Riflessioni sullo stupro: sei mesi dopo la partenza

Oggi stavo spulciando i file word sul mio laptop e ho ritrovato qualcosa che avevo scritto a settembre, un paio di settimane prima di partire per iniziare il mio dottorato in Australia.

Natale in Australia

La verità è che quest’anno, a Natale, non ci vedremo: io sarò al sole, con i piedi nell’oceano, mentre tu indosserai quel maglione che ti piace tanto e andrai a pranzo dai tuoi genitori. Starai con tua sorella, con il suo fidanzato e con gli amici a cui vuoi bene; io non so con chi sarò, ma di certo non con te.

Ho notato che durante le feste siamo tutti più dolci: cerchiamo quell’amore che pensiamo sia adatto a un periodo di festa, tendiamo a volerci impigrire in due in un letto che sembra il centro del mondo e ci chiediamo se non sia ora di rincasare e trovare sempre la stessa persona ad attenderci.

Qualcuno la chiama voglia di stabilità, qualcuno monotonia. Per me, che sono dolce anche durante l’anno e che vorrei solo appoggiarmi alla tua spalla e restare a guardare il mare, sarà un Natale ancora più complicato del solito: sarò in bikini, sommersa da libri e progetti, ma senza di te. Ma posso dire di averti mai avuto con me? Probabilmente, no.

Quest’anno tiro le somme di troppe cose: gli studi, le aspirazioni, i traslochi. Quest’anno inizio una nuova vita che non so bene quanto durerà, né se è quella giusta per me. Quest’anno lascio indietro tutto, dando a me stessa, e me stessa esclusivamente, la chance di farcela. Quest’anno vado via, senza pensarci due volte. Ma ci ho pensato, ad essere sincera. E non due, ma diecimila volte. Ho pensato a te, a coloro che non rivedrò più tanto spesso e a tutte le persone con le quali sarà difficile restare in contatto.

A agosto ti ho chiesto di dirmi cosa avrei dovuto fare e tu mi hai risposto che volevi che restassi. Poi mi ha guardata negli occhi e hai aggiunto: “Ma sarebbe sbagliato e non sono io a doverti chiedere di restare”.

Ora, partiamo dal presupposto che ho un’innata tendenza al melodramma: che sia per carattere o per qualche altro motivo non meglio identificato, comunque ce l’ho e è giusto che lo riconosca.

Però, al di là del mio adorare il melodramma e vivere molto tragicamente qualunque rapporto amoroso, c’è una verità innegabile alla quale sarebbe impossibile sottrarsi: sono passati quasi sei mesi da quando ho scritto questo stralcio e adoro quello che sto facendo.

Se vuoi fare una cosa, falla. Tanto tutto è difficile, ma intanto ci stai provando.

La verità è che a volte ci facciamo problemi laddove non ce ne sono: vuoi cambiare continente? Fallo. Non sarà facile, ma se lo fai e sbagli, puoi tornare indietro. Se invece ti incasini in mille dubbi e cominci a rimandare, rimpiangere e pensare troppo, la tua vita non può che peggiorare.

Detto questo, mi pare giusto aggiungere che, in questo periodo sto incappando (più che volutamente) in storie dolorose: ormai sapete che non faccio altro che leggere storie di stupri: che siano fittizi o realmente accaduti, è su di essi che si basa il mio dottorato.

Uno dei miei dubbi più grandi quando dovevo scegliere cosa fare della mia vita è stato questo: ma davvero voglio trascorrere tre anni della mia vita a farmi del male? Il punto, però, non era quello. Il punto è un altro e l’ho scoperto un paio di giorni fa mentre ero al mio media training.

Se quello che vuoi fare ti farà male, pensa a quanto te ne farebbe non farlo.

Dovete sapere che durante il media training, oltre a tutta la bella cornice teorica di come dire cosa ai giornalisti circa la tua ricerca, ti fanno anche simulare delle interviste. Quindi mi hanno microfonata, messa davanti a una mega telecamera e interrogata: “Su cosa si basa la tua ricerca?”

Ragazza davanti allo specchio – Picasso

Superate le prime due o tre risposte imbarazzate, siamo passate alla domanda veramente atroce, quella che mi aveva preoccupata così tanto a agosto: “Leggere continuamente di stupri non è difficile?” Certo che sì. Specialmente se sai fin troppo bene di cosa stai parlando.

Ma il fatto è questo: immagina di essere al corrente di un problema gigantesco. Che fai, provi a risolverlo o te ne lavi le mani? Immagina di aver scoperto che bere l’acqua fa male: che fai, lo dici e cerchi una soluzione o te ne freghi? Ecco, la situazione è la stessa: penso che ci sia un problema nel mondo e, anche se affrontarlo è tutt’altro che facile, non affrontarlo sarebbe ben più difficile. Come ci si può lavare le mani davanti a tutta la sofferenza che viene inflitta a così tante vittime?

Sei mesi dopo, sono contenta di essere in Australia e vorrei dire qualcosa alla me stessa di sei mesi fa.

Quasi sei mesi dopo aver scritto quello stralcio, mi piacerebbe parlare alla me stessa di sei mesi fa a dirle che è abbastanza forte da poter fare le valigie e andare a fare quello che vuole in qualunque angolo del mondo voglia farlo.

Quasi sei mesi dopo, vorrei avere davanti la Giulia di questa estate e dirle che si sta facendo problemi inutili, che sta pensando al peggio perché è spaventata, ma che non ha davvero nulla di cui preoccuparsi. Questo è discorso che mi viene in mente più o meno ogni anno; ogni anno, in un qualche momento, mi dico: “Se solo potessi tornare indietro nel tempo e dire alla vecchia Giulia che si sta comportando da scema.”

Tutto questo per dire che…

Quello che voglio dirvi è che a forza di leggere storie di donne che ce l’hanno fatta, perché se sopravvivi a un’esperienza traumatica, a prescindere dalle cicatrici che ti porterai dietro, comunque ce l’hai fatta, ecco, a forza di leggere queste storie sto iniziando a pensare che dovremmo ricordarci più spesso di avere fiducia nella nostra capacità di superare qualunque cosa.

Che sia uno stupro, una rottura, un trasloco, una fase particolarmente nera della nostra vita… qualunque cosa sia, siamo in grado di superarla e di dirci: “Sì, ce l’ho fatta e spero che la me stessa di oggi si ricordi sempre che la me stessa di ieri non pensava di potercela fare.

Perché se ti ricordi che sei dove non pensavi che saresti mai potuta arrivare, allora sai anche che arriverai dove oggi puoi solo sognare di essere. Alle vittime di stupro, alle persone in crisi, a chiunque abbia bisogno di ricordarselo: credete in voi stessi. È la lezione più complicata e più bella che la vita possa insegnarvi.

 

Written by Giulia Mastrantoni

 

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