FEFF 2019: Sezione Competition – “Dying to Survive” di Wen Muye
Il viaggio di Oubliette Magazine alla scoperta del recentissimo cinema cinese prosegue col titolo che ha registrato il terzo maggior incasso dell’anno passato (l’equivalente di circa 450 milioni di dollari), preceduto da “Detective Chinatown 2” di Chen Sicheng (circa 490) e “Operation Red Sea” di Dante Lam (circa 530), quest’ultimo presentato allo scorso Far East Film Festival.
“Dying to Survive”, opera prima del giovane Wen Muye, non è il “Dallas Buyers Club” asiatico, benché ne condivida una tematica molto simile e l’ispirazione a fatti realmente accaduti: il motore della vicenda è la ricerca ad ogni costo (ma non ad ogni prezzo) di medicinali contro una malattia mortale, non più l’AIDS bensì un particolare tipo di leucemia.
Il paladino insospettabile di questa lotta iniziata nel 2002 è Yong, uno squattrinato venditore di olii afrodisiaci indiani che fatica a pagare l’affitto e bada distrattamente al figlioletto, essendo preoccupato maggiormente di nutrire il padre in fin di vita su un letto d’ospedale. Un giorno un cliente diverso da tutti gli altri, Lv, si presenta alla sua scrivania indossando una triplice mascherina alla bocca: gli propone di contrabbandare un farmaco piratato prodotto in India, assai meno costoso di quello autorizzato alla vendita in Cina ma parimenti efficace.
Inizialmente Yong non si dimostra interessato, poi però il suo lato opportunistico gli fa fiutare lauti guadagni, che lo ripagherebbero del rischio comportato dalla missione oltreconfine e gli permetterebbero di risollevare il suo deprecabile tenore di vita. Da quel momento, la città in cui vive viene invasa da importazioni illecite sempre più consistenti e frequenti, assistendo all’attivazione da un lato di una rete di acquirenti gestita anche attraverso il sostegno di alcuni nuovi collaboratori di Yong, fra cui una pole dancer dal cuore d’oro, un prete più furbo che santo, un giovane ammalato dall’indole riottosa e lo stesso Lv, dall’altro della polizia che nell’esclusivo nome della legge presto si mette sulle tracce dei trafficanti.
Fino alla prima importante svolta narrativa, la regia assume i connotati energici tipici della commedia d’azione, adatti a descrivere una parabola ascendente ricca di episodi spassosi e imprese esaltanti, sia per il pubblico che per i personaggi. Siccome comunque “tutte le cose belle devono finire”, man mano che nel protagonista prende piede la consapevolezza prima di non poter agire indisturbato ancora per molto, quindi di quali siano le reali condizioni in cui versano coloro che non hanno accesso alle cure a motivo di un altro genere di “malattia”, la povertà, anche il tono del racconto muta progressivamente.
La vicinanza con la morte turba in profondità l’animo di Yong e ne fa emergere il profilo migliore, magari rappresentato, assieme ai successivi ripensamenti da parte di alleati e antagonisti, senza particolare rigore psicologico né premurandosi di disattendere più di tanto le aspettative dell’audience, e tuttavia in maniera abbastanza abile da scuotere con successo la stessa opinione pubblica cinese, ricordandole come dai fatti di inizio secolo siano stati compiuti rilevanti progressi nel campo sociosanitario.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
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Rubrica Far East Film Festival