto” spiacevole, e non ce ne siamo accorti. E adesso non c’è più niente. È tutto scritto lì, sui fogli che hai davanti.
È raccontato con cruda delicatezza, con gli occhi di cielo delle donne che vedevano un mondo sbagliato, e non lo potevano sapere che quel mondo era sbagliato. Vittime due volte. Vittime pensando che fosse normale, o meno peggio, o che erano loro inadeguate. Loro sbagliate in un mondo normale. Ecco, questo insinuarsi del mostruoso come se fosse normale è la cosa peggiore in assoluto.
Nel libro lo vedi come in uno specchio, si insinua sottocute, e incide la coscienza. Una normalità avvelenata, strisciante, che ferisce anche chi non è carnefice, e non lo sarà mai. Pensi che grazie al cielo non sei lì, tra queste donne che il mondo chiama stupide, chiama serve, chiama puttane, ma senti il raspo in gola per non essersi ribellato di più, di più e di più…
«Non dimenticate.
Non sono state vittime per nulla, se non le dimenticherete, se ascolterete le loro vicende, se ne abbraccerete i ricordi e le paure, se ne riempirete le voragini del corpo e dell’anima con la voglia di dire basta».

Devo confessare che questo libro mi ha colpito. Devo confessare che questo libro mi ha profondamente emozionato e che le mie emozioni hanno subito deragliato. Devo confessare che almeno cinque volte sono stato tentato di chiuderlo e finirla lì, perché… perché… perché non si poteva!
Ma un libro bello non lo puoi abbandonare, devi lasciare che ti parli anche quando le parole sono difficili da mandar giù. E vai avanti ancora, che forse poi migliora, ancora qualche paragrafo che poi migliora, ancora qualche riga… e invece no. Senti proprio dentro la testa il mantra micidiale, quello stesso mantra che ha illuso tutte le vittime, quel mantra pericoloso e spergiuro: “… tanto poi migliora”.
No.
E ti vergogni perché sei dello stesso genere di quelli lì. E la vergogna si riflette in un caleidoscopio e diventa un macigno. Meglio. Portiamo un perso più gravoso, che magari ci aiuta a espiare.
Espiare, è difficile, e forse non sarebbe neppure giusto. Infatti, nell’antologia, gli uomini, i carnefici, non hanno quasi mai voce. Le autrici li lasciano sullo sfondo, sfuocati, o sotto luci sinistre, ad aleggiare senza esprimere condanne dirette contro di loro. Non sono orchi cattivi, disperati e insicuri, o che avevano troppo amore o troppa gelosia, sono solo assassini. Non hanno attenuanti, senza nessuna discussione.
Giusto così.
Vai avanti che tanto farà male, ma vai avanti, senza un vaccino che non esiste, senza difese immunitarie, esposto senza protezione. Ma senti che è importante andare avanti perché vuoi sentire dentro di te anche la storia che c’è dopo.
Magari poi migliora…
Ci speri, in fondo è un libro. E un libro dovrebbe metterti al sicuro dentro la sua area di confort, e invece qui non riesci a staccare perché poi è anche tutto reale. Sono storie vere, sono Storie sbagliate vere. Le distanze dalla realtà si azzerano, d’improvviso sei sulla scena del delitto, ma non puoi far niente, puoi soffrire, con la fidanzata, la moglie, la bambina, la ragazza, la ragazza che ci credeva. Puoi soffrire, straziarti, il libro ti mette lì dove si pugnala, ma non puoi far niente. È già successo, solo tormento e rimpianto, adesso. Il libro te lo comunica senza mediare, va direttamente a sconvolgere nella pancia.
Però quando chiudi l’ultima pagina è come scollinare dopo una salita dura. Senti tutto il peso che ti macera le gambe e l’anima, ma senti anche tutta la forza della rinascita. Senti che tutte quelle che se la sono giocata fino alla fine hanno lasciato qualcosa di grande che non va sprecato, senti dentro di te che si deve andare avanti, anche per loro.
L’eleganza dei sentimenti, il profondo rispetto per la vita contro le atrocità scabrose di tutte le pagine, alla fine, riescono a pareggiare i conti: è pur sempre un libro, e anche se le emozioni corrono sul filo dei nervi, dopo l’ultima pagina hai appreso tanto. Come dicono i marinai: dalla tempesta esci sempre migliore.
Written by Pier Bruno Cosso
Info
Il progetto nasce da un’idea di Ilaria Negrini ed Ilaria Biondi, che lo hanno esteso a Maria Cristina Sferra e in seguito ad altre quattro autrici, Emma Fenu, Serena Pontoriero, Domizia Moramarco e Silvia Cappelli.