“Magic People Show” dal romanzo di Giuseppe Montesano: quattro attori alle prese con i rottami della coscienza
“Non è vero: diventare disumani e cretini e servi e morti in vita non è normale, e non tutti lo fanno: e quindi è normale essere umani, e miti, e gentili, e liberi, e poetici, e vivi.” – Giuseppe Montesano
Black out. Quattro personaggi si fanno avanti per poi arrampicarsi, stringersi su un tavolino da salotto. Lo spettacolo comincia proprio con l’oscurità, con una atmosfera tesa che può far ricordare il soggetto artaudiano Non c’è più il firmamento, tant’è che l’unica fioca e scomposta luce proviene da una batteria di lampadine bianche sotto i piedi degli attori, sistemata tra il vetro e la base del tavolino da salotto.
Lamenti come miagolii di gatti di periferia che marcano il territorio claustrofobico del vicolo gonfio di odori densi e feroci a furia di soffi e graffi, ma non appena il buio torna luce, il lamento di questo condominio post-contemporaneo si fa impetuoso e disarmante.
Quattro attori capaci di trasformarsi affidandosi con una totale e piena forza comunicativa al corpo, alla mimica del viso, alla voce e alla propria intera consapevolezza del palcoscenico, quattro attori che come maghi abilmente si fanno carico di una partitura di incastri che mozza il fiato per il talento comico perforante e terribilmente amaro dell’autore.
È questo Magic People Show, grandiosa farsaccia tratta dal romanzo di Giuseppe Montesano (veramente uno scrittore selvaggio nell’accezione più positiva del termine, si direbbe che conosce il volo da assai prima dell’aviazione) e questi sono i quattro attori in scena: Enrico Ianniello, Tony Laudadio, Andrea Renzi e Luciano Saltarelli.
Nel crescendo trepidante e vitale che è il susseguirsi di episodi e di personaggi che sgomitano per mettersi in mostra – i personaggi, non gli attori che conservano tempi perfetti ed una intesa meravigliosa, palpabile – lo spettatore è letteralmente travolto da questo irresistibile monologare e dialogare piacevolmente sfacciato, dissacratore e satiresco. Come resistere alle confidenze della signora madre Torza e della signorina figlia Torza, come all’irresistibile viscidume dell’avvocato Morfo, come alla Signora Cinzia e famiglia, come a Lallo e Gegé?
Tanto più che gli attori si trasformano sotto gli occhi dello spettatore letteralmente saltando da un personaggio all’altro ora con una sciarpa, ora con un cappello, ora con un paio d’occhiali da sole e due cannucce, ora con due orecchini turchesi…
Su quel tavolino dieci anni dopo il primo debutto, quei forsennati dei personaggi si mostrano in tutta la loro attuale quotidianità. Non si esita a riconoscere in ciascuno di loro vicini di casa, sconosciuti incontrati per la strada o uomini e donne con cui casualmente può capitare di scambiare poche parole in un bar o al supermercato in attesa del proprio turno.
Su quel tavolino si muove un’ Italia intera: partenopea, sì, perché Napoli è una porta per il mondo, ma anche settentrionale, centrale, periferica. Su quel tavolino che è un condominio, si agitano le famiglie post-borghesi formate da casalinghe assuefatte dalla pubblicità che si illudono “Se la televisione dice che siamo ricchi, siamo ricchi!” e da mariti-vittime, poveri impiegati senza la certezza di una pensione, incapaci di ribellarsi all’idea della vacanza last-minute programmata già da gennaio e saltellano, urlano slogan ad ogni respiro tifosi ossessionati, sfumacchiano le adolescenti (e le loro madri) convulsamente attratte dal modello televisivo della velina: non è uno stereotipo quello della fanciulla oggetto di consumo e che a sua volta consuma, ormai è un archetipo.
Ed è fin troppo normale accettare adolescenti che preferiscono un cappottino firmato ad un libro. Su quel tavolino che è un condominio dieci anni dopo il primo debutto (è necessario ribadirlo), straordinariamente, regge ancora ed è ancora più potente questo volteggiare di compratori di anime, venditori di almanacchi del progresso, politici secessionisti ammanicati pronti a fare di Napoli la nuova Venezia per risolvere la questione dei rifiuti così, in un colpo solo; questo mondo di consumisti consumati, ormai incapaci di provare emozioni e sentimenti, produttori di pensieri che non esprimono la necessità di dare forma ai desideri me che hanno per soggetto l’ossessione del comprare solo per dimostrare agli altri, a tutti, di potersi permettere qualsiasi cosa sia passata attraverso la pubblicità.
Su quel tavolino sono ammorbati e schiacciati personaggi che non hanno più nemmeno la forza di ribellarsi, come accade al Dottor G. che si piega alla legge del condizionatore perché tutti hanno il condizionatore puntato sui 23°, estate ed inverno, con il tempo che fa, mentre fuori il clima cambia, le piogge sono acide e il ghiaccio è bollente, per una eterna primavera d’appartamento che viene quasi sinesteticamente paragonata all’eterno ritorno nietzschiano.
Lo spirito svenduto al miglior offerente, sempre, qualunque si il prezzo da pagare è la dannazione dei tempi post-contemporanei che stiamo vivendo, in cui Mefistofele piange miseria e avanzano implacabili le logiche di mercato, in cui nessun demonio vorrebbe stringere un patto con un uomo – sarebbe così tragico avere all’Inferno, già ambiente non facile da gestire, due esponenti post-borghesi che durante un happy hour (o una apericena, o un brunch come si sente spesso dire) pensano a come sfuggire alla omologazione con i poveri che ormai con le rate possono comprarsi anche quelle merci e quei costumi, una volta solo per i ricchi -. Come si fa a stringere un patto con degli uomini che ormai sono il compromesso stesso fatto carne ed ossa?
Mentre l’Economia impera, la libertà (qualsiasi libertà) è solo una negazione e di fatti vige la cultura del “Bisogna essere normali, normali come tutti e avere quello che hanno tutti, fare quello che fanno tutti, scegliere quello che tutti scelgono” – oramai definire nazionalpopolare un simile processo non significa più nulla, perché né esiste un popolo, né una nazione, ma una massa indistinta che incresciosamente si infrange contro la realtà di cui è prodotto e produttrice, una realtà che ormai è più che una allucinazione collettiva, la distorsione della stessa allucinazione – mentre le generazioni non fanno che allontanarsi cercando di tollerarsi reciprocamente etichettandosi senza comunicare, mentre i giovani si dividono tra disillusi, sognatori ancora resistenti e omologati strumenti di propaganda, mentre si disgrega il limite tra desiderio e necessità di castrazione, mentre si perde il coraggio di dialogare, avere paura, imparare ad amare e a conoscere.
Mentre ci si accontenta e si cerca di evadere, il Teatro è ancora una volta l’unica certezza: il Teatro così come lo fanno questi quattro attori, Ianniello, Laudadio, Renzi e Saltarelli in Magic People Show, è un Teatro che spezza tutti gli incantesimi e libera tutti gli spiriti limitandosi, si fa per dire, ad essere semplicemente ciò che è: un luogo per costruire, decostruire, aggiungere, togliere, mescolare, distillare, assorbire, digerire, rimasticare, sciogliere e rifondare la realtà.
Ed è questa la vera magia di uno spettacolo di cui, una volta fuori dal teatro, lo spettatore non conserverà solo la voce rauca e profonda di Ianniello, sempre interprete straordinario prima del ragazzino che ad undici anni fuma sotto gli occhi dei genitori impotenti e spesso complici, poi del Totano Affogato con la voce stanca, opaca con le spalle curve sotto il peso dei debiti; né lo spettatore ricorderà solo lo sguardo impeccabilmente allucinato dell’impiegato Ciro, che Laudadio rende meravigliosamente sotto il casco scuro da motociclista, e ancora, lo spettatore non dovrà solo tenere conto della parlata lombarda di un Saltarelli splendido anche en travesti, così come l’ottimo Renzi che ora è una ragazzina frivola e drammaticamente vuota, ora è il poeta che si arrende e si lascia morire immerso nell’eterna, arida primavera che fa perdere le spine anche ai cactus; quello che resta allo spettatore di questo estremo, vertiginoso e massacrante gioco è sicuramente il talento degli attori, ma è soprattutto la consapevolezza della forza misteriosa che è solo del Teatro, di quel qui e ora che dobbiamo smettere di temere, smettere di rifiutare come fossimo tanti intellettuali stanchi (quali intellettuali, gli intellettuali sono tutti morti), smettere di svendere e di trasformare in giochetto buonista e gratuitamente violento e violentatore, comodo e di consumo.
Quello che rimane allo spettatore è la consapevolezza che non è più possibile, adesso specialmente, pensare di potere abbandonare il teatro, quel teatro che è anche godere del travestimento rapido in scena che denuda la società delle maschere sempre nuove e sempre antiche.
Rimane la consapevolezza di non potere più abbandonare la politica, quella politica che significa tornare a discutere per capire e costruire per tutti oltre tutte le strategie ormai prevedibili dei poteri, esattamente come fanno quattro attori, capaci di gestire una miriade di personaggi scalmanati stretti su un tavolino da salotto senza mai farsi del male, ma lasciando esplodere sane, coraggiose risate oltre tutte le possibili aspettative drammaturgiche.
Magic People Show è andato in scena dal 31 marzo al 2 aprile 2017 al Teatro Civico 14 di Caserta.
Written by Irene Gianeselli
https://www.youtube.com/watch?v=mEj9YuLjYfw
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