Le métier de la critique: Saffo tra antico e moderno, il culto della Morte #3

Come è noto, i Greci avevano una casa per la morte, l’Ade, luogo buio nel quale venivano risucchiate le anime al momento del trapasso.

 

Al tempo di Saffo - John William Godward - Olio su tela - 1904

Fino a Platone nessuno aveva mai parlato di immortalità dell’anima, ma la morte era uno spostamento di dimora e di condizione anche inquietanti.

Tanto è vero che la lingua greca ha creato un perfetto resultativo per questa condizione, téthneca infatti significa “stare morto”, che indica una stato permanente in cui si immagina che si viva in una realtà irreversibile, simile a quella di un fantasma oscuro.

La concezione del tempo non è lineare, come quella nella quale noi viviamo, bensì circolare, un cerchio racchiude l’anima nel suo percorso che lo porta dalla vita alla morte; prima di morire le anime rivedono la vita passata e prevedono il futuro per poi scivolare nel buio.

Potremmo parlare quindi di “pessimismo cosmico” e, non di rado, l’uomo greco si duole dell’esser nato. “Meglio non nascere e veder al più presto la fine della luce” canta il poeta. La concezione leopardiana è stata certamente ispirata da quella greca, la vita è male, dopo giovinezza, malattia, vecchiaia, morte ci attendono. Scivoleremo tutti nell’”orrido abisso“,

Quale consolazione in una dimensione di tal natura?

Chi muore giovane è caro agli dei”, morire in battaglia combattendo in prima linea è un modo per sfuggire al tormento della vita e raggiungere una immortalità nel ricordo. A questo proposito, pensiamo a tutta la retorica spesa intorno ai morti di Maratona, ai Maratonomachi, che si sono guadagnati una memoria perenne e sono diventati per Atene oggetto di propaganda politica.

I maschi quindi si difendono dalla vita combattendo, immolandosi per la patria, alle donne non resta che il tormento di una vita faticosa in cui devono anche piangere le vite spezzate dei propri cari in giovane età.

Sappiamo che prima di Saffo non c’era accesso alla poesia e che anche dopo Saffo poche donne sono poetesse; Saffo è una nobile eccezione e sente, al pari di Leopardi, la condizione di privilegio intellettuale in cui vive, per cui l’essere poeta è l’estrema ratio, l’unico vero motivo che ci trattiene dall’”orrido abisso”, la chance che dà senso ad una vita insensata in cui camminiamo tutti sul ciglio del burrone pronto ad aprirsi sotto i nostri piedi impotenti.

Questo senso di precarietà dell’essere è una percezione netta della cultura greca, che ha anticipato tanta filosofia e poesia occidentale.

L'isola dei morti - Arnold Böcklin - Die Toteninsel

La solitudine, pur nella condivisione, rimane un’ amara verità per i Greci; basti pensare alla nobile sopportazione dell’eroe tragico che combatte da solo tra caos e necessità. Anche Saffo, pur nella condizione eletta in cui vive tra il culto di Afrodite e le belle fanciulle, la notte piange sui cuscini su cui ha consumato l’amore rapito dall’uomo e icasticamente conclude: “Io dormo sola”.

Perché non darsi la morte allora?

La risposta la troviamo alle fine di un celebre frammento incompleto che ci lascia un monito perenne: “… ma tutto bisogna osare”, osare per riportare a sé l’amore perduto attraverso il ricordo poetico, perché la poesia saffica, al pari di quella leopardiana, è soprattutto rimembranza di ciò che è stato o di ciò che poteva essere e non è stato.

La poesia allora richiama in vita quello che parrebbe morto e lo schiera di nuovo in battaglia e ci dà motivo di vita autentica. Sicché, per Saffo, mentre le altre anime si agiteranno nel nero Ade, la sua non conoscerà il buio della morte ma la luce degli onori e della gloria eterna.

Altro elemento precipuo della rivoluzione saffica, da lei in poi i poeti sapranno che non solo morire in battaglia rende eterni, ma soprattutto lo spendersi per una causa comune di consolazione e registrazione di un senso della vita.

La morte allora non fa paura perché si è lasciata una eredità di “amorosi sensi” che nobilita non solo l’anima, ma anche il corpo, mentre le altre maestre di “tiasi” nemici saranno risucchiate nell’Ade con tutta la loro rozzezza, Saffo risplenderà per sempre con la sua nobile postura e il suo amabile incedere, simile a quello della fanciulla amata, Anattoria.

Ella ha innalzato con la sua poesia un monumento perenne, secondo un’immagine che verrà ripresa da Pindaro prima, da Orazio dopo nell’”Exegi monumentum aere perennius“.

Questo l’immenso lascito della poesia saffica, il Memento audere semper per vincere noia e morte.

 

Written by Giovanna Albi

 

 

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