Intervista di Emma Fenu a Nicoletta Giorgio: una discesa nell’inconscio attraverso la rivisitazione delle fiabe
“Credo in ogni cosa fino a quando non si dimostra il contrario. Quindi credo nelle fate, nei miti, nei draghi. Tutto esiste, anche se è nella nostra mente. Chi ci dice che i sogni e gli incubi non sono reali come il qui e ora?” – John Lennon
Qualche tempo fa, fra i numerosi post di Facebook, mi sono imbattuta in foto che ritraevano quadri capaci di guardarti dentro, rubarti il cuore e trascinarti in un mondo sconosciuto o meglio dimenticato.
È il mondo delle fiabe tradizionali, quelle ascoltate con stupore nell’infanzia e i cui protagonisti ci vivono dentro e interagiscono con il bambino che siamo stati e sempre saremo, creando storie nuove su un mito che non ha tempo.
Affascinata, ho contattato l’autrice dei quadri, Nicoletta Giorgio, artista, illustratrice e insegnante di Torino. È nata fra noi una bella intesa e spero che a questa intervista ne segua un’altra, inerente ad altri suoi progetti.
E.F.: Cosa rappresentano le fiabe nel tuo immaginario di artista?
Nicoletta Giorgio: Le fiabe sono la prima risposta alle grandi domande sulle emozioni e i sentimenti dell’umanità, nascono per insegnare ai bambini la crudeltà e le avversità del mondo, dando una chiave di risoluzione attraverso il dolore, ma anche l’intelligenza, l’arguzia e l’ironia. Insegnano il valore di avere un aiutante/ amico, esistono le insidie ma esistono anche amori e persone che, se scelte con accuratezza, ci aiutano a superare le prove che la vita ci mette davanti. Il tutto avvolto in un mondo metafisico fuori dal tempo e dallo spazio: una forza incredibile. Nascono per i bambini ma, a mio parere, certe paure persistono nell’uomo per tutta la vita, solo si ha una lettura diversa di certe emozioni con il passare degli anni.
E.F.: La rivisitazione è un atto creativo forte e interessante. Quale messaggio vuoi veicolare?
Nicoletta Giorgio: Rivisitare una fiaba è trovarsi nuovamente davanti a una grande domanda, una profonda paura: ogni volta che ne rileggo una, trovo significati diversi, una stratificazione di messaggi filosofici a seconda dell’età che si ha in quel momento. Ricordo molto bene i pensieri che mi scatenavano, da bambina, le fiabe, diversi da quelli che provo oggi. E allora è come se l’adulta di oggi dialogasse con la bambina che c’è dentro di me, restituendomi una mia me più intera, e poi provo tenerezza e misericordia per le due Nicoletta che si incontrano: talvolta mi commuovo, talvolta rido molto e mi stupisco dei pensieri grandiosi e folli di me bambina. Il messaggio quindi è che c’è un bisogno costante di affrontare le nostre paure, una sorta di tagliando emotivo e spirituale che non finisce mai, un esercizio che dovremmo fare per tutta la vita e non relegarlo alla sola infanzia.
E.F.: Quale fiaba ti ha affascinato nell’infanzia?
Nicoletta Giorgio: Le fiabe che ho amato di più sono “Alì Babà e i quaranta ladroni”, illustrato da Luzzati, e “Le cinque mogli di Barba Brizzolata”. Della prima amavo l’unione tra testo e illustrazioni, ho ancora in me l’immagine del piccolo bambino scalzo che rubava i tesori ai ladroni. Ricordo due tavole, in particolare: quella in cui Alì trovava il tesoro nella grotta – adoravo come Luzzati aveva illustrato le monete d’oro- e poi una in cui Alì con un gessetto, nella notte, marchiava le porte di tutta la città, una medina arroccata avvolta nel buio ma illuminata dalla luce della notte. La seconda è la storia di un uomo che voleva una donna perfetta da sposare, ne prova una, ma questa è una musicista e allora lui, geloso, la ripudia e la mette in un palazzo; la seconda studia troppo e allora lui la ripudia perché troppo intelligente e la mette nel palazzo con la prima; la terza ama troppo gli animali; la quarta recita e così via. Alla fine lui, grigio in faccia e nevrotico, si trova da solo nel suo grande palazzo e scopre che le sue ex mogli vivono felicemente insieme e lo prendono in giro, costruendo spettacoli e ridendo insieme come delle pazze.
E.F.: Abbiamo più volte fatto riferimenti a Nicoletta bambina. Oggi che donna sei? In quale figura ti ritrovi?
Nicoletta Giorgio: Oggi penso di essere una donna libera; posso definirmi una femminista, ma non una che si contrappone agli uomini, brucia i reggiseni e non si depila: amo il bello e la bellezza e il potere del femminile, amo il rossetto e i vestiti colorati e le case profumate, odio la sessualizzazione delle donne, il fatto che non esista ancora una vera parità, anche se si stanno facendo dei grossi passi avanti. Insomma, spero che si realizzi quello che si canta in “Bread and Roses”, ossia che le donne abbiano pane ma che i loro corpi e i loro cuori vengano nutriti di bellezza, e che il risorgere delle donne è anche il risorgere degli uomini. Nelle fiabe non ho una figura di riferimento: talvolta sono sprovveduta come Cappuccetto Rosso, altre forte come Biancaneve, talvolta sono chiusa in una torre da dove butto la treccia, ma anche una moglie di Barba Brizzolata che deride gli uomini che hanno paura delle donne indipendenti o un piccolo Alì che frega tutti con i suoi piedi scalzi e il turbante.
E.F.: L’arte può cambiare il mondo o una fetta di esso?
Nicoletta Giorgio: L’arte cambia il mondo, perché l’artista trova una forma per veicolare dei messaggi alle volte introspettivi, altre di grandi cambiamenti. Mentre ti rispondo sto ascoltando David Bowie, un uomo che ha trasmesso libertà e nuovi codici di comportamento agli artisti come alle casalinghe scozzesi, oppure in questi giorni ho visto la serie “Pose” dove, in un sottobosco di travestiti e trans, nella NYC degli anni Ottanta, dove erano dei reietti, si organizzavano Balls in cui si travestivano e concorrevano con abiti assurdi, creativi, travolgenti, a gare per categorie. Trasformavano il loro essere freak e ai margini in un’opera d’arte viva, una vera e propria performance di Body art. Lì nacque il Vogue, il ballo poi portato in auge da Madonna, e anche lì le casalinghe si ritrovarono a ballare una danza inventata da persone che erano considerati dei mostri. Penso che l’arte sia, come diceva Luis Borgeois, un atto di sopravvivenza per l’artista, ma un sollievo, un luogo alle volte caldo e altre perturbante per chi ne usufruisce. Senza l’arte la società muore, e talvolta l’artista è scomodo e non politicamente corretto perché infrange tabù. Le prime fiabe, sempre moderne e dirompenti, erano crudeli, feroci, perché i bambini dovevano essere educati.
Written by Emma Fenu