“Frankenstein” di Mary Shelley: quando il Mostro si affaccia alla tua finestra

Si deve ammettere con umiltà che l’invenzione non è una creazione dal nulla, bensì dal caos.”

Frankenstein - Mary Shelley
Frankenstein – Mary Shelley

È la frase con cui l’Autrice, nella sua introduzione, ridimensiona qualsiasi atto umano, per quanto creativo, riportandolo in toto alla dimensione umana e non divina: il bipede implume raccoglie da terra quel che è già creato, celato dal disordine cosmico, e prova ad ordinarlo, producendo in tal modo ad aumentare l’entropia del cosmo.

Non è dato ad alcun essere umano (a nessun ente in genere) la possibilità di creare quel Nulla da cui non si può attingere alcuna risorsa. Ma solo una folle speranza.

Il romanzo di Mary Goodwin Wollstonecraft, sposata Shelley, non pecca, ma eccede in illogicità di varia natura, soprattutto di tipo logistico, e questo, non lo riduce, ma lo conduce al rango di favola.

Morale della favola?

Se ce n’è una è quella con cui ho esordito.

Se ce ne sono altre, tenterò di scoprirne, in fieri, durante la lettura… che ora è finita. E non so ancora bene se…

Il romanzo ha una serie di io narranti, tre per l’esattezza.

Il primo è Robert Walton, un esploratore che ha uno scopo nella vita, raggiungere il Polo Nord, per uno sfizio non da poco: scoprire cosa attiri l’ago verso di esso.

Il secondo è Victor Frankenstein, ex alchimista e ora valente scienziato svizzero.

Il terzo è un mostro senza nome (fino ad ora, ma ci sto lavorando).

La parola io torna poi a Victor.

Infine, ancora a Robert.

Come la vita, anche quest’opera mitica abbonda di vari io e di figli di un io minore, ognuna con la sua voglia, che diventa necessità, di dire di sé all’Altro, che emerge ad esempio dalle lettere inviate agli amati e lontani io da Alphonse, padre di Victor, e da Elizabeth, figlia adottiva di quest’ultimo e sposa destinata di Victor fin dall’infanzia.

Vi è anche, ma solo virtuale, una certa Margaret Walton in Saville, adorata sorella di Robert. E poi ce ne sono innumerevoli altri, a cui non è dato che raramente la possibilità di dire io, ma che non sono meno da commiserare e compenetrare rispetto ai personaggi principali.

E campeggia all’orizzonte tutta una folla di comparse, figuranti e vittime di una Storia che, non appena li sfiora, li abbandona al loro forse irrisorio fato.

I tre io principali hanno in comune la tendenza a raccontare, ma forse confessare dà più l’idea, le proprie sventure, in modo così esaustivo e dettagliato da raffigurare se stessi come esseri che si affliggono alla ricerca d’un che d’ineffabile, e in tal modo commuovono.

Tutti e tre, ma in misura diversa.

Chi di più?

L’ardua risposta spetta al lettore. A me, per esempio, è capitato di provare una quasi astiosa antipatia mista a pena verso Victor, una leggera inquietudine nei confronti di Robert, una profonda empatia riguardo al Mostro che, in mancanza di un nome impresso nelle anagrafiche comunali di Ingolstadt (Germania), dov’egli è venuto alla luce, chiamerò d’ora in poi Mikha’el.

Non si sa bene perché, Mikha’el, appena preso coscienza, approfittando dell’assenza di papà, fugge come un razzo. Tenterò di abbozzare una spiegazione in itinere. E raggiunge Ginevra, dopo aver scoperto per caso, che il suo creatore proviene da quella città.

Nel frattempo viene ucciso William, fratello piccolo di Victor. Senza alcuna prova, viene arrestata e condannata a morte la governante della famiglia Frankenstein, l’incolpevole Justine.

La derelitta arriva a confessare il suo crimine, ma è innocente. Un orrido mostro confessore dotato di tonaca e di virulenza, l’assale brutalmente, l’intimorisce e, minacciandola di scomunica e del “fuoco dell’inferno in punta di morte” (assurda intimidazione, tipicamente religiosa), la costringe alla falsità, per cui verrà condannata a morte e uccisa sommariamente dalla Giustizia Umana.

Victor incontra Mikha’el e lo apostrofa:Detestabile mostro! Demonio che sei! Le torture dell’inferno sono una vendetta troppo dolce per i tuoi crimini! Miserabile demone!…” etc etc

Egli mi schivò con abilità, e disse ‘Calmati! Ti prego di ascoltarmi prima di dare sfogo al tuo odio sulla mia testa maledetta.’”

Il Mostro cerca di sedare la rabbia belluina che è insorta nell’uomo di scienza.

Mikha’el narra, come già fece prima Robert e poi Victor, la sua propria storia. Non si sa come, egli è riuscito, senza mai farsi scorgere, a vivere a stretto contatto con una tenera famigliola, da cui ha imparato come dovrebbe essere bello, forse, essere umani. Quella gente, povera ma felice, è composta da un papà orbo e tre vispi giovani (un ragazzo e due ragazze, le cui vicende sono raccontate con brio notevole dallo stesso Mikha’el, con una ricchezza di particolari che più che io narrante egli pare uno scaltrito e onnisciente scrittore), che rallegrano la quieta esistenza dell’anziano.

Ritratto di Mary Shelley compiuto da Reginald Easton,
Ritratto di Mary Shelley compiuto da Reginald Easton,

Mikha’el approfitta della loro momentanea assenza per farsi conoscere da questi, il quale, essendo cieco, non scorge in lui alcuna mostruosità. Il linguaggio che Mikha’el ha imparato in meno di un anno (periodo in cui quest’analfabeta di talento ha avuto modo di leggere autorucoli come Plutarco, Milton, che lo impressiona, e Goethe, il cui Werther lo impietosisce) è forbito, elegante e il tono della sua voce tranquillo.

Purtroppo i ragazzi, che sono ora tornati a casa, non sono privi della vista e, non appena lo scorgono, scappano spaventati. Mi correggo, delle due ragazze, una sviene e l’altra fugge terrorizzata. Il giovane, impavido, salta addosso al bestione (mi dimenticavo di dire che Mikha’el è alto più di otto piedi, due metri e mezzo circa) e lo riempie di mazzate in testa.

Mikha’el già soffriva di un atroce complesso dovuto alle sue membra sgraziate: “Avevo una figura orrendamente deforme e ripugnante…”.

Inoltre:Quando mi guardavo attorno, non vedevo né sentivo nessuno come me. Ero dunque un mostro, uno sgorbio sulla terra, da cui tutti gli uomini fuggivano e che tutti gli uomini ripudiavano?

La débâcle sociale influirà molto negativamente sull’autostima del povero Mikha’el. Nella capanna in cui ha trovato rifugio, egli aveva già scoperto i taccuini in cui Victor aveva annotato la genesi del suo progetto creativo, e ne era rimasto sconvolto: “Maledetto il giorno in cui ricevetti la vita!”, esclamai nell’angoscia,Maledetto creatore! Perché hai plasmato un mostro così orribile che persino tu ti sei allontanato da me con disgusto! Dio, nella sua pietà, ha creato l’uomo bello e attraente, a propria immagine, ma la mia forma è un simbolo corrotta della tua, ancora più orribile per la stessa somiglianza. Satana aveva i suoi compagni, i diavoli, ad ammirarlo e incoraggiarlo; ma io sono solo e detestato.”

Beh, i fatti si erano svolti così: Victor era dapprima fierissimo della sua creatura, per come era membruto e aitante, ma quando l’aveva visto bene in faccia, ha scorto in esso l’essenza del mostro e ne è rimasto orripilato.

Mikha’el, che stava quasi abbozzando un sorriso di riconoscenza, notò il disgusto che la sua visione aveva procurato al suo papà, e soprattutto assistette, oltre che al suo raccapriccio, anche alla sua fuga, in preda a visibile terrore.

Sono cose che un figlio non potrà mai dimenticare.

Si consideri attentamente l’avverbio negativo con cui comincia il suo discorso: “No; da quel momento io dichiarai guerra perpetua contro quella specie, e soprattutto contro colui che mi aveva plasmato e condotto verso questa insopportabile infelicità.”

Mikha’el se ne torna allora nella sua tanain uno stato di disperazione e di confusione totale.”

La famiglia che per mesi egli aveva ammirato da lontano, desiderando di essere da essa un giorno accolta, se n’era fuggita chissà dove, e per sempre, per il terrore causato dal Mostro:Per la prima volta il mio petto si riempì di sentimenti di vendetta e di odio, e io non cercai di controllarli; al contrario, lasciandomi condurre da quel flusso, portai la mia mente verso il male e la morte.”

L’odio-(amore?!) è diretto principalmente verso una persona: “Creatore insensibile e senza cuore! Mi avevi dato percezioni e passioni e poi mi avevi gettato via, oggetto di disprezzo e di orrore per l’umanità.”

Qui Mikha’el decide la sua vendetta.

La dolcezza del mio carattere era scomparsa e dentro di me tutto si era fatto bile e amarezza.”

Da notare la finezza, direi quasi femminea, dell’espressione.

Gli capita di salvare una vita umana da morte sicura, e riceve mazzate da un giovane contadino che fraintende, come sempre capiterà nella vita di Mikha’el, il suo operato.

Egli rimane ulteriormente angustiato.

E il fatto aggrava sempre di più la sua ira.

Giorno dopo giorno ribadivo i miei voti di vendetta.”

L’ingiustizia e l’ingratitudine di quei bassotti umani che lo fanno imbestialire. Nel vero senso della parola.

S’imbatte in William, bello come un cherubino, e s’illude che quell’anima candida possa provare empatia nei suoi confronti, e lo afferra, con dolcezza, ma questi vede il Mostro che è in lui e lo chiama “Brutto cattivo! Vuoi mangiarmi e farmi a pezzi! Sei un orco. Lasciami andare, o lo dirò a mio papà!

Mikha’el lo afferra per la gola per farlo tacere e in tal modo, involontariamente, l’ammazza. Il tragico fatto inaspettatamente lo inebria! Egli ha appena dimostrato a se stesso di poter vincere la sua guerra contro il genere umano!

Cane di paglia di Sam Peckinpah
Cane di paglia di Sam Peckinpah

Ricordo un film terribile, “Cane di paglia” di Sam Peckinpah, in cui il pacifico orco del paese, con evidenti disturbi mentali, tale Henry Niles, uccide in modo similare una ragazzina che lo stava seducendo per scherzo.

Da quell’assurda tragedia inconsulta scaturirà uno scontro sanguinoso fra belve che si consideravano normali umani.

Alla fine del racconto, Mikha’el rivolge una sola preghiera al suo creatore (leggasi sempre: inventore), che è ora combattuto tra l’orrore e l’odio verso l’assassino del fratello e un rigurgito di pietà: creare una femmina della sua specie, con cui poter vivere coniugalmente, amando ed essendo amato, magari in siti lontanissimi, in terreni deserti del Sud America o chissà dove, ma finalmente felice e realizzato come persona.

Una persona come tutti gli altri: questo desidera essere.

Pensavo che, anche se non potevo provare simpatia per lui, non avevo diritto di negargli quel poco di felicità che avevo ancora il potere di dargli.”

Manterrà il bieco scienziato pazzo la sua folle promessa?

Lo vidi discendere la montagna con velocità superiore al volo dell’aquila.”

Qui, per la prima volta Mikha’el mostra per la prima volta come si può sparire d’incanto, con tempi da primatista mondiale non solo umano, veloce quasi quanto un rondone in picchiata.

Victor, insieme a Henry, l’amico di sempre, decide di salire verso settentrione, e poi, salpando da Rotterdam, d’imbarcarsi con direzione Inghilterra. Si badi bene che il tour, fin dal suo inizio ha toccato varie località, con soste variegate nel tempo, e che Mikha’el ignora la destinazione finale.

Ritratto di Henry:Era un esser fatto della ‘vera poesia della natura’. La sua fantasia entusiasta era purificata dalla sensibilità del suo cuore. Il suo animo traboccava di ardenti sentimenti e la sua amicizia era di quella natura devota e meravigliosa…” etc etc.

Chissà mai quale congiunto aveva in mente la tenera ma intrigante Shelley?

Victor vive nell’insensata paura di incontrare, al di là di ogni logica, un Mikha’el che non può di certo né attraversare la Manica a nuoto, né chiedere un passaggio in un traghetto, essendo tra l’altro sprovvisto di soldi, oltre che di un aspetto tranquillizzante.

Anche il suo abbigliamento non contribuisce, del resto, a renderlo più attraente. Ma a lui basterebbe una bagnarola qualsiasi e, con un po’ d’olio di gomito, gettarsi all’avventura in solitaria: che è la sua condizione naturale.

Dopo una vacanza comune a Londra e poi in Scozia, Victor si congeda dall’amico e, allontanandosi quel che basta, si dedica, in un luogo appartato di un’isola quasi sconosciuta e semi deserta, al suo lavoro creativo.

Tremavo, e il cuore mi venne meno, quando, alzando gli occhi, vidi alla luce della luna il demone alla finestra.”

Come diavolo quel demone era arrivato fin lì?

È quello che mi chiedo anch’io!

Mentre lo guardavo il suo volto esprimeva la crudeltà e la slealtà più totale. Mi sembrò folle la mia promessa di creare un altro essere come lui e tremando di collera feci a pezzi la cosa su cui lavoravo. Il mostro mi vide distruggere la creatura dalla cui futura esistenza dipendeva la sua felicità e con un urlo di demoniaca disperazione e di vendetta scomparve.”

La cosa, dice. Non l’essere umano in fieri.

Mikha’el gli getta sul muso la verità:Schiavo, io prima ho ragionato con te, ma ti sei dimostrato indegno della mia cortesia. Ricorda che sono potente; tu ti ritieni miserabile, ma potrei renderti così disgraziato che tu avrai in odio la luce del giorno. Tu sei il mio creatore, ma io sono il tuo signore; obbedisci!

Mary Shelley - Painting by Reginald Easton (1857)
Mary Shelley – Painting by Reginald Easton (1857)

Capita sempre quel fatidico giorno in cui il figlio, di solito, ma non necessariamente, maschio, si ribella, mettendo il genitore alle corde.

Ognuno di noi, procreando, genera un mostro geneticamente modificato.

E poi dove deve saper gestire le differenze. Il che non è mai facile.

Due detti pixuntiani:crisci figli – crisci puorci” e “quannu su muortu tinni fai nu tianu”: quando sono morto te ne fai (di me) un tegame: così dicono i vecchi ai giovani smaniosi di cannibalizzare i loro vecchi.

I due si rivedranno (è un tipo di conflitto che dura fino alla morte e alla successiva santificazione di uno dei due consanguinei) e Mikha’el giura di fargliela pagare: “Uomo, ti pentirai del male che mi infliggi.

Domando: quello di Victor fu un omicidio, oppure un aborto?

O non ha senso porsi la domanda?

Per rispondere occorrerebbe sapere quel che Mary non si attenta a spiegare: come faccia Victor a produrre le sue monnezze biologiche, a cui soltanto alla fine concede lo spirto vital (l’anima?).

Ulteriore coppia di domande: perché crea esseri dalla stazza spropositata e non animaletti di più ridotte proporzioni e più agevolmente gestibili? E perché adulti e non infanti?

Fatto sta che:Ciò che restava della creatura incompiuta che avevo distrutto, era sparpagliato a terra e mi sembrò quasi di aver maneggiato carne viva di un essere vivente. Feci una pausa per riprendermi e poi rientrai nella stanza”.

Victor decide di gettare i pezzi smembrati di Eva (così vorrei chiamarla, posso?), toglie dagli ormeggi una barchetta a vela e affronta (spensierato?, non credo) il mare.

Una bufera lo allontana dalla riva, mettendo a repentaglio la sua vita. Ma poi si quieta e l’ambiguo genio creatore riesce a raggiungere la riva opposta, giusto in tempo per farsi arrestare con l’accusa di omicidio.

Qualcuno aveva ucciso il solidale Per…, ehm, il povero Henry che, quatto quatto, lo aveva seguito, anzi, che dico, l’aveva addirittura preceduto in quella stramba terra, che si rivelerà essere la verde e temibile Irlanda.

Che caso!

Dopo un breve periodo passato in carcere, comprovata la sua innocenza, insieme al padre che lo aveva raggiunto, decide di rimpatriare. A bordo della nave, Victor confessa a un padre esterrefatto e che lo giudica confuso mentalmente (e da non contraddire al momento):

Mille volte avrei versato il mio stesso sangue goccia a goccia, per salvare le loro vite, ma non potevo, davvero, non potevo sacrificare l’intera razza umana.”

Victor si sposa.

Mikha’el uccide Elizabeth.

Senza entrare in particolari: in maniera atroce, umiliando il corpo dell’immacolata vittima.

E scappa via come una saetta.

Il padre di Victor cessa di soffrire, morendo finalmente di crepacuore. Victor decide di inseguire il mostro ovunque: tra le anse del Rodano e l’azzurro Mediterraneo, quando, per puro caso, scorge “il demone entrare di notte nascondersi dentro a un vascello diretto al Mar Nero.

Sembra che Victor e Mikha’el siano due miserabili particelle umanoidi, entangled quantisticamente, correlate, perennemente collegate fra di loro, mai liberi l’uno dall’altro.

Le due vittime reciproche sono ormai al di là del mondo, quasi alla fine di esso, uno che insegue l’altro, come fece a suo tempo il Capitano Achab con Moby Dick, dopo che ognuno ha distrutto la vita dell’altro.

Si incontrano per l’ultima volta sulla neve, in un ambiente gelido e mortifero. Non c’è nulla da fare, Victor, il tuo caro figliuolo è troppo super per te, e ti sfugge per l’ennesima volta, sparendo nel mezzo di una tormenta invernale.

Ed ora l’io narrante ridiventa Robert.

Il quale descrive l’agonia di Victor, che lascia in un colpo il mondo e i suoi sogni di vendetta, facendo alla fine sgorgare qualche lacrima sul volto di Robert.

R.I.P.

Per fortuna, Mikha’el è ancora ben vivo, esplosivo e pimpante. E, apparso dal nulla all’intristito esploratore, strilla come un’aquila ferita:Nel suo assassinio i miei crimini sono consumati; la serie miserabile dei miei atti è giunta alla sua fine. Oh, Frankenstein! Essere generoso e devoto! Che conta adesso che ti chieda di perdonarmi? Io, che ti ho irrimediabilmente distrutto, annientando coloro che amavi. Ahimè! È freddo e non mi può rispondere.”

Che il Cielo ti abbia in gloria, mio eroe!

Poi Mikha’el angustia ulteriore l’uditorio dei suoi lettori con una confessione strappalacrime, che tralascio opportunamente di estrapolare.

Citerò solo il suo proposito, anch’esso ovviamente urlato, con cui si conclude il romanzo:

Le mie ceneri saranno sparse nel mare dei venti. Il mo spirito dormirà in pace, o, se pure penserà, certo non penserà in questo modo. Addio.”

Victor è stato finalmente santificato.

Rimane infine solo la chiosa del primo e definitivo io narrante:

Detto questo si gettò dalla finestra della cabina sulla zattera di ghiaccio che stava accanto al vascello. Presto fu portato via dalle onde, e si perse lontano, nelle tenebre.”

Per la quarta volta (le altre due non le ho citate per non tediare), Mikha’el appare dal nulla e si dilegua d’incanto, rapidissimo, come un fotone massivo (pare che ce ne siano!), e come un senso di colpa che svanisce via fuggendo e ogni volta ritorna, altrettanto improvviso e implacabile.

Altre morali della favola?

Forse solo un’altra mezza.

Immaginando i rapporti fra Mikha’el ed Eva, Victor ipotizzava il futuro dissidio, perché, probabilmente: “lei avrebbe potuto stornare gli occhi da lui con disgusto e rivolgersi alla superiore bellezza dell’uomo; avrebbe potuto lasciarlo e lui si sarebbe ritrovato di nuovo solo, esasperato dall’ulteriore oltraggio di essere abbandonato da una della sua stessa specie.

Mary Shelley
Mary Shelley

Eva avrebbe potuto insidiare la fiacchezza virile di un Victor, di fronte a tanta maestosità bestiale, sia nei confronti di una Donna Cannone di lui invogliata, che di un Otello ciclopico.

Prospettive nient’affatto rosee.

Il mio Mikha’el è il simbolo dell’uomo perseguitato dall’uomo, non solo perché è diverso, ma in quanto, facendo riferimento alle sue caratteristiche fisiche, appare assurdamente pericoloso per la supremazia della tribù che è al momento al potere.

Ogni conflitto umano cesserebbe se si smettesse di vedere in colui che non ti assomiglia fisicamente un nemico da estirpare al più presto dalla faccia della terra.

Che sia una faccenda di alternanza di amminoacidi?

Che l’amicizia e l’antagonismo siano condizioni tipiche della specie umana?

Dovrei chiedere al primo socio-biologo che passa, ad esempio Edward Osborne Wilson.

O al primo filosofo che purtroppo non passerà più: Jacques Derrida.

La Storia insegna che la tribù che è ora carnefice, è stata già vittima di una consorella.

L’uomo, se non si auto-confligge, non è lui.

Sic transit dolor mundi.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Mary Shelley, Frankenstein, Newton & Compton, 1994

 

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