Intervista di Frank Lavorino ad Alessandro Curti, autore di “Siamo Solo Piatti Spaiati”
“Siamo solo piatti spaiati” di Alessandro Curti, edito da C1V Edizioni, è la storia di Davide, un giovane che si trova a fare i conti con i propri errori, lontano da casa e dalla sicurezza della famiglia.

Il romanzo racconta il mondo degli adolescenti attraverso il filtro del loro sguardo fresco e onesto sul mondo, e di come sia spesso difficile per loro fidarsi e confrontarsi con gli adulti.
Vi presentiamo l’autore con questa intervista. Buona lettura!
F.L.: I tuoi libri sono spesso incentrati sul delicato rapporto tra genitori e figli. Ti va di parlarci del rapporto con i tuoi genitori, e di quanto ha influenzato il tuo book-writing?
Alessandro Curti: È la prima volta che mi viene chiesto del rapporto che ho avuto con i miei genitori anche se, evidentemente, influenza non solo il mio book-writing ma la mia esistenza in generale. Sono figlio di due genitori che hanno dovuto lottare per ottenere dalla vita quello che volevano, visto che entrambi sono figli del dopoguerra e delle difficoltà economiche che il conflitto ha portato, e che, proprio per questo motivo, si sono promessi che non mi avrebbero fatto mancare nulla, nel limite delle loro possibilità. Ho avuto una madre con un carattere forte e combattivo e un padre silenzioso ma sempre presente in ogni tappa della mia vita. Entrambi mi hanno lasciato molta autonomia e mi hanno insegnato il senso di responsabilità. Ricordo come se fosse oggi ogni inizio di anno scolastico, con mio padre che mi diceva: “Tu fai quello che vuoi tanto i conti li tiriamo a fine anno. Gestisciti come preferisci ma io non accetto nulla di diverso da una promozione”. Non era una minaccia ma un atto di fiducia e, nonostante il peso che questa fiducia portava con sé, era uno sprone a non deluderli. Non deve essere stato facile essere genitore di un figlio come me: testardo, ribelle, sempre pronto alla risposta tagliente… Ma anche essere figlio di due genitori che a ogni risultato raggiunto ti dicevano: “Hai fatto il tuo dovere” senza mai darti la soddisfazione di mostrare la loro gioia non è stato semplice. È abbastanza evidente che il mio rapporto con loro mi ha trasformato nella persona che sono e nello scrittore che sono. Nonostante la mia millantata autonomia e sicurezza non posso non pensare a cosa potrebbero pensare di me leggendo i miei libri.
F.L.: Qual è il messaggio principale di “Siamo solo piatti spaiati”?
Alessandro Curti: Il messaggio principale è che gli errori si possono commettere, la differenza sta nel come si reagisce dopo. L’essere umano è imperfetto e di conseguenza fallace, ma è dotato di intelletto e libero arbitrio e può davvero essere artefice della propria esistenza facendo le scelte più giuste in quel momento storico. Ci sono poi altri messaggi che per me sono importanti: che non si può mai fare tutto da soli, che bisogna sforzarsi di guardare il mondo con lenti differenti dalle proprie, che bisogna avere il coraggio di lottare ogni giorno senza mai sconfessare noi stessi.
F.L.: La letteratura e la passione per la lettura. Quanto possono essere d’aiuto nella vita di un adolescente?
Alessandro Curti: Gli adolescenti di oggi leggono molto di più di quanto possa sembrare, perché hanno voglia di conoscere il mondo e le diverse sfaccettature dell’umanità. Certo, la nascita del web ha aumentato la quantità di cose che si possono leggere togliendo un po’ di spazio ai libri, ma ciò non cambia la sostanza: un adolescente ha sempre bisogno di confronto e lo cerca dove può. Tocca allo scrittore, eventualmente, trovare il giusto canale perché il suo libro possa incuriosire i ragazzi a tal punto da invogliare alla lettura. E per raggiungere questo obiettivo, mi viene da dire, la responsabilità è anche della scuola e dei professori: alla lettura ci si può appassionare ma, soprattutto in adolescenza, se viene imposta rischia di essere rigettata per spirito di contraddizione. Ecco perché i programmi scolastici andrebbero rivisti ridimensionando lo spazio dedicato ai classici per trovarne anche per la narrativa contemporanea.
F.L.: A quattordici anni divoravo tutto ciò che significasse cultura (chimica, elettronica, letteratura) a condizione che non mi fosse imposto dall’ordine scolastico. La spontaneità al potere. Come si può far appassionare un giovane alla lettura, senza risultare despoti?

Alessandro Curti: Ecco, esattamente quello che dicevo poco fa: l’imposizione, in adolescenza, diventa controproducente. Per incuriosire un giovane alla lettura bisogna innanzitutto essere un lettore entusiasta e non barboso. E poi lasciare spazio alla scelta. Quest’estate mia figlia, che ora è in seconda media, aveva come compito delle vacanze la lettura di un libro a scelta tra un lungo elenco proposto dall’insegnante, che comprendeva una quindicina di titoli molto diversi tra loro che spaziavano dalla letteratura classica a quella di genere. A fianco di ogni titolo la docente aveva spiegato in un paio di righe cosa significasse per lei quel libro, e in quale periodo particolare della vita l’avesse letto e apprezzato. L’elenco terminava con una frase: “Questi sono alcuni dei titoli che posso suggerirvi ma non siete obbligati a scegliere tra questi. L’importante è che leggiate almeno un libro…” Mia figlia ne ha letti cinque.
F.L.: Come ti senti adesso, dopo aver scritto ben quattro libri? Che tipo di evoluzione ha subito il tuo stile attraverso gli anni? Quando si parla di scrittura, sotto quali aspetti si diventa più maturi?
Alessandro Curti: “Padri imperfetti”, il mio primo romanzo, è caratterizzato da una scrittura istintiva, emotiva, dettata dall’esigenza di riuscire a scrivere una storia che avevo in testa da parecchio tempo, ma che non avevo mai avuto il coraggio di mettere nero su bianco. Subito dopo è arrivato “Mai più sole”, una sorta di scommessa perché, dopo aver scritto del mondo visto con gli occhi del padre in un’accezione che mi apparteneva personalmente, mi sono avventurato nel mondo delle emozioni femminili, in un periodo molto particolare come quello della gravidanza e del parto. Nella stesura di quel romanzo non potevo lasciarmi guidare dall’istinto e dall’emotività, perché il linguaggio femminile non mi apparteneva. Ho dovuto quindi trasformare le mie emozioni istintive in emozioni razionali, osservando maggiormente il mondo che mi circondava, cercando di guardarlo con occhi che non erano i miei, e scoprendo lati molto interessanti anche di me. Poi mi sono imbarcato nella scrittura di “Sette note per dirlo”, un’altra scommessa rischiosa perché si tratta di un romanzo scritto a quattro mani con Cinzia Tocci, il mio editore, e basato su un’idea nata da lei. Qui la fatica è stata di riuscire a entrare in una storia che non era mia, ma che lo è diventata riga dopo riga, cercando di porre particolare attenzione allo stile perché il mio e il suo non suonassero troppo discordanti. Ora “Siamo solo piatti spaiati”: il giusto mix del mio percorso di crescita come scrittore. Un insieme di istinto, emozione, razionalità, attenzione allo stile, costruzione della continuità narrativa. Con un pizzico di sfida anche in questo: passare dal narratore esterno a una storia raccontata dall’Io narrante. La maturità, nella scrittura, si traduce quindi per me nell’imparare da quanto si è fatto prima, cercando di renderlo sempre più completo e che possa far vivere emozioni in chi legge.
F.L.: Mi sembri uno scrittore molto diretto e sincero Alessandro, dotato di una certa semplicità di espressione, non amante di sofismi arzigogolati. Come vive una persona come te un’era social in cui al posto di un gruppo di amici che chiacchierano in un appartamento c’è un gruppo WhatsApp? Quando vedi una macchina da scrivere in un negozio dell’usato o una vecchia polaroid, ti prende anche a te un attacco di nostalgia?
Alessandro Curti: Vedo che dal mio modo di scrivere hai imparato a conoscermi, perché sì, sono uno scrittore diretto e sincero che non ama sofismi arzigogolati e che cerca di esprimersi con un stile semplice ma emotivamente coinvolgente. Appartengo però alla generazione X: quella che si è trovata nel crocevia del cambiamento. Da adolescente, per parlare con i miei amici, dovevo usare il telefono (senza esagerare perché altrimenti la bolletta si alzava troppo e lo stesso avrebbe fatto il tono dei miei genitori) o scendere in piazza. Oggi uso WhatsApp con la stessa naturalezza degli adolescenti che mi circondano. Spesso mi definiscono un adolescente nel corpo di un adulto con un cervello da educatore. Questo per dire che le cose possono tranquillamente convivere. Non è lo strumento in sé ad essere eventualmente sbagliato, ma l’uso che se ne fa. Mi affascina la polaroid ma adoro la qualità delle foto fatte con il cellulare di ultima generazione, tengo ancora cara la macchina da scrivere di mia nonna (datata 1930) ma non potrei fare a meno di utilizzare il computer, adoro bere una birra con gli amici ma mando un mucchio di messaggi vocali. La nostalgia, se ha il sapore del rimpianto, è qualcosa che ci tiene ancorati al passato e non può funzionare. Se invece la nostalgia ha il sapore del ricordo che non ci blocca, allora può avere un senso.
F.L.: A chi consigli in particolar modo di leggere il tuo romanzo “Siamo solo piatti spaiati?”
Alessandro Curti: Vorrei che “Siamo solo piatti spaiati” fosse letto sia dai ragazzi, che possono comprendere l’importanza del valutare le conseguenze delle proprie azioni e del perché di alcuni gesti o scelte dei grandi, sia dagli adulti perché ricordino cosa significa essere adolescenti, e quali tumulti ci sono nella pancia, nel cuore e nel cervello.
F.L.: Cosa stai leggendo in questo periodo? Ci sono scrittori contemporanei italiani che affronti con più piacere?

Alessandro Curti: Ultimamente mi sono molto appassionato ai generi fantasy e distopico, che apprezzo per le ambientazioni e per la caratterizzazione dei personaggi, ma non ho trovato autori italiani che mi soddisfino in questi filoni narrativi. Per quanto riguarda gli scrittori contemporanei italiani in generale, prediligo gli emergenti. Mi piace molto leggere i giovani che sono alle prese con la loro prima opera. Li trovo spontanei, freschi e forse anche un po’ ingenui. E mi piace dare loro consigli basati sul percorso che io stesso ho fatto. So che questa affermazione mi fa apparire come un vecchio saggio… ma non sono ancora né l’uno né l’altro.
F.L.: Ultima domanda. Sei su un’isola deserta, la più classica delle isole deserte (immagina per un attimo Tom Hanks alle isole Fiji in “Cast Away”). Puoi scegliere solo tre libri; di questi tre libri, uno di loro potrai leggerlo una sola volta. Cosa porti e perché?
Alessandro Curti: Tre libri sono nulla in un’isola deserta perché, con tutto quel tempo a disposizione, potrei leggere un’infinità di cose. Ma non posso scegliere quindi devo sparare tre titoli. Il primo è “1984” di George Orwell, un libro che ho particolarmente amato perché letto in un momento storico di cambiamento mio e del mondo, durante la mia adolescenza nel 1990 nella realtà post caduta del Muro di Berlino. Questo è certamente il libro che leggerei una volta sola perché mi rimarrebbe dentro così tanto che non avrei bisogno di rileggerlo. Il secondo è “La lunga marcia” di Stephen King. Per ricordarmi che la vita è fatica ma anche soddisfazione, e che anche quando dopo mille avversità e sofferenze sei arrivato a destinazione, non è il caso di fermarsi perché ci sarà sempre una nuova meta da raggiungere. Il terzo è il prossimo romanzo che voglio scrivere, così da poterlo rileggere tante volte fino a che non mi soddisferà e non sarà pronto per appartenere al mondo. D’altra parte da quell’isola deserta mi salveranno prima o poi, no? A Tom Hanks è successo, perché non potrebbe succedere anche a me?
Written by Frank Lavorino
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