“Parole della filosofia” di Salvatore Natoli: l’arte di meditare, la fisica e la meccanica quantistica
Oggi Anna compie gli anni… forse che ci sia… che ci possa essere qualcosa di più immortale?

“L’individuale si presenta… come una discontinuità e una rottura rispetto al continuo… Ogni determinazione… è, in ogni momento, vita e insieme morte…”
“… zoe… eterna e immortale… ogni morte cade nella vita…”
“… bios… segmento di vita… biografia…”
“L’origine… non ha inizio…”
“Chaos… è l’aprirsi in quanto tale e non il già aperto…”
“L’individuo è ineffabile: nominarlo… è già tradirlo… nel nome lo si cattura…”
Ero sul treno che stava proiettandoci a Venezia, me, Miki, di dieci anni e mia sorella… Michelangelo crede che Dalì sia l’unico pittore moderno degno di essergli predecessore… È sfinito però già all’inizio del piano nobile di Palazzo Grassi e mi dice: “Papà… domenica però ce ne restiamo a casa!”
Queste poche righe per dirLe, caro mio, che, per me, la discontinuità, lungi dall’essermi di impedimento, è degna d’amore, tout court…
Secondo Barbour, psi, ‘sta specie di candelabro ebreo a tre bocche, è la funzione dell’universo. È lei il risultato della damned equation in grado di descrivere in toto il cosmo, miei figli e sorella compresi… ogni singola cartolina variopinta e appesa al filo…
Senta, Tore… il buco nero è tale perché mangia, cioè attira tutto, ed anche ogni forma di luce. È una voragine gravitazionale… un abisso mangiatutto… Mai visto né sentito, ma quasi sicuramente presente nell’universo, magari… un po’ più in là… intorno al centro… forse…
Ma come…? Lederman, premio Nobel, e tutti gli altri, affermano che il fotone è privo di massa… Newton ci assicura dal ‘600 che la massa è gravitazionale, cioè che la gravitazione, la più blanda e diffusa delle forze, attiene alla massa… e alla distanza… e allora… come può essere che il buco nero attiri un messer messerino come il fotone… privo dell’unica cosa che può essere attirata? Einstein aggiunge che è afferente anche il tempo… beh, il tempo del bel fotone è uguale a 0 (nullo)!
L’unica è forse credere che anch’esso, come già l’atomo, come già il protone e il neutrone, non sia affatto il miglior atomo democritiano, bensì un banale composto.
Qualche anno fa pensavo che il fotone, che è un bosone, cioè un semplice portatore di forza (elettromagnetica), contenesse invece un parassita, questo sì massiccio, luminoso e attraibile… Poi mi convinsi che, essendo di massa nulla, potrebbe essere composto di una metà dotata di massa positiva e di una dotata di massa negativa. Quando questo cosino incontra una forza d’attrazione spaventosa accade… cioè… accadrebbe che… la metà positiva, con tutta la sua gaiezza, precipitasse nel buco nero, mentre l’altra, negativa… quindi ri-diretta … al passato… confluisse, in fuga per la vittoria, verso l’origine, il big bang per intenderci, non inteso come fine, ma come nuovo e sempiterno inizio, e lì… giungesse… prima o poi… E allora… che mai gli accadrebbe?
Leon Lederman confida di trovare, prima o poi, “La particella di Dio” (Arnoldo Mondadori Editore), cioè il bosone di Higgs (ci riuscirà senz’altro, quando riuscirà, l’anno dei tre giovedì, a costruire un sufficientemente enorme cannone spara-particelle…), in grado di legittimare il campo di Higgs, in grado a sua volta di costruire le masse a riposo del cosmo.
La forza gravitazionale positiva attira, accumula le masse… Quella negativa le allontana, le fa rifluire… in fuga per la vittoria… verso l’origine… la fine… la vita… la morte… Prima o poi, grazie al bosone di Higgs, non solo rifuggirà da dove è partita, ma anche dalla stessa neo-origine, favorendo la nascita di un nuovo universo massiccio.
E la parte positiva del fotone, quella piombata irrimediabilmente nel buco nero?… Beh, ci sarà senz’altro, da qualche parte, un anti-bosone di Higgs in grado di trasformare tutta quella massa in energia, cioè in fuga per la vittoria, capace a sua volta di rifluire verso un punto, morte?, vita?, dove, per miracolo, si trova un ennesimo bosone di Higgs, in grado di legittimare il campo di Higgs, in grado a sua volta di costruire le masse a riposo del cosmo.
Se tutto ciò rispondesse al vero, e io ne dubito, perché sarebbe comico se fosse davvero così, io che cogito, che scelgo dopo cena le mie opinioni, che mi schianto contro i paradossi, pur lottando… procombendo come il compianto Giacomo… per caso, o per… necessità… una piccola parte del cosmo… quindi… ha forse compreso, per incanto, il tutto?
No, sono soltanto misere chiacchiere!
Sto pensando alla sua etica del finito… la sua etica discontinua… Ognuno è tenuto a ed è tenuto da un’etica tutta sua.
Senta ‘sta puttanata… Se noi siamo un ente finito, discontinuo, bramoso d’infinito (ricorda il “M’illumino d’immenso”?), ciò significa che abbiamo un’etica finita che necessariamente ha da confluire in un’etica infinita. Non è ammissibile una deroga. Sarebbe illogica.
Quando avevo vent’anni, e già mi sentivo un diverso, mi definivo un anarchico familiare, cioè come un unico bisognoso di un qualche d’un altro.
Sarebbe auspicabile, essenziale, allargare, possibilmente, sempre più il concetto di famiglia.
Io, invero, non ho affatto fede in Dio, ma speranza sì, tanta…
Chissà in che?
“… non tutti i corpi – egli scrive – sono della medesima specie, sebbene siano originati dalla medesima luce…”
“Se la luce non è Dio, è certamente divina e gli uomini vivono solo in quanto partecipi di quella luce…”
“L’armonia è… una simmetria che dà luogo a un intero, un uno/tutto e viceversa…”
“La natura per prima è asimmetrica…”

Il fotone, oltre che particella della luce, svolge il mestiere di bosone, cioè di particella che trasmette una forza, che nel suo caso si chiama elettromagnetica… Il gluone (da glu, colla in inglese) invece è responsabile della forza nucleare forte… che tiene uniti i quark con un filo potentissimo… che ogni tanto si spezza, però! Tre altre particelle dalla dubbia reputazione, la cui scoperta diede il Nobel a Rubbia, sono gli agenti della forza nucleare debole, che fanno decadere tutto… forse anche il protone… ogni mille anni di Brahma!
Si ipotizza infine che debba assolutamente esserci (da qualche parte e possibilmente… esterna alla mente degli scienziati) il gravitone, quale necessario gestore della forza gravitazionale.
I quark, i neutrini e gli elettroni sono invece fermioni di professione, cioè particelle vere e proprie, aventi massa e soggiacenti abbastanza al tempo e allo spazio (si ricordi che non esistono particelle del tutto reali e per niente virtuali).
I bosoni si differenziano dai fermioni principalmente per il modo di girare come trottole (lo spin) e poiché disobbediscono in tutto e per tutto al secondo principio più citato della meccanica quantistica: il principio di esclusione Pauli, secondo cui due particelle fermioniche, pur essendo identiche fra di loro, non possono condividere contemporaneamente lo stesso stato quantico, la stessa quantità-qualità.
I fermioni siedono come lords nei seggiolini separati di una sciovia, mentre i bosoni si accalcano uno sull’altro, come in certe corrieracce boliviane, ammassati nel medesimo posto. Così, ad esempio, grazie a quei proletari dei fotoni è nato il laser.
La difformità delle cose terrene, dice bene Grossatesta, deriva dalla luce, in quanto senza la forza elettro-magnetica il mondo sarebbe fermo e uno: i fotoni impediscono, per quanto possono, che tutto si collassi, per gravitazione, dentro se stesso, formando una singolarità buia. Non solo: pur essendo portatori di fuga verso la libertà, impediscono alle cose di mescolarsi: se io bacio i miei figli, la mia bocca non penetra nelle loro faccine perché la forza elettromagnetica funziona da barriera quasi invalicabile: fissano ogni cosa e poi la cambiano, sono Shiva e, insieme, Visnù.
Ogniqualvolta che un elettrone scende di livello di rotazione attorno al nucleo, viene emesso un fotone. Oppure si può dire (e chi può contraddirlo?) che il fotone fa scendere di livello l’elettrone. In tal modo gli atomi splendono di luce fatta in casa.
La luce è dunque portatore di creazione, di disarmonia, di discordanza, di frammentarietà, di diversità, di libertà, di necessità, di decadimento, di vita e di morte.
Concepisco un discorso armonia-discordanza come la descrizione di un tragitto, insomma, di un viaggio ad Elea, e poi in Patagonia.
Se non c’è la pace, non ci può essere mica la guerra! La prima è il fine agognato a cui conduce la seconda.
Due politici avversari tengono due discorsi diversi, i quali porteranno, fatalmente, ad una rottura, oppure ad un incontro di conciliazione. Ricorda le convergenze parallele di Aldo Moro?
L’altro giorno leggevo un fumetto di Mandrake. Insieme ai suoi amici, l’ineffabile mago, degno emulo di Ulisse, stava visitando una specie di Eden super-cerebrale, tecnologico e spirituale. Ma che noia! Lo stesso uomo dei prodigi si sentiva del tutto inadeguato!
A lei… forse gusterebbe un armoniosissimo Paradiso in cui sarebbe, non dico sconveniente, ma addirittura insensato volgere il capo al passaggio di una biondina in minigonna?
Volenti o nolenti, abbiamo un’assurda urgenza che tutto ahimè scorra: acerrimo Amor… e dolcissima Morte…
“Il pensiero… scopre il suo mistero proprio perché non può prendersi… senza afferrarsi mai… è esperienza dell’alterità ed è esperienza dell’interiorità, due irraggiungibili.”
Forse non c’entra nulla, ma… Bohr e i suoi colleghi della scuola di Copenaghen avevano una sola fede: la conoscenza della natura è “naturalmente” imprecisa, poiché essa lo è. Quando un quantistico discute sull’origine dell’universo o su quel che accade nei pressi del buco nero, non può consentirsi d’ignorare il principio di indeterminazione di Heisenberg. Se tu togli a tale sorta di scienziato quel tremendo principio, tutto il suo castello di carte rotola miseramente. L’ignoranza non è solo il fondamento, ma è anche l’insieme della travatura, dei pilastri e delle colonne del sapere: ne è anche, e soprattutto, la grammatica.
Einstein inseguiva invece la conoscenza assoluta, per lui il non sapere è il sapere a cui, per l’unica religione che egli professava, si doveva togliere, bruciandolo, il non.
Nacque allora l’esperimento mentale più bello e filosofico della meccanica quantistica: l’E.P.R.

La scienza è in grado di indirizzare in luoghi diversi due particelle (a e b), in maniera tale che se l’una ha spin (cioè il modo di ruotare) su, l’altra, per arcana legge di natura, debba averlo per forza giù. Capisca bene che i due avverbi di luogo sono di tipo analogico, come quando si dice che Achille combatté da leone.
Einstein, Podolsky e Rosen affermarono che se si osserva lo spin della particella a, e si scopre che è di tipo giù, ergo non ci può essere incertezza sul fatto che la particella b abbia, assolutamente, al 100% e non più, quantisticamente, al 50%, spin su. Ergo è possibile avere una conoscenza certa di un aspetto della natura senza che la sua misurazione influisca sul fenomeno osservato, anzi, senza che ci sia misurazione, grazie alla semplice deduzione mentale (il pensiero che, sdoppiandosi, rincorre e supera, più veloce della luce, entrambe le particelle).
Resta da spiegare il fenomeno che Einstein chiamò azione fantasma a distanza, che sembrerebbe obbligare la particella b, solo perché lo afferma lo scienziato con la sua regola di natura, di presentare, assolutamente e senza possibilità di rifiuto, lo spin opposto alla particella a.
Bohr rispose al paradosso, da scienziato o da filosofo?, ipotizzando che due particelle separate e lontane (quanto?, non si sa) debbano necessariamente (ma soltanto perché s’annulli il paradosso), possedere caratteristiche separate.
Perché invece non ipotizzare l’unità della natura in cui un tutto (il dio? il principio?) è collegato interiormente ed esteriormente con tutte le cose?
O sono, per caso, dei buffi tentativi di ricreare l’universo dopo averne re-inventato le regole?
“… era inevitabile che Aristotele tendesse a spiegare i fenomeni come metamorfosi di una medesima phusis…”
“Esistenza assoluta… non vuol dire eterna, ma allude solo all’assolutezza del singolare risolto internamente in se stesso… Per i greci le determinazioni escono dal ventre della natura… e ricadono nel medesimo grembo che le ha generate… tutte sono momento e metamorfosi di una medesima phusis…”
“Dopo il cristianesimo… il mondo esiste come esito di una decisione…Le cose esistono solo perché esiste Dio…”
“Aristotele… definisce il necessario come ciò che non può esistere altrimenti, ma nei fatti per lui ha titolo di necessità anche quel che si dà sempre o per lo più”… La phusis è… la matrice di ogni possibilità…
Ci sono due tipi di particelle, le prime hanno una vita lunga, le seconde hanno una vita così breve, che di fatto non esistono. Non intendo affermare che esistono appena appena: non esistono proprio.
Sono le cosiddette particelle virtuali. Un fotone, un elettrone, un quark reali hanno una vita regolata da valori di massa (nel caso del fotone si dice che abbia una sua massa ben definita, benché nulla), energia e movimento, cioè occupano un tempo e uno spazio reali. Le particelle virtuali, invece, non hanno nulla, possono con-vivere in luoghi e tempi diversi. Si dice che non sono transeunti e perciò non sono tenuti ad obbedire alle regole naturali… Fluttuano semplicemente nel vuoto, risultando essenziali perché accadano reali interazioni fra reali particelle… Le faccio un esempio. Grazie alla presenza di fotoni virtuali, si producono delle coppie di elettroni-positroni reali, che essendo bastian contrari fra di loro, opposti nel senso della carica e del tempo, si annichilano a vicenda, per cui, in seguito, rispuntano i fotoni di poco prima. Le particelle virtuali non sono affatto reali… ma sono vive, perché scorrono nel mondo, partecipando alla creazione della materia.
Ci ha capito qualcosa? Io, che nella vita m’occupo di tutt’altro, assai poco… Ora le dico cosa:
Le particelle reali obbediscono alle leggi della fisica, quelle virtuali le fanno applicare… contravvenendo, per sé, al loro stesso dettato… In parole ancora più spicciole… Forse non esistono come phusis, cioè forse non sono inquadrabili in un discorso che includa termini come luogo e tempo… Vanno, ma non vanno in alcuna direzione… Scorrono nel tempo… ma non vi accadono… Vivono nella storia delle particelle, della phusis, ma non ne fanno assolutamente parte…
Sono come certi santi cattolici, che hanno il dono dell’ubiquità… fluttuano liberalmente nel vuoto, come angeli… con una sola debolezza, la vita effimera, come certi sogni che s’infrangono troppo rapidamente… Poiché non hanno una loro caratterizzazione… un loro codice fiscale, una loro impronta, esse risorgono dalle loro stesse ceneri, innominate ed indefinite, provocando altri, a loro estranei, accadimenti… L’ultima loro bellezza: possono stare ferme nel tempo cambiando posizione… oppure essere in uno stesso spazio in tempi diversi… Cioè, fregandosene del tempo e dello spazio!
Einstein stabilì per primo che la massa può diventare energia e viceversa. Una particella reale diventa tale quando viene emessa una quantità ben precisa di energia. Grazie alla fluttuazione quantistica delle particelle virtuali, può invece nascere qualcosa anche dal nulla… senza che sia disponibile una qualche energia… purché ci si accontenti di una coppia (reale) particella-antiparticella: ad esempio un elettrone e un positrone, l’uno con energia positiva e l’altro con energia negativa, in modo che la spesa finale sia nulla, con collisione e conseguente reciproca, nullificante, elisione. Il mondo, quindi, purché duri poco, può essere gratuito e… brulicare… lì… fuori…
Ah!
Le particelle virtuali, se non sono un colossale fraintendimento della fisica teorica, non si danno sempre o per lo più.
“Il cominciare, o più esattamente il nascere, è sempre determinato…”
“… un’origine assoluta… si sottrae inevitabilmente alla catena delle cause. Ma di tutto ciò di cui non siamo nella condizione di cogliere determinatamente l’inizio diciamo che è in temporale, eterno…”
“Il presente è il vuoto a partire da cui si apre un mondo…”
Determinare o non determinare…
Soprattutto da quando Anna ha iniziato a camminare, vivo sulla mia pelle una specie di principio d’indeterminazione. In famiglia non si riesce mai a rintracciare contemporaneamente il telecomando e il libricino dei programmi televisivi… pur essendo in grado ugualmente d’ottenere una visione sufficientemente ampia di trasmissioni di spettacoli, documentari, pubblicità… eccetera…
Sarei folle a pensare che tutto questo risponda ad un’inevitabile legge di natura. Vorrei però considerare che l’analogia col principio di Heisenberg esiste, forse… pur tuttavia…
Determinare ha due significati principali: il primo è individuare con certezza, il secondo è… obbligare, causare, decidere… Anzi… il primo dovrebbe essere proprio decidere…
Non so se il cominciare del cosmo sia stato determinato da qualcuno e oggi sia definibile da qualcun altro… Nei primissimi attimi della vita del cosmo, gli scienziati determinano che doveva far valere i suoi diritti, obbligatoriamente, quel principio d’indeterminazione che necessariamente comanda ogni fluttuazione dell’energia e della materia.
Cosa c’era prima del big bang?
Hawking afferma che la materia che entra in un buco nero, prima o poi (o subito?) dovrebbe sbucare in un altrove in quanto contenuto di un buco bianco… Determinerebbe, prima o poi (o subito?), altrove, un big bang… Il relativista Smolin ha teorizzato che, in maniera analoga a quanto avviene in natura, siano destinati a sopravvivere e a rigenerarsi specialmente i cosmi che posseggono tante candide uova, cioè tante di quelle stelle dalla massa grande circa il doppio di quella del sole… il cui destino pare prestabilito: diventare un buco prima nero e poi bianco.
Resterebbe sempre il quesito dell’uovo e della gallina. Chi dei due fu il primo a nascere?

L’inglese Barbour (uno scienziato!) col suo “The End of Time” ipotizza l’illusorietà del tempo e dello spazio. Gli attimi sarebbero carte da gioco che coesistono nel mazzo anche se solo una alla volta ha la chance di esibire il proprio valore… Gli istanti sarebbero come tante cartoline appese ad un filo del bucato…
Per me il presente è… il vuoto a partire da cui si chiude un mondo… è, insomma, l’altro nome della morte, questa discontinua falciatrice di cose insensate! Ed è anche quel che dice lei, un vuoto foriero di un pieno. Nietzsche diceva che la stessa “vita è un ponte fra due nulla”.
Anna è nata il 18 gennaio 2003. Ed è morta il giorno seguente. Anche a sera. E la mattina successiva. Anche oggi mi pare sia morta alcune volte. Eppure Anna resta la gioia dei miei occhi, per via della sua tenera vivacità. Del suo passato ho in mente tanti di quei momenti che… mi sembra di riviverli! Mi auguro che il futuro le riservi miliardi di miliardi di miliardi di istanti di felicità…
Anna è un fenomeno spazio-temporale… Einstein la definirebbe un evento… Lo sono anche, per conto loro, i suoi piedini, il suo nasino, eccetera… Anche un paio di molecole di aminoacidi che compongono la sua elichetta… Non c’è davvero limite alla frammentarietà delle esperienze…
Non mi pare sia ragionevole affermare che possa esistere un piano esistenziale in cui l’evento sia ontologicamente diverso da tutti gli altri… A meno di non professare la fede in una qualche, immensa, divinità… simile al Dio degli Ebrei e dei Cristiani.
Da ragazzo Krishnamurti è stato il mio maestro spirituale… anche se… non ho mai capito fino in fondo il suo pensiero… Quell’anti-guru si ostinava a ripetermi, coi suoi petulantissimi libri, che i maestri e i libri sono tutti alquanto petulanti e che occorre rinascere ad ogni istante, dimenticando ciò che si è stati e affrontando senza timore la prima e l’ultima libertà: la nostra provvidenziale morte.
Le cellule del mio corpo, da allora, sono tutte diventate qualcos’altro, sono purtroppo decedute…
Eppure qualcosa non è ancora trapassato in me: il mio assurdo bisogno di conoscenza…
II capitolo: Apparenza-Realtà
“La verità… cessa di essere assoluta. Ogni discorso ha un suo regime di verità, ma nonostante questo esiste un piano di verità che include tutti i discorsi… Il reale è molto meno immediato di quanto non si pensi, la realtà, a suo modo, è sempre costruita… ma non arbitraria…”
Secondo la teoria einsteniana ognuno di noi ha una conoscenza vera ma personale del fenomeno spazio temporale che attraversa il suo cammino fatto di luce. Le varie conoscenze personali rappresentano delle verità non assolute, ma relative.
Se io e mia moglie, che la pensiamo diversamente quasi in tutto, ci avvicinassimo l’un l’altra, adottando la medesima metodologia e gli stessi ragionamenti logici, arriveremmo, ciascuno, alla considerazione che l’orologio dell’altro andrebbe a rilento rispetto al proprio.
Tale paradosso (doloroso più di tutti gli altri, mi creda) si fonda sull’unica verità che la scienza crede assoluta: la misura della velocità della luce, costante nel vuoto, per nulla infinita, ma insuperabile.
Ciò causa una mostruosità: il fotone vive in un tempo che è nullo. Eppure, in quel limbo dove nulla accade, egli ne sa più di noi. Se noi lo spariamo in direzione di un numero finito di fenditure, egli dapprima le individua, poi le conta e infine, in base al loro numero e alle loro posizioni, decide con coscienza dove andare. La scienza può soltanto calcolare a priori la probabilità del suo misterioso tragitto.
Tale scienza, detta meccanica quantistica, si affida quindi al calcolo dell’incertezza, che è insita nella natura delle cose. Di una particella, se fossi uno scienziato, saprei verificare la velocità o la posizione, ma non le due cose contemporaneamente. Inoltre, se studio una caratteristica della materia, per influenza determino la sua nuova misura.
Wolfgang Pauli diceva che lui sapeva così tante cose di meccanica quantistica che ormai non riusciva a capirci più nulla. Qualcun altro giunse ad affermare che se si diceva di aver compreso la logica delle particelle significava che non si era capito un bel nulla. Richard Feymann amava dire ai suoi studenti della luce che le cose erano più o meno così come le descriveva, anche se si rendeva conto benissimo della terribile assurdità di quanto andava spiegando.
Davvero, secondo Werner Karl Heisenberg non c’è alcun modo di verificare con esattezza, contemporaneamente, la velocità (S/T) e la posizione (T/S) di una particella. Conosci, di volta in volta, l’una oppure l’altra. Questo principio pare sia insito nella natura e non dovuto ad un’insufficienza di mezzi da parte dell’homo sapiens. Einstein non era d’accordo. Diceva, tra l’altro, di non credere che Dio giocasse a dadi col cosmo. Questo principio è stato poi impiegato a profusione e, a mio parere, senza il senso della misura, in ogni aspetto della conoscenza della materia infinitesimale.
Anche l’esperimento mentale di Erwin Schrodinger fu influenzato da questo principio. Viene chiusa in una camera una gatta, vicino alla quale viene messa una fiala di gas mortale il cui beccuccio salta in aria, uccidendo l’animale, solo se occorre un fenomeno quantistico di cui si può prevedere soltanto l’eventualità indeterminata. Alla fine dell’esperimento mentale, la gatta è sia viva che morta. Ci sono cioè soluzioni egualmente giuste (matematicamente e, nel senso dell’orthotes, vere) per l’uno o per l’altro caso. Solo allorché si aprirà la stanza si saprà la verità. La languidissima gatta, infatti, è un oggetto macroscopico e perciò per lei non vale il principio di Heisenberg.
Nel microscopico invece, la situazione si complica all’infinito. Di ogni evento esistono infinite soluzioni, alcune più probabili, altre meno e quasi nulle. C’è chi immagina esservi la probabilità, remota ma forse certa, che vi siano infiniti mondi in cui le infinite possibilità si debbano per forza esprimere, dando così un’opportunità alla propria possibilità.
In quanti di questi universi lei sarebbe il destinatario di questa lettera?
“… tutto è animato e pieno di dei…”
“Il Dio d’Israele è forte perché nessuna forza lo può incatenare… sfugge…”
Forse tutto s’assomiglia.
La meccanica quantistica è come una società politeistica. Non esiste una verità certa, bensì si presenta, ogni volta, una realtà ricca di particelle abbastanza prevedibili, alcune delle quali un po’ esoteriche (come ad esempio il quark “incantato”) e portatrici di un proprio mito.
La fisica relativistica venera un solo Dio assoluto: la velocità della luce nel vuoto.
Non si sa chi abbia ragione. Del resto, a chi interessa?
Esistono tante equazioni quante sono le esperienze delle particelle.
Einstein creò invece una sola grande, complessa equazione e non fu mai capace di risolverla completamente. Un giorno Godel lo sorprese, poiché gli propose un’insolita soluzione giusta, una fra le tantissime.
Altra metafora: tale equazione è come la Bibbia, una, assoluta e immensamente commentabile.
La figura del teologo nasce allorché bisogna capire le infinite sfaccettature di un solo Dio, Autore di un solo Libro.
Egli non gioca a dadi perché “è” il dado.
Quando ce ne sono tanti, di cubetti, la necessità non si pone con la stessa urgenza, poiché quello che conta è l’osservazione naturalistica della realtà del pantheon, e non una scelta quanto mai irrevocabile di un idolo, collegata necessariamente ad una conversione.
Le presento, buon ultimo, l’enigmatico (per me almeno) Frank J. Tipler, docente di fisica in uno sperduto ateneo della Louisiana.

Nel punto Omega, dove tutto andrà a finire, ci saranno tutte le particelle del cosmo, ad ognuno delle quali sarà abbinata un’informazione che, insieme a tutte le altre, ricreerà “tutto quanto”. Si tratta della “Fisica dell’immortalità”, in cui la rappresentazione “sarà” la realtà. Anzi, tutte le realtà.
“…non farò mai appello alla rivelazione…”
“…descriverò il meccanismo fisico della risurrezione universale…”
“…mostrerò con estrema precisione come la fisica consenta la risurrezione alla vita eterna di tutti coloro che sono vissuti, che vivono o che vivranno…”
“…e dimostrerò… perché… tale facoltà di risuscitare esisterà davvero e perché sarà effettivamente usata…”
“…tornerete a rivivere…”
Omega sarà la grande “bestia”, il Dio supremo.
La fisica, se Egli è reale… non può non scoprirlo… Mentre la teologia si affida alla certezza della fede, la scienza, dapprima discute di probabilità esatte, poi si spinge a trarre conclusioni necessarie.
Tipler ha semplicemente cercato di costruire un modello matematico di Dio. E secondo lui ne è stato capace.
Con questo, La ringrazio di tutto quello che mi ha dato, caro Natoli, col Suo bel libro “Parole della Filosofia” (Mondadori, 2004). Ora La lascio perché è così che si fa coi propri maestri.
Ma perché mai Le ho scritto?…
Forse era soltanto, come dire, inevitabile…
Written by Stefano Pioli