“Fiore del deserto. Storia di una donna” di Waris Dirie con Cathleen Miller: la fuga dalla famiglia e dal Paese
“Ero sempre alla ricerca di un modo per migliorare e andare avanti, nella speranza di scoprire cosa fosse quella misteriosa opportunità che – ne ero convinta – avrebbe cambiato la mia vita”.

Chi pronuncia queste parole è Waris Dirie, donna somala che nel libro “Fiore del deserto. Storia di una donna”, edito in Italia da Garzanti, racconta la sua vita, in un lungo e coinvolgente afflato narrativo che si legge come fosse un romanzo ma che invece è la perfetta rappresentazione della realtà, da quella più buia e dolorosa della fuga dalla famiglia e dal Paese a quella più rosea della realizzazione dei sogni.
Waris appartiene a una famiglia nomade di pastori che si sposta nelle lande desertiche della Somalia alla ricerca di pascoli buoni per le bestie. Sfamare gli animali significa sfamare anche le persone. E quindi la vita di Waris e dei suoi numerosi fratelli e sorelle viene scandita dalle leggi della natura, dalle piogge e dalla siccità, dai pozzi per la raccolta dell’acqua e dalla possibilità di cacciare.
Quello è l’unico e solo mondo che Waris conosce. Quello è il perimetro della sua esistenza. Fino a quando non decide di fuggire per sottrarsi al matrimonio con un vecchio, combinato da suo padre.
“Avevo iniziato quel viaggio da incubo per sfuggire a mio padre… Non sapevo da quale parte fosse Mogadiscio; mi limitai a correre via… Prima ancora che il sole si fosse levato, ero già ripartita, veloce come una gazzella, e continuai a correre per ore”.
Waris fugge da un destino predeterminato, da imposizioni di tradizioni secolari, da usanze e credenze che pongono la donna in una condizione di inferiorità e che la costringono ad accettare passivamente tutto ciò che altri, nei millenni precedenti, hanno deciso per lei. È per questo che Waris scappa via, abbandonando la sua famiglia, con il cuore trafitto dalla nostalgia per la sua adorata madre.
Ciò da cui però Waris non può scappare è la mutilazione che le è stata inflitta all’età di cinque anni. “Secondo la concezione dominante in Somalia, tra le gambe delle ragazze si anniderebbe un che di maligno, qualcosa che, sebbene sia naturale come ogni altra parte del corpo, sarebbe tuttavia impuro. Questo qualcosa va rimosso. I dettagli di questa pratica rituale però non vengono mai svelati a chi deve ancora sottoporvisi. A un certo punto si capisce che sta per succedere qualcosa di speciale, ma nulla di più”.
Quel qualcosa di speciale si rivelerà essere una ferita che ingiuria non solo il corpo ma anche lo spirito e l’animo di chi la subisce. Le donne cui viene praticata l’infibulazione, che è la pratica più cruenta fra le mutilazioni genitali femminili, restano monche nelle più profonde pieghe dell’animo, oltre che nel corpo, subendo atroci conseguenze quando non addirittura la morte.
Una pratica che, nonostante sia stata dichiarata illegale in molti Paesi africani, resiste nell’illegalità e continua ad essere esercitata in molti stati e su bambine sempre più piccole in modo da metterle presto al riparo da qualsiasi atto impuro che potrebbe inficiarne l’illibatezza da conservare per il matrimonio.
Il racconto dell’infibulazione è a dir poco straziante, i dettagli con i quali la Dirie ci rappresenta il momento che ha cambiato per sempre la sua esistenza ci tormentano, ci disgustano, ci fanno arrabbiare, insomma ci coinvolgono come donne e come persone.

Ma nello stesso tempo ciò che colpisce nel racconto è la forza e la determinazione con cui una bambina così piccola affronta quella sofferenza e tutte quelle che ne deriveranno, una dignità che sarà poi la spinta a farsi portavoce di tutte quelle donne che, come lei, sono state e sono costrette a subire una tale inaudita e inaccettabile violenza.
“Mia madre non aveva mostrato particolare interesse per il mio dolore, perché tutte le donne da lei conosciute avevano subito lo stesso trattamento e patito le medesime sofferenze; era considerato parte della fatica di essere donne”.
La fuga di Waris la porta dapprima a Mogadiscio e poi a Londra, al seguito di un suo parente ambasciatore. Una serie di fortunate circostanze, unitamente alla sua tenacia e alla sua determinazione, fanno sì che Waris riesca a entrare nel mondo della moda e a diventare una affermata modella.
Ma non c’è stato giorno in cui Waris non abbia dovuto lottare per raggiungere i propri obiettivi, non abbia dovuto far fronte a ostacoli apparentemente insormontabili ma per i quali si è impegnata a fondo fino a superarli.
Non aveva più paura Waris, dopo l’infibulazione più nulla la spaventava “Dopo essere uscita dal mio corpo e aver visto, dall’alto, quella donna che ricuciva la mia povera carne, nulla poteva più spaventarmi”.
Solo dopo molti anni, e dopo essere diventata una famosa modella, Waris decide di rivelare al mondo la sua storia, parlare della sua infibulazione, per sé stessa ma soprattutto per tutte le altre ragazze che ancora la subiscono.
Dopo aver rilasciato l’intervista per “Marie Claire” Waris Dirie diventa ambasciatrice presso le Nazioni Unite nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili.
Una storia emblematica che ci racconta la forza delle donne, la loro capacità di reagire alle sofferenze, ai soprusi, il loro essere resilienti in un mondo che ancora oggi cerca in tutti i modi di riportare la condizione femminile indietro di decenni, anche nei paesi cosiddetti civilizzati.
Written by Beatrice Tauro