Intervista di Alessia Mocci a Morena Pedrotti: vi presentiamo “Sguardo di donna”, un percorso da naturopata
“Ciò che mi colpisce negli altri ha a che fare con me, sia in positivo che in negativo. Senza dubbio questo secondo aspetto è difficile da accettare, più facile puntare il dito sui comportamenti altrui che troviamo riprovevoli oppure che ci danno fastidio, ci fanno soffrire o arrabbiare. Quando lo facciamo giudicando chi ci sta di fronte, dobbiamo ricordare che quell’atteggiamento riguarda noi o non l’avremmo notato.” – Morena Pedrotti
“Sguardo di donna” è stato pubblicato nel 2017 dalla casa editrice Rupe Mutevole Edizioni curata da Cristina Del Torchio. L’Autrice, Morena Pedrotti, racconta ai lettori il percorso di studio che ha portato avanti per conseguire il diploma di naturopata.
Naturopatia è una parola formata da natura e -patia sul modello di omeopatia, considerata una forma di medicina alternativa sfrutta a fini terapeutici fattori ed elementi come il calore, la luce, l’aria e come giustamente Morena sottolinea: “Il naturopata è operatore di ben-essere, non fa diagnosi, non dà terapie, non prescrive farmaci.”
Nell’intervista l’autrice ci presenta alcuni frammenti del percorso che ha scelto di intraprendere, ci mostra alcuni libri che le hanno illuminato la via, alcune persone che ha incontrato e che le hanno dato la possibilità di chiedersi: chi sono io? Che tipo di persona voglio essere?
Ogni essere umano ha il suo percorso nel mondo ma se ci si incontra c’è sempre un perché, sta ad ognuno di noi fermarsi dalla routine giornaliera per riflettere (dal latino “flèctere”, “re-flèctere”, fisicamente indica l’angolo del raggio di sole sulle superfici piane e terse e successivamente si è applicato anche all’anima paragonandola ad uno specchio).
A.M.: “Sguardo di donna” è un libro che nasce per l’unione della sua passione verso la scrittura ma anche per celebrare il suo percorso da naturopata. Partiamo, dunque, da quest’ultima per spiegare ai lettori qual è la differenza tra medico e naturopata.
Morena Pedrotti: C’è molta differenza fra medico e naturopata non soltanto perché il primo ha una laurea e il secondo il diploma. Il naturopata è operatore di ben-essere, non fa diagnosi, non dà terapie, non prescrive farmaci. Non prescrive proprio nulla. Opera in un ambito di ben-essere, appunto. A esempio, usando i cristalli si va ad agire sul campo energetico di una persona, per un riequilibrio; sulle emozioni, invece, si lavora con i fiori di Bach, “strumento” straordinario scoperto da Edward Bach, che puntava sulle cause della malattia piuttosto che sul sintomo, dicendo inoltre che la malattia insorge quando la personalità si discosta dal cammino dell’Anima.
Attraverso il percorso per diventare naturopata ho imparato a considerare l’uomo un essere olistico, corpo-mente-spirito, diventando così consapevole che ogni persona, unica, non è da considerare a compartimenti distinti e separati. Gli strumenti che ho approcciato nei tre anni di studio sono stati molti: riflessologia, massaggio psicosomatico, dieta psicosomatica, eubiotica, cristalli, oli essenziali, fiori di Bach, tecniche di rilassamento e tanto altro. Al raggiungimento del diploma ho seguito altri seminari sia per l’aggiornamento (sono iscritta alla F.I.N.R, Federazione Italiana Naturopati Riza) sia per approfondire le tecniche vibrazionali ed emozionali, in particolare cristalli, oli essenziali e gli stessi fiori di Bach.
A.M.: Nella prima parte del libro (“Trilogia per l’Anima”) troviamo una serie di domande: “È così precaria la loro autostima da sentirsi intimoriti se qualcuno rifiuta ciò che dicono? E io che ho sempre provato a lottare per poter dire ciò che penso ho forse raggiunto una dimensione più alta nella mia personalità? Posso senza dubbio urtare la loro suscettibilità, ma alla mia chi ci pensa? Io, soltanto io.” Quanto è difficoltosa e solitaria la ricerca?
Morena Pedrotti: Dal mio punto di vista la ricerca è difficoltosa, solitaria sì e no. Senza dubbio ci vuole coraggio per entrare in sé, indagare i motivi di disagio e accogliere le proprie parti-ombra – come le chiama Carl Gustav Jung – soprattutto quando chi ti circonda la pensa in tutt’altro modo. Raggiungere una consapevolezza nuova ti procura una botta fra i denti, a livello di accettazione. È un percorso che si può fare soltanto su di sé, ma non sempre o per forza è in solitaria. Durante il mio lavoro interiore mi sono spesso trovata da sola in un angolo e lì rimanevo per accusare il colpo. Però sono stata fortunata, ho sempre incontrato persone che mi hanno supportata in questo viaggio con onestà (ecco perché io adesso ho voluto restituire il favore e l’ho potuto fare attraverso la mia altra competenza, la scrittura) e ho amiche che mi sono vicine anche se a volte si tratta della risposta a un sms. L’obiettivo dovrebbe comunque essere quello di reggersi sulle proprie gambe non su quelle di un altro, naturopata o terapeuta che sia.
A.M.: Che cosa significa intendere l’altro come specchio del sé?
Morena Pedrotti: Io lo intendo in senso letterale, l’altro mi fa da specchio quindi rimanda a me. Io, nell’altro, colgo ciò che riguarda me stessa. Ciò che mi colpisce negli altri ha a che fare con me, sia in positivo che in negativo. Senza dubbio questo secondo aspetto è difficile da accettare, più facile puntare il dito sui comportamenti altrui che troviamo riprovevoli oppure che ci danno fastidio, ci fanno soffrire o arrabbiare. Quando lo facciamo giudicando chi ci sta di fronte, dobbiamo ricordare che quell’atteggiamento riguarda noi o non l’avremmo notato. Se ci facciamo caso, un tratto caratteriale non sortisce il medesimo effetto su tutti né tutte le persone notano lo stesso comportamento in una persona. Quando ho iniziato a incontrare questo concetto ho fatto fatica ad accettarlo, l’ho fatto a denti stretti perché riconoscere che non è l’altro, ma sono io, beh, non è facile. Faccio un esempio. Punto il dito su una persona e la critico perché ritengo non rispetti gli altri. D’accordo, ma se lui (o lei) mi sta facendo da specchio vuol dire che devo girare la prospettiva “contro” di me. Io rispetto gli altri? Questa domanda fa arrabbiare, fa negare con veemenza. Però, spesso, non è tanto il nostro comportamento verso gli altri che la Vita ci vuol far vedere (e la Vita ci mette davanti proprio le persone che ci faranno da maestri, che ci piaccia o no, più la seconda, siamo onesti), ma quello che abbiamo nei nostri riguardi. Io mi rispetto? E, secondo la mia esperienza, quando si arriva a questi livelli di consapevolezza, si barcolla un po’… ok, parecchio però poi si può andare avanti sapendo che, come ho scritto alla fine del libro l’Universo ti fornirà gli strumenti. Altro aspetto da tenere in considerazione, nei rapporti interpersonali, è che anch’io faccio da specchio all’altro e ciò che si potrebbe muovere nella sua vita riguarda lui.
A.M.: Nell’incipit della seconda parte (“Il taccuino segreto”) si legge: “Il Taccuino segreto non rivela la chiave suprema per aprire lo scrigno che custodisce i segreti per una Vita felice e appagante, ma apre la strada a una maggior consapevolezza e alla curiosità. Possiamo prendere in mano ciò che siamo per percorrere un tratto del sentiero che ci sta davanti con qualche conoscenza maggiore. In queste pagine vengono proposti strumenti utili per questo viaggio e altri si presenteranno agli occhi di chi vorrà seguire lo splendore della Luce che ammicca dal Profondo.” Quanto è lontana nel tempo la tradizione della metafora dello scrigno che custodisce i segreti?
Morena Pedrotti: Credo, ma non ho dati alla mano, che l’uomo abbia nascosto i propri segreti in uno scrigno non appena è riuscito a costruirne uno. Penso a certi cofanetti intagliati con maestria e riccamente decorati che si trovano nei musei di ogni Paese. La bellezza esteriore affascina e ammalia, ma ogni volta io mi ritrovo davanti alle vetrine a chiedermi che cosa ci sarà stato all’interno. Non sono affascinata tanto dai gioielli che lì possono essere stati custoditi, ma lo sono molto dagli oggetti personali di uso quotidiano e non, dalle pagine dei diari, dalle lettere perché racchiudono un mondo, le prime di tipo personale, le seconde con una maggior apertura verso l’esterno e il destinatario, ma sovente avendo come mittente la propria interiorità. Ciò che vi si riponeva, in bauletti più o meno grandi, diventava più prezioso di qualunque moneta perché rappresentava una parte di quelle persone, un ricordo, un frammento del loro cuore, un’eredità preziosa da tramandare. Nell’incipit dico chiaramente che non fornisco chiavi per la Vita felice, non consegno, appunto, uno scrigno che contenga ciò che serve per proseguire la propria strada. Non lo posso fare, nessuno lo può fare. Io posso soltanto condividere ciò che so, a livello di conoscenze, competenze, esperienze, lasciando ognuno libero di scegliere ciò che gli potrebbe servire, libero cioè di seguire il proprio cammino che potrebbe essere diverso dal mio, con strumenti diversi da quelli che ho usato e continuo a usare io (e altri me ne arriveranno, di questo sono assolutamente sicura). Quando parlo di scrigno mi riferisco sia a quello che può racchiudere gli strumenti disseminati fra le pagine del libro (una boccetta di Rescue Remedy, di olio essenziale all’eucalipto e al rosmarino e un cristallo sono quasi sempre presenti nel mio scrigno che talvolta si presenta sotto forma di busta infilata nella borsa) sia a quello più prezioso, quello interiore. La nostra interiorità custodisce un tesoro prezioso: quella scintilla divina che è l’Anima spesso obnubilata dalle paure e dai timori che tutti abbiamo. È un territorio esplorato fin dall’arrivo dell’uomo su questo pianeta, attraverso i miti (uno per tutto quello del labirinto del Minotauro), le fiabe (pensiamo ad Alice nel Paese delle meraviglie che entra in un mondo dove vigono regole diverse oppure alla scrittrice Marie Louise von Franz e al suo lavoro “Le fiabe interpretate”) o i sogni, nominati anche in “Sguardo di Donna”, che forniscono messaggi proprio della parte più profonda di noi.
A.M.: Ne “Il codice dell’anima” lo psicoanalista e filosofo statunitense James Hillman scrive: “Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada.”
Morena Pedrotti: Durante la scuola per diventare naturopata mi è “arrivato” in mano “Il codice dell’anima” di Hillman. Non l’ho letto tutto, ma già il titolo ha fatto risuonare qualcosa in me dal momento che stavo indagando la mia interiorità per cercare di capire i segreti che la mia Anima aveva da consegnarmi. Non mi accontentavo di rimanere ancorata al tangibile, a ciò che potevo percepire attraverso i cinque sensi o rielaborare con la ragione. Ho iniziato a indagare l’Oltre, muovendomi nel macrocosmo, ma anche nel microcosmo, fuori e dentro di me, nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo (la fisica quantistica, spiegata da personaggi del calibro del dottor Joe Dispenza, aiuta molto in questo senso). Sono connessa con l’Universo, con il Divino (ognuno può metterci ciò che preferisce in base alle proprie credenze) e al mio interno ho un contatto straordinario con questo “fuori”. Io ho seguito ciò che in Hillman risulta “… qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada”. La mia chiamata si è presentata sotto forma di disagio, di quasi certezza che ci dovesse essere qualcosa di più e nel momento in cui ho iniziato a cercare, mi sono arrivati libri, maestri ed esperienze di certo non sempre piacevoli né facili. Sono convinta che tutti possano iniziare un percorso, ma sono altrettanto convinta che sia una scelta che spaventa per cui si preferisce indossare una maschera e proseguire. Non sto dicendo di aver risolto tutto, ma ciò che ho fatto finora l’ho messo a disposizione nel momento in cui ho realizzato che avevo già lo strumento utile: la scrittura e il romanzo. Dal mio punto di vista “Sguardo di Donna” permette di iniziare un percorso in modo elegante e morbido proprio perché un romanzo lo permette (qui ci sarebbe molto da dire sul mio modo di scrivere, magari in un’intervista futura). Ci si può avvicinare al libro per una lettura fine a se stessa, poi lo si può riconsiderare secondo steps successivi in base a ciò che ognuno è pronto a ricevere (qui riporto ciò che i lettori mi hanno detto: viene letto più volte, in tempi diversi). Hillman, nella frase citata, si rivolge a ognuno. L’ha fatto anche Osho nel suo libro “Ricominciare da sé”. Come ho detto sopra, il viaggio all’interno di sé è personale e io posso “sistemare i pezzi” del mio puzzle soltanto se rivolgo la mia attenzione a me stessa. Non posso cambiare gli altri, ma soltanto me stessa.
A.M.: Quali sono i libri che, in qualche modo, hanno accompagnato questo viaggio di auto-conoscenza?
Morena Pedrotti: Nella mia biblioteca personale i libri presenti potrebbero connotarmi come persona eclettica, aperta, curiosa. Dal momento che sono io a dirlo può sembrare autoreferenzialità, ma non lo è, non credo avrebbe senso un comportamento simile. Ho preso molti libri, ho letto articoli, ho seguito seminari. Ad alcuni volumi la mia mano va automaticamente nei momenti in cui ho bisogno di un’amicizia fra le pagine. Louise Hay: penso sia stata la prima a farsi conoscere, seguita dalle opere di Edward Bach. Ho i libri di Rinaldo Lampis, ma anche “I maestri invisibili” di Igor Sibaldi. Per alcuni aspetti mi ha aiutato il pensiero di Jung e il suo Libro Rosso, che Manon, la protagonista di “Sguardo di Donna”, usa a modo suo. Altra “maestra” che ho seguito in seminari e libri è Claudia Rainville sia con “Ogni sintomo è un messaggio” che con “La mia vita per la luce”, la sua autobiografia. Ho attinto conoscenze da ogni libro e opuscolo che ho studiato alla scuola di naturopatia, ma talvolta la frase migliore nel qui e ora arriva da un film, da un articolo, da una persona che incontri. Al termine del romanzo ci sono pagine rigate per le proprie riflessioni, ma anche per la propria bibliografia – e sottolineo propria (alle presentazioni e ai firma-copie dico sempre che quando uno prende in mano la propria vita, spero scriva “Sguardo di Donna” come primo libro. Gli altri arriveranno al momento giusto. Ecco la sincronicità di Jung). In alcuni momenti, poi, torno a un libro controverso che io trovo stimolante perché mi permette di ricordare che c’è sempre una speranza, una via d’uscita e che l’abbiamo in mano noi: è “The Secret” di Rhonda Byrne (anche qui ci sarebbe molto da dire, ma… beh, materiale che si troverà nel libro che sto scrivendo).
A.M.: Qual è il pubblico di riferimento a cui è destinato “Sguardo di donna”?
Morena Pedrotti: Il pubblico di riferimento è… chiunque lo legga. Chiunque voglia mettersi in gioco in un modo, lo ripeto, elegante e morbido, garantito dal fatto che è un romanzo e non un saggio. Certo, la protagonista è una donna, ma soltanto perché conosco meglio questa metà del cielo. Una delle conversazioni più stimolanti che ho avuto è stata durante un firma-copie, con un libraio (chiedo scusa se non metto il nome, ma non avendo chiesto il permesso non so come comportarmi e non vorrei creare malumori) che l’aveva letto per l’occasione. Nel libro non c’è soltanto una trama che vede una donna come protagonista. È un romanzo introspettivo, con molti aspetti simbolici e quindi destinato a un pubblico vasto.
A.M.: Ci sono state e/o ci saranno presentazioni del libro nelle maggiori città italiane?
Morena Pedrotti: Ho già presentato “Sguardo di Donna” a Volterra, Riva del Garda, Verona, Cinisello Balsamo, Dolo e Venezia, ma sto aspettando date per altre città. Spero in Firenze, Roma e magari ancora a Milano. Sono seguita da un’editrice straordinaria, forse la persona migliore alla quale porre questa domanda.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Morena Pedrotti: Ho trascritto parecchie frasi che mi hanno motivata e stimolata. Faccio un po’ fatica a recuperarne soltanto una. Comunque, una citazione di Marcel Proust mi ha colpita in modo particolare anche perché la trovo riportata in luoghi differenti.
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”
A.M.: Morena ringrazio per la disponibilità e per il tempo dedicato a queste domande con riflessioni interessanti e profonde. Augurando al lettore di continuare la strada che l’ha portato sino a qui, saluto con le parole del filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel.
“Amore e pietà sono i due sentimenti dell’uomo ideale; amore per tutto ciò che ha un riflesso del divino, nella natura e nell’anima; pietà per tutto ciò che lo impaccia, l’offusca, lo insudicia. Amore per il divino in tutte le sue metamorfosi; tenera pietà, cioè ancora amore, per tutto ciò che è traviato, per il male in tutti i suoi gradi.
Non ferire, non respingere; la collera dell’uomo non compie la giustizia divina. Chi sei tu per mostrarti spietato? Per sentenziare e giudicare?
Sopporta ed ama.”
Written by Alessia Mocci
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