“The milk system” di Andreas Pichler: le mucche sono sempre meno mucche

“Guardare una mucca pascolare è un balsamo per l’anima…” ‒ Un allevatore

The milk system di Andreas Pichler

Un elisir di lunga vita. Questa è la definizione che si può dare del latte, alimento prezioso e indispensabile alla sopravvivenza dell’uomo.

Ma oggi, a causa di una produzione intensiva del latte, e non subordinata a regole chiare e precise, tale definizione ha ancora un significato?

A replicare, o almeno, tentare di dare una risposta a questa importante problematica, che coinvolge i paesi di tutto il mondo, è The milk system, un documentario che promette, fin dal titolo, una sorta di denuncia.

A realizzarlo è stato il regista Andreas Pichler; prodotto da Eikon Film e Miramonte Film, The milk system è presente nelle sale cinematografiche con la piattaforma italiana on demand Movieday.it.

Da sottolineare l’ampia risonanza ottenuta da The milk system, che ha conseguito il riconoscimento di Legambiente durante la sua ultima edizione.

Ma, The milk system non è solo un documentario, soprattutto è un viaggio fra le diverse realtà che partecipano al sistema di produzione del latte.

Lo scopo del cortometraggio è principalmente uno: tentare di far luce su di una questione, alquanto complessa, che descrive il contesto sociale ed economico in cui l’uomo moderno è inserito.

Quella della produzione del latte è una faccenda spinosa, senza alcun dubbio, in cui il documentario si addentra con abilità analitica, non per giudicare ma per capire e, tentare di offrire soluzioni per migliorare il sistema di una produzione che, così come è strutturata, non è salutare per il genere umano.

La pellicola, oltre a mettere in luce quanto la massiccia produzione di latte sia deleteria per l’uomo e per gli animali, senza trascurare ovviamente l’ambiente, fattore imprescindibile della speculazione in questione, prende in esame le contraddizioni che intervengono in tale processo.

L’elemento, che si fa filo conduttore del racconto documentaristico, parte da un dato certo: il latte è sinonimo di salute e benessere.

Ma, si chiede il regista, e con lui lo spettatore, il latte è ancora l’alimento principe per eccellenza, da sempre identificato con peculiarità soltanto positive? La risposta arriva attraverso interventi di addetti ai lavori, allevatori e contadini, oltre a quelli di imprenditori.

Il lavoro di Pichler tenta di soddisfare più di un interrogativo, partendo dall’assunto che le piccole industrie artigianali, spesso a gestione familiare, per essere concorrenziali si sono dovute adeguare alle nuove tecnologie.

L’idea di lontana memoria infantile della vecchia latteria, dove insieme al latte si vendevano bon bon e dolcetti, è ormai tramontata, sostituita da multinazionali del latte sempre più competitive fra loro.

The milk system – Andreas Pichler

Ed è proprio dai ricordi infantili, legati appunto alle botteghe artigianali, che il regista di The milk system muove i suoi passi per indagare e mettere in campo un’attenta speculazione sulle conseguenze negative che l’allevamento intensivo produce sull’intero mondo globalizzato.

Le ripercussioni di tale trasformazione non solo hanno un impatto negativo sul benessere dell’uomo; la produzione industriale, infatti, ha un contraccolpo anche sul bestiame e sull’ambiente, elemento in stretta sinergia con i precedenti e per questo non meno importante.

“Ho sempre voluto che la mia azienda fosse biologica…” ‒ Un allevatore

Il regista si sofferma a descrivere, innanzitutto, le modalità su cui oggi si sorreggono gli allevamenti stessi, per stare al passo con le richieste di un mercato sempre più esigente, che non lascia spazio ai ritmi del passato.

I pascoli sono ormai un lontano ricordo, così come le stalle di antica memoria, dove il bestiame è oggi stipato oltremisura. Non più i luoghi pronti ad accogliere e proteggere gli animali dalle intemperie di una natura, talvolta anche matrigna, ma luoghi inospitali dove le mucche contano solo in funzione della quantità di latte prodotto, e non per la qualità.

Che dire poi dei sistemi di mungitura ed inseminazione gestiti dalla tecnologia, e lontani da quel rapporto diretto che si stabiliva fra mucca ed allevatore?

Non che un tempo la vita degli animali si svolgesse in un clima idilliaco. Questo no, perché il fine ultimo della loro esistenza era indirizzato, fin dai tempi più remoti, a soddisfare con il latte e i suoi derivati le esigenze alimentari dell’uomo; e la cui esistenza si concludeva, allora come oggi, con la macellazione del bestiame, quale pasto agli uomini, considerato essenziale nutrimento per la sopravvivenza del genere umano.

Questo almeno era ciò che si credeva un tempo.

Oggi, non si pensa che il consumo della carne sia un alimento indispensabile per la conservazione della specie umana ma, comunque siano le convinzioni di ciascuno, molte cose sono cambiate da allora. Nel sistema latte odierno, le mucche sono solo un dato numerico, e in certi casi rappresentano un trofeo da mostrare in fiera.

Da qui, l’idea che le mucche sono sempre meno mucche e gli allevatori sempre meno legati alla loro terra.

The milk system – Andreas Pichler

A proposito delle modalità di alimentazione del bestiame, è utile ricordare, che per ottenere un’ampia produzione di latte, gli animali vengono sottoposti a una sovralimentazione che li sottopone a un trattamento stressante.

Ma non solo stress nella travagliata esistenza dei bovini; anche l’aggiunta di farmaci, in dosi massicce, nel mangime che viene loro somministrato, al fine di aumentarne la quantità di produzione. Spesso, tali farmaci sono provenienti da paesi che non fanno parte della Comunità europea; anzi, la loro origine è dubbia, se non sconosciuta, anche perché sono prodotti non dotati di prescrizione e neppure delle registrazioni previste.

Non è lontano il ricordo di un blitz effettuato dai Nas in diverse città italiane, durante il quale si è venuti a conoscenza di allevamenti che ospitano numerosissimi capi di bestiame da latte a cui venivano somministrati antibiotici, alcuni dei quali provenienti dal mercato nero.

Ancora, a riguardo dell’alimentazione a cui vengono costretti alcuni bovini, non è un mistero che vengano loro somministrati alimenti quali soia, mais e prodotti transgenici, derivati da prodotti modificati, e non sostanze vegetali com’era d’uso un tempo che, poi trasferiti all’uomo sotto forma di latte e dei suoi derivati, sono ragione di svariati malesseri.

Da non dimenticare, quale conseguenza nociva sull’uomo, che la produzione del latte vaccino, proveniente da allevamenti intensivi può essere associata anche a malattie gravi, fra i quali tumori, patologie legate all’uso degli ormoni ingeriti dagli animali. Nella fattispecie degli estrogeni.

È un dato di fatto, che nella pratica agricola di allevamenti intensivi la mucca venga sottoposta a mungitura anche durante la gestazione, periodo in cui il latte contiene in misura nettamente superiore estrogeni, maggiori a quelli di un animale non gravido. Ne consegue dunque, che un elevato quantitativo di estrogeni passa all’uomo proprio tramite l’impiego del latte vaccino.

Da tenere conto, inoltre, che è nell’età infantile prevalentemente che si consuma il latte in quantità maggiore; è inevitabile quindi la relazione che si crea fra l’utilizzo del latte nei bambini e le conseguenze nocive che vengono loro trasmesse per mezzo di una mungitura prolungata delle vacche, anche gravide. Motivo questo, che suscita grande preoccupazione a proposito dell’alimentazione dei più piccoli.

“L’aumento di produzione non si ottiene più con il foraggio grezzo…” ‒ Un allevatore

The milk system di Andreas Pichler – Senegal

Non è da dimenticare poi, che le sostanze nocive ingerite dagli animali e depositate sul terreno, sono sostanze che alterano l’ecosistema; argomentazione questa affrontata dal documentario e, che spinge lo spettatore ad alcune sollecitazioni a proposito delle problematiche ambientali, che si fanno motivo di riflessioni ecologiche.

Ne consegue, per esempio, che lo smaltimento dei liquami, una delle cause di pesante inquinamento del terreno, è una delle gravi conseguenze della sovrabbondante alimentazione dei bovini. Inoltre, il consumo eccessivo di mangime, necessario per nutrire un numero elevato di capi di bestiame, è l’inevitabile risultato di un processo di deforestazione di ampie proporzioni.

Sono questi, quindi, alcuni degli effetti ambientali deleteri che stanno dietro all’intensiva produzione di latte, governata da multinazionali che si sono appropriate di quel bene, che all’origine era un alimento genuino e principe del sostentamento umano.

A questo punto, lo spettatore, interessato al benessere proprio e a quello dei suoi simili, è portato a chiedersi: esiste un metodo alternativo che si sostituisca all’attuale sistema di produzione?

Un’ecologia della produzione che non trascuri l’aspetto ambiente, e al contempo si preoccupi di salvaguardare sia gli uomini come gli animali, al fine di rendere meno brutale il processo di produzione del latte.

E, per rispondere a tali essenziali interrogativi, l’occhio della macchina da presa di Andreas Pichler si sofferma, volgendo uno sguardo attento alle contraddizioni del sistema latte.

Tuttavia, rimane difficile trovare soluzioni, perché alla base del processo, frutto anche della globalizzazione, c’è il business, ovvero un profitto in grado di generare cifre considerevoli dove, sostenibilità e rispetto dei metodi di produzione e della questione ambientale, rimangono concetti aleatori, non supportati da scelte concrete e definitive.

“La mia visione è che il formaggio rispecchi la regione di provenienza…” ‒ Un allevatore

È importante aggiungere, non per giustificare l’intensiva produzione, ma solo per conoscere la realtà dei fatti, che una maggior produzione di latte è lievitata anche per rispondere a una crescente domanda, in virtù dell’aumento della popolazione mondiale.

In un tempo neppure troppo lontano, in un arco di tempo che copre 50 o 60 anni, non era necessario ricorrere alla produzione industriale del latte: per soddisfare il fabbisogno della popolazione era sufficiente una produzione più limitata.

The milk system di Andreas Pichler

Motivo per cui, oggi, per generare un’elevata produzione di latte, che soddisfi le richieste di un mercato in continua crescita, occorre fornirsi di una massiccia quantità di energia elettrica, al fine di alimentare il funzionamento di impianti industriali che portino a termine l’intero ciclo produttivo. Energia fornita da fonti quali centrali elettriche, mezzi anch’essi che, inevitabilmente, hanno ripercussioni negative sull’ambiente.

Infine, pur volendo astenermi dal fare una critica politica, non posso fare a meno di osservare che la Comunità europea, a suo tempo, stabilì delle quote latte che i paesi comunitari avrebbero dovuto rispettare. Per essere più esplicita aggiungo, che nella misura in cui ci fosse stato un surplus produttivo di latte, i paesi sarebbero stati sanzionati e le quantità di latte in eccesso andavano distrutte.

Con ciò intendo dire che la normativa economica europea, a tale proposito, non è stata affatto equa. Anche se oggi, tale orientamento è cambiato, un’ultima sollecitazione mi spinge ad una considerazione circa lo spreco decretato dall’allora regolamento comunitario.

Per evitare quello spreco inutile e crudele, si sarebbe potuto utilizzare la quantità di latte in eccesso, al fine di soddisfare le esigenze di molti cittadini indigenti presenti sul nostro territorio, e sopperire così ai bisogni nutrizionali di residenti comunitari ed extracomunitari.

In conclusione, è opportuno chiedersi: più che al benessere dell’uomo, strettamente legato al contesto ambientale in cui vive, e a quello degli animali, gli allevatori sono attenti al profitto ricavato dal mercato della produzione del latte?

La risposta a tale interrogativo è di facile intuizione, senza aggiungere ulteriori considerazioni di sorta.

“A lungo termine i prodotti caseari avranno successo…” ‒ Un allevatore

 

The milk system” è al cinema dal 2 ottobre 2018.

 

Written by Carolina Colombi

 

 

 

3 pensieri su ““The milk system” di Andreas Pichler: le mucche sono sempre meno mucche

  1. Io non ho visto il documentario che abilmente hai illustrato con il tuo articolo e con il mio presente commento voglio solo spostare leggermente attenzione dal latte al suo principale derivato.
    Dal latte come è noto ne deriva il formaggio. Anzi è più coretto dire i formaggi
    In Italia esistono circa 450 varietà di formaggi. Per ogni tipo di formaggio esistono documenti preziosi fatti da ricette per preparare i formaggi con dosi, tempo di stagionatura e quant’altro per renderli unici. Per la loro unicità vengono realizzate regolamenti e leggi ben specifiche per difendere la qualità di tale prodotto da volgari imitazioni che senza alcun dubbio va a danneggiare le piccole economie che sopravvivano grazie a tale prodotti.
    Al numero di 450 varietà di formaggi conosciuti e quindi regolarizzati , si devono aggiungere un numero non precisato di formaggi che rischiano di scomparire con le persone che li producono in quanto le ricette con cui vengono realizzate sono orali e si sono trasmesse fin a ora da padre a figlio senza mai essere trascritte.
    Tenendo l’occhio solo sui formaggi di cui si conosce la tradizione e come vengono realizzati, dai 450 varietà di formaggi, quanti di loro arrivano sulla nostra tavola? Credo solo una piccola quantità perché tutti noi quando andiamo dal venditore di fiducia, i nostri acquisti si limitano a quelli formaggi che noi conosciamo e che la pubblicità ci porta a conoscere.
    Anche quando parliamo di latte, comunemente ci fermiamo al latte di Vacca (la mucca non da latte)

    1. Rosario, il documentario è straordinario. L’analisi che l’autore fa tra Europa, Africa e Cina è da prendere fortemente in considerazione e dunque mi auguro che tu riesca a vederlo in qualche modo.
      Il formaggio come derivato è qualcosa di diverso, un prodotto che può essere ingerito dall’uomo senza creare troppi danni. In Sicilia, come in Sardegna, si è sempre mangiato il formaggio (le varie tipologie che come ben illustri non si ha neppure il numero preciso) accompagnato al pane ed ai salumi.
      Però il problema odierno è che siamo in pochi a recarci dal venditore di fiducia… la maggior parte delle persone si affidano alle grandi aziende che non pensano di sicuro al benessere del cittadino ma solo al loro profitto. La vita frenetica che svolgiamo – come esseri umani moderni – non ci permette di andare singolarmente dai produttori (azione che cerco di fare ma talvolta anche io mi trovo in difficoltà con il tempo oppure con la mancanza di produttori perché sono stati messi in ginocchio oppure si devono nascondere perché considerati “illegali” ed anche qui ci sarebbe una bella parentesi da aprire: è più illegale chi ci vende in Sicilia le arance del Sud Africa oppure il pastore che con tecniche centenarie prepara dell’ottima ricotta?).

  2. Vacche da il latte! La mucca da carne!
    In ristorazione con il termine mucca viene inteso il bovino adulta che non ha ancora partorito o comunque non è in gravidanza perché per dare il latte deve avere il vitellino che lo allatta o quanto meno che si trova in gravidanza.
    Un tempo in ristorazione venivano classificati in vitello da latte da 2 a 12 mesi; vitello o vitellone da 12 mesi a 18 mesi; manzo o giovenca sono il maschio e la femmina castrati di età non superiore i tre anni e mezzo; bue e mucca di età compresa tra i 4 e 5 anni che ancora non hanno ancora generato; toro e vacca di età sopra i 5 anni e che già hanno generato.
    Da qualche anno, questa classificazione e quasi del tutto sparita perché c’è in voga la classificazione fornita dell’unione europea che classifica i bovini base generico e abbiamo così vitello da latte, vitellone e bovino adulto senza distinzione di sesso e d’età.

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