“Il poeta e il santo” poesia di Gialâl ad-Dîn Rûmî: liberarsi dalla carne e dalla passione
Di seguito si potrà leggere il testo della poesia intitolata “Il poeta e il santo” di Gialâl ad-Dîn Rûmî accompagnato da alcune note di analisi e dalla biografia del poeta.
“Il poeta e il santo”
Mi sono liberato al fine della carne e dalla passione: il Vivo è dolore, il Morto è dolore,
Vivo o Morto non sono mia patria, mia patria non è che la grazia di Dio!
Mi sono liberato alfine da questi versi, da questi ghazal[1], o Eterno Sovrano e Sultano,
Mofta’elon mofta’elon mofta’elon[2] m’hanno ammazzato!
Rime e pasticci di metri dì: Se li porti il demonio!
Non son che scorza, non son che scorza, adatta al midollo di poeta!
O silenzio! Tu sei il mio midollo, la mia melodia dolce e profonda:
ben poca è la virtù del Silenzio in chi non ha timore e speranza!
Pei villaggi distrutti e deserti non ci sono decime, né kûch o qalân[3]
ebbro e distrutto sono io, non cercar nei miei ersi valori ed errori!
Finché non mi rende Rovina come mi darebbe il Tesoro?[4]
Finché non mi annega nell’onda come mi abbraccerebbe nel mar della Grazia?
Lo specialista della Parola che può sapere di zuccherino Silenzio?
Che può sapere il Secco dell’umido tarlalalà[5] nostro?
Specchio sono io, specchio sono io; niente parole, niente parole,
potrai vedere l’estasi mia, se si fa occhio l’orecchio tuo!
Agito a danza le mani come albero, turbino in tondo come la luna
Il mio rotare colore di terra è più puro dei cerchi del cielo.
O iniziato che parli![6] Parli a che possa pregare per te,
ch’ebbro e felice divento ogni alba al tempo della preghiera!
Non ti rifiuto la tunica mia, non il mio rozzo centone,
e quel che dal Sovrano mi giunge, mezzo è per te, mezzo per me!
Dalla mano del Re mi giunge il Calice[7], mi giunge l’Anfora eterna,
la fonte lucente del Sole ne chiede, qual mendicante, un sorso!
Sono silenzioso, la gola ho stanca, parla tu, eloquente Iniziato,
tu hai l’alito dolce di David[8] ed io sono fuscello che vola a quell’alito!
Jalāl ad-Dīn Muḥammad Balkhī, anche conosciuto come Jalāl ad-Dīn Moḥammad Rūmī, conosciuto come Mevlānā in Turchia e come Mowlānā (persiano: مولانا [moulɒːnɒː]) in Iran e Afghanistan, in Europa è semplicemente denominato Rûmî il più delle volte.
Rûmî nasce a Balkh il 30 settembre del 1207 e muore a Konya il 17 dicembre del 1273, nel corso della sua vita è stato un ʿālim, teologo musulmano sunnita, e poeta mistico di origine persiana. La sua regione di nascita è l’odierno Tagikistan ed i suoi genitori erano di origine persiana. Delle notizie che abbiamo sulla sua biografia è importante ricordare il suo pellegrinaggio alla Mecca a soli dieci anni, nel 1217. Nel 1219, a causa dell’invaione mongola, la sua famiglia si trasferisce nel nordest dell’attuale Iran.
Secondo la tradizione, a Neishabur incontrò il vecchio poeta Farid al-Din ‘Attar che profetizzò un futuro splendente per il giovane poeta nominandolo come il continuatore ideale della sua opera.
Ma ci furono due eventi spirituali determinanti nella vita di Rûmî: il primo fu l’incontro, nel 1244, con il misterioso personaggio noto come Shams-i Tabrīzī (“il sole di Tabrīz”), che si può ritenere il suo maestro spirituale, profondo studioso delle scienze teologiche e giuridiche islamiche. Però questo loro intenso legame fu tanto stretto da destare un notevole scandalo e portò alla scomparsa di Shams-i Tabrīzī in misteriose condizioni. In seguito alla morte/scomparsa del maestro, Rûmî ebbe un momento di particolare capacità creativa che lo portò a comporre una raccolta di poesie comprendenti ben trentamila versi.
Il secondo evento fu la conoscenza, a Damasco, del grande mistico islamico Ibn Arabi, tra i più grandi teorizzatori della waḥdat al-wujūd o “unità dell’essere”.
Rûmî è anche ricordato per essere stato il fondatore della confraternita sufi dei “dervisci rotanti” (Mevlevi), ed è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana. In seguito alla sua morte i seguaci si organizzarono nell’ordine Mevlevi, con i cui riti tentavano di raggiungere stati meditativi per mezzo di danze rituali e musica.
Note
[1] Ghazal è un tipo di ode tradizionale persiana, il cui primo verso doppio ha rime baciate nei due emistichi, mentre tutti i versi hanno la stessa rima.
[2] Si tratta di forme senza senso della radice araba trilittera che servono a indicare mnemonicamente i vari piedi della metrica tradizionale.
[3] Specie di tasse agrarie.
[4] Metafora frequentissima nella poesia tradizionale: le rovine, i luoghi deserti, racchiudono spesso tesori nascosti.
[5] Tar significa umido e gioca con secco nel senso di arido, privo di entusiasmi mistici. Però tarlalalà accenna anche al ritmico canto dei dervisci danzanti.
[6] In ogni mistica è essenziale la presenza del Maestro, dell’Iniziatore. Tutte le grazie di cui Dio fa partecipe il mistico sono da attribuire all’Iniziatore, al Maestro.
[7] Il Calice che porge il Maestro contiene un liquido talmente potente e sublime che la fonte del sole (espressione frequente nella lirica persiana, dove il sole è paragonato a una fontana di luce) chiede essa stessa di quel vino/luce al Maestro.
[8] L’alito dolce di David allude alla qualità principale del profeta David nel Corano: quella di cantore di dolcissime melodie divine (i Salmi).
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Bibliografia
Poesie mistiche di Gialâl ad-Dîn Rûmî, a cura di Alessandro Bausani, Fabbri Editori, 1997