Le métier de la critique: la philia tra greco e latino ed il metodo di studio del liceo classico
Ogni anno, in occasione della maturità, torna l’annoso dibattito sul valore da attribuire alla prova di traduzione dal greco o dal latino e, in generale, sul valore da assegnare o meno a queste lingue “morte”.
Di solito la vexata quaestio vede opposti, da un lato, i sostenitori dell’utilità di tali lingue il cui studio predisporrà gli studenti del Liceo classico verso una buona riuscita in tutte le facoltà universitarie, sia scientifiche che umanistiche: ad esempio chi andrà a fare Medicina si troverà avvantaggiato con i nomi propri della scienze medica, tutti di derivazione greca; chi andrà a fare Giurisprudenza sarà facilitato nello studio del diritto sia romano (che non a caso è una disciplina presente nel curriculum degli aspiranti dottori in Legge) sia tout- court, dato che esso è costellato di termini latini.
Più in generale, si ripete che il Liceo classico, più che specializzare verso lo studio di una materia specifica, fornisca il metodo di studio in quanto tale, vale a dire una chiave di volta per entrare in tutte le altre discipline.
Dall’altro lato ci sono, invece, i sostenitori della Bellezza del latino e del greco in quanto tali, il cui studio fornisce invece un appagamento autonomo, specifico, sganciato da ogni riferimento contingente. Chi ha ragione?
Probabilmente entrambi: infatti, da un lato, è possibile per i liceali cogliere la bellezza insita nei testi latini e greci, ma dall’altro, poiché i testi stessi sono fatti da uomini e parlano di uomini, essi costituiscono una palestra per l’esercizio a riflettere sui problemi che gli studenti, uomini di domani, avranno nel corso della loro vita, anche nello studio universitario: e allora le nozioni apprese potranno riemergere durante la preparazione di Anatomia umana o quando ci si imbatterà in espressioni tipo ius soli, ius sanguinis.
D’altra parte, per restare sul pezzo, utilità e bellezza emergono insieme senza confliggere proprio dalla versione predetta. Si trattava di un brano di Aristotele, filosofo greco di IV sec. a.C. preso dall’Etica Nicomachea, un testo concernente l’etica, ovvero la morale, la sfera dell’agire umano.
In questo estratto Aristotele parla dell’amicizia: una sorta di virtù dice o qualcosa che è accompagnata dalla virtù, che costituisce un collante fra uomini e tra cittadini; addirittura è in qualche modo presente anche negli altri animali secondo la scala biologica tanto cara allo Stagirita secondo cui gli animali si evolverebbero dal meno complesso al più complesso: quest’ultimo è l’uomo, l’animale superiore dotato pienamente di linguaggio e ragione; l’amicizia degli altri animali, non realizzandosi pienamente, non raggiungerà quella dimensione etica e politica tipica della condizione umana, ma rimane evidentemente come un istinto alla cura reciproca, come del resto è presente anche negli uomini.
“[…] giacché essa è una virtù o è accompagnata da virtù, ed è, inoltre, assolutamente necessaria alla vita. Infatti, senza amici, nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni” – Etica Nicomachea, VIII, 1155a
Da questo testo apprendiamo molte informazioni che hanno un valore in sé, ma al contempo possiamo conoscere come la pensasse Aristotele in termini di etica e di biologia: tutto questo arricchisce il bagaglio culturale di chi legge e lo rende capace di aprire un confronto con altre scuole di pensiero.
Inoltre: quali sono le scelte lessicali usate da Aristotele per esprimere le sue argomentazioni? Solo per citarne alcune, incontriamo innanzitutto arete, che vuol dire virtù e che etimologicamente indica “l’eccellenza di tipica di una data realtà”; con Socrate essa diventa l’eccellenza dell’uomo, la virtù appunto; la nozione di eccellenza la ritroviamo in un termine come aristocrazia (kratia = potere, aristos = migliore), ‘potere dei migliori’.
Successivamente nel passo troviamo bios, la vita; e chi di fronte ad una parola come biologia non si sarà sentito dire che essa è composta dal greco bios = vita + logos = discorso e che significa, pertanto, ‘studio della vita’? Infine mi vorrei focalizzare sulla parola-chiave, amicizia, che in greco si dice philia.
In quanti nostri termini essa ricorre?
Mi limiterò solo a qualche esempio: filosofia (da philos = amico + sophia = sapere), ‘amore del sapere’, filologia (da philos = amico + logos = parola), ‘amore della/per la parola’, filantropia (philos = amico, + antropos = uomo), ‘amore per l’uomo, filantropia’: l’aggettivo filantropo ricorre proprio nel testo.
Tutto ciò che concerne philia e /o philos indica la condizione di amicizia/amore e di amico/amante. E qui ci si sarebbe un’immensa parentesi da aprire sui modi in cui il greco esprime l’amore.
La chiudiamo subito dicendo che uno di questi modi è philia/philos: l’amicizia, pertanto, è una forma di amore. Anche il mio nome, Filomena, alla lettera è il participio presente passivo del verbo phileo, ‘io sono amico, amo’. E mi piace sapere che, almeno nel nome, io significo “colei che è amata”. Corrisponde anche alla realtà? Lo spero.
Intanto però, per tornare al nostro discorso e per concluderlo, il fatto di riconoscere una somiglianza fra la nostra lingua e quella greca, ci procura piacere.
Aristotele stesso, del resto, nella Poetica afferma che l’imitazione, ovvero la somiglianza, insita in tutti gli animali fin dalla nascita, conferisce piacere nel momento in cui si riconosce in un oggetto qualcosa visto prima: egli fa l’esempio delle immagini pittoriche, ovvero di una forma artistica ben definita, perché nel trattato in questione intende, fra l’altro, anche rivalutare quella che noi chiameremmo oggi imitazione “estetica”.
Ma, nel momento stesso in cui proviamo piacere nel leggere il greco in quanto lo troviamo familiare con l’italiano apprendiamo qualcosa che, prima o poi, ci tornerà utile: se studieremo biologia o filosofia, in entrambi i casi sapremo subito i significati e, dunque, intuiremo i contenuti di queste discipline.
Come si diceva prima, il nostro filosofo, afferma che l’imitazione è fonte di apprendimento e che in questo apprendimento si prova piacere dal momento che apprendere significa riconosce in un oggetto qualcosa che ci è familiare, amico, caro, philos, per l’appunto!
Written by Filomena Gagliardi