Future Film Festival 2017, Sezione Competition – “La jeune fille sans mains” di Sébastien Laundebach

Per quanto ci compete in questa sede, è piacevole constatare come agli scorsi César (gli Oscar francesi) si abbia potuto registrare fra tutte le categorie una tripletta sensazionale, essendosi trovati in competizione per il premio al miglior film d’animazione autentiche meraviglie come “La mia vita da zucchina” (vincitore), “La tartaruga rossa” e “La jeune fille sans mains” (aka “The Girl Without Hands”).

The girl without hands di Sébastien Laundebach

Contestualmente presentato quest’ultimo in concorso al 19esimo Future Film Festival bolognese, a ben vedere quinto partito in diritto di sostituire “Oceania” all’ultima edizione degli Academy Awards, così da generare un agone artistico fra i migliori da quando è stata inserita la sezione dedicata (benché nonostante ciò tutti sappiamo quanto il classico Disney fosse naturaliter un prodotto assai più appetibile), l’opera prima di Sébastien Laundebach si presenta come adattamento di uno scritto dei fratelli Grimm fra i più agghiaccianti e di conseguenza meno diffusi.

Almeno sulla carta appare tale, poiché ad essere scrupolosi è bene evidenziare come chi ne risulti all’oscuro abbia la facoltà di scoprirlo solo a visione conclusa, scambiando magari quanto ha gustato per una fiaba audace e memorabile ideata da contemporanei; il che di riflesso pone l’attenzione sulla modernità straordinaria, collocata al di sopra di ogni temperie transitoria, che contraddistingue ancor oggi la coppia celeberrima di linguisti tedeschi.

Si narra di un mugnaio che durante un periodo di terribile magra s’imbatte nella foresta in un demone dalle sembianze umane, accompagnato dal fedele e inquietante alter ego in forma di maiale nero.

Questi gli propone di scambiare con infinite ricchezze ciò che sta dietro al suo mulino; credendo si riferisca al melo, unica fonte di sostentamento prossima all’inutilità in presenza di un’incessante colata d’oro, accetta di buon grado.

Purtroppo sulla chioma, al momento in cui il padre disperato stringeva il patto, si trovava anche la giovane figlia, destinata quindi allo stipulante; ma il demone chiede di più: prima di sottrarla alla famiglia e alla fiorente dimora familiare elevata attingendo al luccicante tesoro, vuole che rinunci a lavarsi fino a poterne sentire il fetore dalla distanza.

Confinata in cima alla pianta, all’amata creatura non viene risparmiata neppure la morte della madre, sbranata dagli oscuri emissari del Maligno nel tentativo di allungarle qualche alimento per contrastare l’inedia. Avendo ella pianto sulle proprie mani, contaminandole con la purezza delle lacrime, il padre per non perdere ogni cosa le recide con un’ascia.

The girl without hands di Sébastien Laundebach

La disfatta a questo punto è insostenibile: la protagonista rifugge sia il genitore che il suo abominevole creditore, dando inizio a lunghe peripezie che la porteranno a incontrare diversi artefici delle proprie fortune e sventure, nonché, molto più avanti, ad assaporare l’aroma della piena felicità.

Approcciandosi ad un soggetto così spigoloso, Laundebach non disdegna una certa crudezza nel descrivere i molti eventi che vanno a puntellarne lo sviluppo, crudezza spogliata però di qualsiasi compiacimento in ossequio verso l’essenzialità, cifra distintiva resa canone dell’intera produzione.

Estrema sobrietà nei disegni, tutti da ricondurre direttamente alla pazienza senza fine del regista, sagome trasparenti che si muovono sullo schermo anticipate o seguite dalla personale ombra-campitura, che sfruttano un dinamico avvicendarsi di pieni e vuoti e di esili linee da cui sta a noi desumere forme, moti e sentimenti.

Una sfida ardimentosa dunque, ma dall’esito eccezionalmente lusinghiero: riuscire a comunicare quanto possibile ricorrendo al meno possibile e ciononostante ornando fotogramma per fotogramma di una dignità artistica ineccepibile.

Una notevole ristrettezza caratterizza anche il linguaggio verbale, vicino nella sua pregna concisione alla tipicità delle fiabe propriamente dette e delle favole dell’antichità, richiamando i già citati César via intermedia perciò fra l’afasia de “La tartaruga rossa” e la limpidezza fanciullesca de “La mia vita da zucchina”.

The girl without hands di Sébastien Laundebach

Sintesi non è necessariamente sinonimo di livellamento narrativo, e infatti accanto ad uno storyboard mai rasente la prevedibilità (si pensi all’accostamento dei gemiti nella notte passionale e delle raffigurazioni del tremendismo bellico), non potrebbe costituire compendio più illuminato il coinvolgimento di quegli aspetti che generalmente sono i primi ad essere censurati.

La jeune fille sans mains” anche in questo non rientra affatto tra le file dell’entertainment per l’infanzia, trattando con grande candore e giustizia la natura sessuale, ma senza persino soprassedere alle funzioni corporali, a rigor di logica purtuttavia comunissime; ancora, nella ferma consapevolezza del fatto che la ragazza sia monca, l’opera tenta di circuire ogni potenziale eccesso di astrazione e nel farlo mantiene salda una forza d’impatto e una coerenza intrinseca indiscutibilmente rare.

Ultimo vanto tutt’altro che minore la prova di Olivier Mellano, autore di una colonna sonora originalissima per il costante ricorso al timbro psichedelico della chitarra elettrica, che modulato secondo schemi minimali propone un’inedita avance ad una vicenda che saremmo portati a vestire di un contegno classico, di certo non figurandoci un seppur fascinoso corredo elettronico.

 

Voto al film

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni 

 

 

Info

Sito Future Film Festival 2017

 

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