“Siamo tutti greci” di Giuseppe Zanetto: analogie e differenze tra noi e gli antichi abitanti dell’antica Grecia

All’apparenza può sembrare una frase fatta, un luogo comune, un déjà vu.

 

 

Siamo tutti greci
Siamo tutti greci

Eppure Giuseppe Zanetto, docente di Letteratura all’Università Statale di Milano, autore per Feltrinelli Kids del saggio Siamo tutti Greci, riesce a svolgere l’impegnativo tema imposto dal titolo in modo originale e convincente.

Questo libro è uscito nell’estate 2018, ma quando si parla della cultura greca siamo sempre nell’attualità. Attuale, infatti, è propriamente ciò che è reale e niente è più vero del mondo greco. Vero nel senso che è esistito e nel senso che, esistendo nell’antichità, ha condizionato quello che noi siamo ancora oggi e che forse siamo destinati ancora ad essere, se vogliamo davvero esistere.

Il 9 febbraio di ogni anno si celebra, a partire dal 2016, la Giornata mondiale della lingua e della cultura greca. L’attualità della Grecità classica si misura anche attraverso la serie di iniziative che da qualche anno a questa parte, forse pure per effetto della grave crisi economica vissuta negli ultimi anni dallo Stato ellenico, si moltiplicano in difesa di un capitale culturale che invece non ha prezzo e che rischia di essere spazzato via insieme al denaro perso a causa dei conti finanziari che non tornano. Se la Grecia è stata in ginocchio per motivi materiali, non ci possiamo permettere il lusso di perderla nella sua Cultura che certamente è Patrimonio mondiale dell’umanità.

Anche per questo negli ultimi anni si è assistito alla proliferazione di pubblicazioni concernenti la lingua e la cultura greca.

Il libro di Zanetto si colloca in questo filone.

Dopo un un’introduzione tesa a chiarire criticamente il senso dell’espressione «Siamo tutti greci», diventata famosa per essere stata pronunciata per la prima volta dal poeta inglese romantico Percy Shelley nel contesto in cui i «filelleni di tutta Europa sostengono la guerra di indipendenza dei Greci contro la dominazione turca», l’autore riprende singolarmente i temi per cui noi oggi “saremmo tutti Greci” dedicando a ciascuno di esso un capitolo. In ogni capitolo il professore sviluppa in modo esteso ciò che in nuce aveva espresso nell’introduzione, ovvero i motivi di continuità e quelli di discontinuità del nostro essere Greci. Le argomentazioni si estendono nell’arco di sei capitoli.

E così nel primo, intitolato Donne ribelli, vendicative e innamorate. Medea, Lisistrata e le altre, è il tema della donna ad offrire lo spunto di riflessione a Zanetto. Si tratta di un argomento che sembrerebbe allontanarci dalla Grecità, dato il carattere fortemente misogino della civiltà greca, che relegava di fatto le donne tra le mura domestiche, ad occuparsi dei lavori casalinghi e dei figli, lontano dalla vita politica e pubblica. Eppure a confermare questa regola c’erano delle eccezioni che Zanetto coglie in modo brillante e convincente: tra queste, come tutti sanno, spicca la figura di Lisistrata, protagonista dell’omonima commedia di Aristofane. Durante la Guerra del Peloponneso le donne di Atene, Sparta e di altre città della Grecia, stanche della guerra, si riuniscono e decidono di  stringersi intorno allo stratagemma di Lisistrata: sottrarsi agli “obblighi coniugali”, finché gli uomini, in crisi di astinenza, non si convincano a porre fine alle ostilità. Le donne così fanno e alla fine ottengono ciò che vogliono: la pace. Da questa commedia emerge il messaggio che le donne, abituate ad amministrare la vita domestica di ogni giorno, sono anche in grado di gestire la vita pubblica che non è che un’estensione della vita privata.

Il tema della politica è presente anche nel secondo capitolo, All’assemblea ogni giorno. Libertà di parola… per maschi, liberi e ateniesi. Il sottotitolo dovrebbe segnare subito una netta distanza fra il nostro attuale modo di concepire la politica e quello degli antichi: in esso infatti si palesa che la libertà di parola, ovvero il contrassegno massimo del cittadino greco, nella fattispecie ateniese, dei suoi diritti (e doveri) politici, appartiene ai maschi, ai liberi, e a chi ha la cittadinanza ateniese, ma non evidentemente alle donne, agli schiavi e agli stranieri. Sulle donne l’autore cita ancora l’esempio di un’altra commedia di Aristofane intitolata Le donne all’assemblea ambientata stavolta nell’ Atene uscita malamente dalla Guerra del Peloponneso. Il comico immagina che siano le donne, capeggiate da Prassagora a prendere il potere ovvero ad occupare l’assemblea, rubandola ai loro mariti. In che modo? Indossando i vestiti dei loro uomini, acconciandosi con barbe finte e anche smettendo di depilarsi le gambe: una volta assunta completamente la fisionomia maschile esse si recano di buon mattino presso la sede dell’assemblea (ekklesia) e, pur nello sconforto dei mariti, riescono ad assumere il potere. Zanetto usa il richiamo ad Aristofane per far riflettere sul fatto che il poeta comico ha inventato una situazione assolutamente inattuabile nel mondo greco, ovvero la possibilità che le donne possano gestire la politica. In questo la demokratia ateniese è diversa dalla nostra democrazia attuale o almeno dalle sue forme più evolute. Nello stesso capitolo, però, l’autore, sempre servendosi di esempi tratti da altre commedie di Aristofane e di altri autori greci, spiega come nella pratica si attuasse la demokratia diretta ad Atene, che prevedeva la partecipazione al dibattito politico di tutti i cittadini: quest’esempio serve a Zanetto per ribadire, al di là delle differenze tra noi e gli antichi, gli elementi di continuità: tra noi e i Greci cambiano i «meccanismi di funzionamento» della politica, ma l’amministrazione della cosa pubblica intesa come dibattito e voto l’abbiamo certamente ereditata dai Greci.

Platone
Platone

Anche se dal titolo non sembrerebbe, è il terzo capitolo quello in cui l’autore si concentra di più a sottolineare le differenze fra demokratia antica e quella attuale in tema di partecipazione, evidenziando sia la differenza fra democrazia diretta degli antichi e quella rappresentativa contemporanea, sia l’esclusione dalla politica antica di donne, schiavi, stranieri. Inoltre la demokratia ateniese è veloce, mentre quella attuale lenta e questa antitesi va ricondotta in ultima analisi a quella fra esercizio diretto e indiretto del potere. Analoga invece la convivenza di democrazia, populismo e nazionalismo, tipica sia del mondo greco antico (come testimoniano ancora le commedie di Aristofane) che del mondo attuale. Inoltre, come la demokratia antica sarebbe nata in antitesi alla tirannide, le grandi democrazie attuali sono sorte come risposta ai Totalitarismi del Novecento.

Non a tutti nella Grecia classica convinceva l’idea che il demos, ovvero gente spesso poco istruita ed educata, amministrasse la polis. Un esempio ne è Platone che dovette assistere alla condanna a morte del suo maestro Socrate (399 a.C.) da parte di un governo democratico che si era restaurato ad Atene dopo una fase oligarchica successiva alla Guerra del Peloponneso. Platone, infatti, riteneva che la politica fosse un dono degli dei e raffigurava ciò mediante dei miti che servivano a spiegare la nobiltà dell’arte di guidare la polis, «a cui tutte le altre sono subordinate: dalla politica dipende ogni speranza di progresso per gli uomini».

Siamo tutti greci, sempre secondo l’autore, perché anche noi oggi diamo importanza al corpo e al movimento, esattamente come facevano i Greci antichi. Anzi furono proprio i Greci a Rappresentare il corpo per scoprire l’uomo, come recita il titolo del quarto capitolo (sottotitolo Dal koúros ai Bronzi passando per gli atleti). Lo fecero nel corso della loro storia e soprattutto impararono a farlo, in un certo senso, per noi. Infatti se noi oggi definiamo l’uomo come l’insieme di un’anima e di un corpo, lo dobbiamo ai Greci. Certo all’inizio essi non la pensavano così. Ne sono testimonianza i versi omerici dove mancano delle descrizioni vere e proprie dei personaggi, nonostante non manchino cenni sul loro aspetto fisico e morale. In Omero, però, in generale è assente una visione del corpo umano come un insieme di parti legate da un principio interno; Omero fa ancora riferimento, ad esempio, alle ginocchia, quando vuole riferirsi alla forza di un eroe; inoltre egli pensa davvero in termini fisici quando descrive un sentimento, una passione, uno stato d’animo in quanto ritiene che essi risiedano in una specifica parte del corpo. Perché i Greci comprendano che il corpo umano è un sistema di parti tra loro legate da un principio interno che ne coordina “naturalmente” il movimento, devono passare un po’ di secoli attraverso i quali, lentamente, essi apprendono e imparano a rappresentare tale realtà.

Un aiuto per ricostruire siffatto processo così lento ci viene, argomenta Zanetto, dalle arti figurative (ovvero dalla scultura, dalla pittura e dall’arte della ceramica). Dall’arte geometrica dell’ VIII sec.a.C. che presenta figure umane ancora stilizzate e ancora poco armoniche si arriva, passando per i kouroi del VI sec a.C. (e tutte le loro evoluzioni) e per i notevoli sviluppi del V sec. a.C. Questi ultimi sono dovuti anche all’influenza delle poesie di Pindaro (VI-V sec. a.C.) che, esaltando nei suoi versi gli atleti, evoca il corpo e i suoi movimenti, offrendo spunto agli artisti figurativi in cerca di perfezionamento per quanto concerne la rappresentazione dell’uomo. Siamo ancora, conclude Zanetto, in una fase caratterizzata dall’assenza del professionismo atletico, che iniziò in Grecia nella seconda metà del V secolo a.C. A questa fase il professore paragona lo sport dei nostri giorni, trovando invece più congeniale il modello dell’ateniese Isomaco che si vanta del proprio benessere derivante da un’attività fisica giornaliera: come fa oggi «un impiegato newyorkese che si rilassa dopo la giornata di lavoro con una corsetta a Central Park».

Siamo tutti greci, inoltre, perché sappiamo ribaltare i luoghi comuni. Avremo pertanto il coraggio di affermare, secondo Zanetto, che non solo l’astrofisica è una scienza del futuro, ma anche l’archeologia. Infatti quest’ultima (alla lettera “la scienza delle cose antiche”), paradossalmente, facendoci conoscere il passato ci permette, oggi, di conferire futuro al passato stesso, ovvero di restituirgli una vita presente e futura che, altrimenti, non sarebbe possibile; da solo il passato resterebbe tale; studiandolo, invece, viene riportato in vita oggi, qui e ora, da noi e per noi, e per la Scienza in quanto tale. E la Scienza è sempre futura, altrimenti morirebbe e non sarebbe conoscenza. Non mi soffermo ulteriormente sul capitolo dedicato a questo argomento Il futuro del passato e lascio al lettore la libertà di recuperare il proprio futuro.

Anche il tema della fede religiosa offre occasione per un confronto tra noi e i Greci. Ciò è affrontato nel capitolo Quando un dio mente. Ma ci credevano davvero? Esemplificativo è il sottotitolo in forma di domanda a sottolineare il dubbio che i Greci potessero credere nelle loro divinità, imperfette per non dire strane. Già alcuni Greci stessi erano critici nei confronti delle divinità dell’Olimpo, in quanto secondo loro il divino era perfetto; altri giunsero a non credere affatto nell’esistenza degli dei. La religione greca, successivamente, fu il bersaglio dei Cristiani i quali ne mettevano in risalto l’assoluta immoralità; al contempo, però, quanti continuavano a coltivare i culti pagani anche in epoca cristiana, accusavano la nuova religione di essere «cupa» e «oppressiva». Si tratta di un fenomeno, quello delle controversie fra pagani e cristiani, destinato a protrarsi fino ai nostri giorni alla luce del fatto che, se il Cristianesimo si è imposto come religione nel Mondo occidentale, contribuendo a costituirne i valori fondanti, va detto che permangono oggi nostalgici cultori del Paganesimo i quali, interpretando la religione dell’antica Grecia in termini laici, credono ancora di poter riproporre l’antitesi fra ragione e religione. Si tratta soltanto di una supposizione perché è riduttivo interpretare in chiave completamente laica la religione greca, che invece presentava tutta una seria di culti in cui i Greci credevano fermamente. Ciononostante non mancano punti di contatto fra la religione cristiana e quella greca.

Giuseppe Zanetto
Giuseppe Zanetto

Nel capitolo conclusivo, Siamo tutti greci, l’autore ripercorre il suo excursus ribadendo la differenza, dovuta anche alla distanza temporale, fra noi e i Greci; una distanza che ogni epoca ha cercato di annullare sicché, dopo l’antichità classica, ogni fase storica si è costruita una Grecia a sua immagine e somiglianza, falsandone spesso la realtà. Attraverso alcuni esempi il nostro autore ribadisce che non è in questo che siamo Greci, ma nell’interesse tanto nostro che greco, per l’uomo o per il mito e per i temi che esso propone (contrasto fra dovere morale e dovere dello Stato, tra guerra e pace, tra diversi modi di concepire le donne e gli stranieri, talora lontani dalla nostra sensibilità, talora vicinissimi ad essa, tra orgoglio e compromesso), per l’idea, attualissima, che la politica sia concepita come discussione e confronto, o infine che nello sport sia necessario uno sponsor a sostenere un campione o una squadra.

Si tratta solo di alcuni esempi che ci permettono di comprendere l’«apparente contraddizione della Grecia» come «distanza che è anche vicinanza». Infatti la «Grecia antica è un luogo straordinario» e «dobbiamo andarci con la consapevolezza che si tratta di camminare a ritroso per molti secoli. Ma quando ci arriviamo e ci guardiamo intorno, ci rendiamo conto che molto di quel che vediamo ce l’avevamo già dentro […] Possiamo quindi tornare al presente con la certezza che laggiù, in Grecia, c’eravamo già stati. Siamo tutti greci, infatti».

 

Written by Filomena Gagliardi

 

Bibliografia

Giuseppe Zanetto, Siamo tutti greci, Feltrinelli, pp156 euro 13,00

 

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