“In questo mezzo sonno” a cura di Giancarlo Quiriconi: riscoprire Vittorio Sereni alla ricerca della parola
Nel 2013, in occasione del centenario dalla nascita dello scrittore, critico, traduttore e poeta Vittorio Sereni (Luino 1913-Milano 1983), si svolse a Chieti un convegno di studi incentrato sulla sua produzione poetica e sulle interconnessioni, dirette e indirette, col panorama culturale e letterario novecentesco. Se ne tracciavano, quindi, linee convergenti e divergenti, attraverso numerose e interessantissime relazioni.

Quest’anno, per i tipi di Marsilio, nella collana Ricerche, viene pubblicata “In questo mezzo sonno” la raccolta di venti saggi che in quel di Chieti furono presentati cinque anni fa. Si tratta, dunque, di testi specialistici, di critica letteraria, d’esegesi extra e intra-testuale, di semiotica, di grandissimo interesse per gli studiosi e, ora, messi a disposizione di un pubblico più vasto ed eterogeneo, ma che sicuramente viene attirato a scoprire o approfondire la conoscenza di uno dei grandi poeti del nostro Novecento.
A curare l’opera è stato Giancarlo Quiriconi, già ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso l’ateneo G. D’Annunzio di Chieti. I testi sono a firma di: L. Barile, G. Baroni, A. Cadioli, G. Cordibella, M. Corsi, C. De Michelis, S. de Nobile, M. Di Nardo, E. Donzelli, A. Gialloreto, S. Giovannuzzi, A. Luzi, P. Montefoschi, U. Motta, L. Peri, A. Pietropaoli, G. Quiriconi, S. Ramat, D. Tomasello, S. Verdino.
I saggi, distribuiti in tre sezioni (La poesia, Prosa e poesia, Il poeta e gli altri) percorrono e scandagliano un po’ tutta la produzione sereniana, con particolare riguardo a Gli strumenti umani, punto di maggior distacco dal solco della tradizione, alla conquista di una maggior libertà nell’uso della parola che si fa, dunque, più personale e distintiva.
Emerge la sempre più forte attenzione alle ‘cose’, il senso sofferto di questa distanza tra sguardo del poeta, parola e oggetto. Così, nello spostamento della poesia verso la prosa sembra finalmente trovare più incisività la sostanza lirica il suo scrivere, pur nell’impossibile adesione-corrispondenza tra le parole e le cose.
Il primo saggio, Custode non di anni ma di attimi, di Giorgio Baroni, esamina le notazioni temporali nei testi sereniani, le loro occorrenze, la presenza diretta e indiretta del tempo. A seguire, L’Europa in Vittorio Sereni: un luogo-tempo tra mito e storia, di Martina di Nardo, esamina l’immagine d’Europa nel rapporto dicotomico Io-altro, interno-esterno, la curiosità emergente dell’oltre frontiera.
Il tutto nell’osservazione della dimensione sonora, uditiva e nell’illusione di una dilatazione infinita degli spazi fisici, geografici. Lorenzo Peri in “Le fonti dietro te. Il ‘rumore’ e altri domini lessicali nella poesia di Sereni” si sofferma su rumore, suono, voce e determinazioni spaziali, distanze che in qualche modo ne sono segnate. Viene così individuata un’accumulazione semantica trasversale a tutte le raccolte e una notazione di rumore e temporalità non metafisica, ma fattivamente esistenziale.
Con “La gentilezza di Frontiera. Notazioni linguistiche e stilistiche”, di Uberto Motta, prendendo spunto dalla recensione di Eugenio Montale a Gli strumenti umani, dove si parla di gentilezza della modulazione, si passa da Frontiera a Poesia alla terza e ultima edizione, del 1966, della prima raccolta, nell’evidenziarsi di una vera e propria ‘genesi’ del libro, che riflette la tensione dialettica forte e perpetua ove è in gioco la ragione del suo scrivere. Testimonianza di un lungo lavorio, segnato dalla distanza tra data di partenza e di arrivo della stesura, nella fedeltà al proprio percorso, senza rinnegare il passato, pur nella differenza degli esiti.
Viene individuata da Motta un fondo lessicale d’ascendenza montaliana, accostamento derivante da una base emotiva, e morale, comune e alimentato dalla spiccata predisposizione, nei due autori, al dubbio e alle incertezze.

Nel saggio La “zolla di zucchero” di Bergson e i “bambini guerrieri” di Paola Montefoschi, a partire dall’immagine ingannevole come un trompe-l’oeil in apertura della racconta Frontiera del 1941, che prometteva all’ignaro lettore l’idillio, si esaminano i vaghi e inquietanti motivi disseminati come indizi nel testo.
Sono versi del 1935, nati a descrivere una situazione contingente, tutto richiama lo stare alla frontiera, sul confine, in attesa di un evento, nel pieno di un’emergenza storica. I bambini guerrieri del Concerto in giardino, pur nel richiamo a Montale (Caffè a Rapallo e Flussi), se ne distanziano in un’immagine equivoca, simbolica e concreta insieme.
Questi bambini guerrieri si ripresenteranno nel corso dell’opera sereniana, a più riprese, quasi come un motivo conduttore, rappresentando di Sereni stesso l’immagine riflessa dell’uomo, al quale è stata sottratta la giovinezza e i suoi sensi di colpa, sia per una grande occasione civile perduta che per quella sua incapacità di raccontare se non per frantumi d’immagine. Come per la zolla di zucchero di Bergson, così i ‘grumi di vita’ di Sereni hanno bisogno di tempo per sciogliersi e cristallizzarsi liricamente.
Ancora nel 1958, in Male d’Africa, nel ricordo e nel rimorso, nel paesaggio della prigionia algerina, torna l’icona infantile, lo sciame di bimbetti, la loro litania implorante, quale rimprovero che non sopisce nell’uomo Sereni il senso di colpa di allora e l’insofferenza verso un presente che è stato deviato su false piste.
Numerosi e illuminanti gli altri saggi a seguire, che lascerò al lettore il piacere di scoprire, poiché, come scriveva Sereni in Sarà la noia, da Stella variabile, “Mai tutto è veramente detto, il pozzo è davvero senza fondo, lo si scopre ogni volta con emozione”.
Written by Katia Debora Melis