“Io, Annibale. Memorie di un condottiero” di Giovanni Brizzi: il mondo che aveva illuminato il Mediterraneo

“Non rivedrò Cartagine, mai più. Lo sapevo da tempo, anche se continuavo con ostinazione a illudermi; ora, sono rassegnato. A prendermi hanno mandato un cugino del solo uomo che abbia saputo vincermi sul campo, il suo insignificante fratello e soprattutto Tito Quinzio Flaminino, in intrigante la cui fama di filelleno suona alle mie orecchie come una bestemmia: tre legati, due dei quali di rango consolare, per riportare a Roma la testa di un vecchio.”

Io, Annibale. Memorie di un condottiero
Io, Annibale. Memorie di un condottiero

Ritengo che alcuni libri vadano assaporati, fatti decantare e poi presentati. È proprio quello che sto facendo ora con la mia ultima lettura anche se, ve lo posso confessare, ho timore di parlarne.

Questo libro parla di memorie appartenute ad un uomo che, per anni è stato una catastrofe per il suolo italico e per la Repubblica di Roma. Questo uomo ha deciso di mettere la sua persona davanti allo specchio della Storia e si è raccontato con l’orgoglio di aver fatto ogni cosa in suo potere per la sua città e con la consapevolezza che tutto questo non sia bastato. Ha voluto fortemente che la sua visione dei fatti non gli scivolasse tra le dita come sabbia e, soprattutto, non desiderava che i Romani avessero anche questa ultima parola su di una vita spesa per la grandezza e la sopravvivenza di un mondo che, ora lo sa anche lui, era sull’orlo dell’oblio.

Questo uomo non desiderava la fine del mondo ellenistico; questo mondo andava salvato anche in memoria di Alessandro.

Il mondo che aveva illuminato il Mediterraneo veniva minacciato dagli artigli di un rapace.

Il mondo che questo uomo voleva salvare è stato un sogno che nessun trucco di strategia poteva far tornare reale.

L’uomo di cui parliamo era Annibale.

L’uomo che ne ha raccolto la voce, attraverso uno splendido e meraviglioso lavoro di ricerca, è Giovanni Brizzi.

Giovanni Brizzi è professore ordinario di Storia romana presso l’Università di Bologna dal 1986. Ha insegnato nell’Ateneo di Sassari e di Udine prima di rientrare a Bologna.

È stato più volte professore alla Sorbona IV di Parigi. È socio ordinario della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, è stato, inoltre, insignito del premio ‘Mario di Nola’ dall’Accademia Nazionale dei Lincei. Per le sue attività di ricerca sulla battaglia del Trasimeno ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Tuoro sul Trasimeno. È socio dell’Accademia delle Scienze di Bologna e dirige la Rivista Storica dell’Antichità.

Specialista di storia annibalica e di storia militare antica, è autore di oltre centotrenta pubblicazioni, tra cui otto monografie su personaggi della Roma repubblicana, molte delle quali sono state tradotte in più lingue e di alcune trasmissioni radio, tra cui una serie di 20 puntate andate in onda nel 1999 su Radio Due.

Anche questo volume, come già sottinteso sopra, è una biografia. Io, Annibale. Memorie di un condottiero” è edito per Laterza in questo 2019.

Vi accennavo al mio timore di parlare di questo libro, perché mai dovrei provare quell’antico e atavico sentimento nei confronti di questo uomo ormai anziano? In realtà non lo so spiegare. Forse perché ho sempre sentito la voce di coloro che avevano vinto la sua minaccia.

Forse, perché ora che ho ascoltato la sua voce mi trovo davanti non solo la mia disillusione ma la paura di una città che pur di liberarsi dello spauracchio di un nemico invincibile ha ceduto alla follia di volerlo vedere eliminato anche se ormai vecchio e privo di velleità.

Un po’, mi piace sperarlo, ci vergogniamo entrambe.

Un po’, spero di poter ardire di pensarlo, credo che Annibale non vorrebbe che io mi sentissi colpevole e, escluso il senato, non vorrebbe lo facesse neppure Roma. Era la guerra e lui lo sapeva, Roma e Cartagine erano sogni ed è stato lui stesso ad insegnare a quell’Aquila, ancora inesperta e dedita a leggi ancestrali, a sbattere le ali e a strappare la carne dei suoi avversari.

Mi ero chiesto spesso cosa fosse la fides, per i Romani; ora avevo la risposta. Essa era – o almeno lo era stata in origine – la chiave di un linguaggio comune. Essa era stata la componente essenziale, il presupposto stesso del codice che regolava – anche e soprattutto durante quella guerra che il costume romano non escludeva affatto – i rapporti interpersonali tra aristocratici; un codice individuale e gentilizio che essi consideravano universalmente valido, senza confini così come sovrannazionali erano i connotati della casta di cui facevano parte. Di questa consorteria ero membro io pure, e tra i più illustri: infrangendone le regole, mi ero dunque macchiato, ai loro occhi, di una colpa che non meritava perdono.

Giovanni Brizzi
Giovanni Brizzi

Sulla strada intrapresa per proteggere Cartagine da Roma, Annibale ha svelato il metodo per farla cadere e implorare pietà, anche a spese dei propri figli.

Annibale ha mostrato a Roma come avere paura e Roma ha compreso insegnando a Cartagine come non rialzarsi mai più.

Il condottiero, preso dalla sua irrefrenabile consapevolezza di essere più abile dei romani, ha scordato che dall’altra parte, prima o poi, avrebbe potuto trovare un degno avversario.

Non credo ci sia bisogno di elencare le grandi battaglie sostenute durante le guerre puniche, non citerò i famosi elefanti. Non sono importanti ora, quello che è importante è la vita di Annibale.

Annibale, quello che ci hanno narrato a scuola, nasce dalla battaglia e dalla barbarie.

Annibale, l’Io di questo grande uomo, nasce da scuole sopraffine, da un talento innato per la strategia e la tattica, e dall’amore sviscerato per la vita e per Cartagine.

Ci fu un giuramento che suo padre gli fece pronunciare ma non fu quello, non solo, a portarlo a odiare i romani. Lui non li odiava affatto. Certo, alcuni li riteneva di una meschinità superiore ad ogni comprensione mentre altri per lui erano degli stolti, ma quello che i romani costituivano per lui era l’equivalente di un ostacolo a Cartagine e la minaccia più grande al sogno di Alessandro per l’Ecumene.

Come potrete sapere dalle sue stesse parole: Elissa, la Didone abbandonata da Enea, non era il fuoco che muoveva il condottiero ma era lui stesso.

Fu impulsivo, spietato e furioso. Si fece cogliere dalla passione, dall’ira di Ercole e dal fuoco di Alessandro.

Fu un uomo di incomparabile splendore del firmamento dei condottieri e lui ne era consapevole.

Fu un uomo di superiore arguzia e un grande conoscitore dell’animo umano.

Fu l’uomo che, involontariamente, fondò l’Impero di Roma.

All’Italia ho lasciato un retaggio di dolore e di desolazione, di rancore e di paura; a Cartagine e ai greci lascio un futuro denso di incognite. A Roma, per colmo di ironia, ho spalancato la prospettiva del dominio sull’Ecumene. Se gli dèi così hanno voluto, sarà – è l’unico conforto che mi resti – per un loro imperscrutabile disegno; spero solo che la città tiberina sappia un giorno nobilitare quel ruolo che proprio io, senza volerlo, ho finito per consegnarle.

Annibale si congedò al mondo “ruggendo il suo orgoglio” prima che il suo ospite lo consegnasse ai romani, per sua mano e sua volontà.

 

Written by Altea Gardini

 

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