“La prima verità” di Simona Vinci: fantasmi sullo sfondo della Storia nell’ultimo Premio Campiello
“La prima verità” è un romanzo di Simona Vinci edito da Einaudi nel 2016 e vincitore dell’ultimo Premio Campiello.
“Capita di morire più volte al giorno./ Si muore anche tutte le notti./ Sparati, investiti, con una botta in testa/ di schiena, di gomito o di culo/ in silenzio o col frastuono di sirene./ Con un pubblico o da soli./ Da cani randagi, da regine scoronate.// Di schiaffi si muore, di offese umiliati/ di bugie incancrenite, di colpe o rimorso/ di debiti a venire e crediti a rimandare/ di cose mute che sverminano in bocca,/ di troppa fatica alle giunture, di scoramento.// Si muore tante volte e pure di pomeriggio/ poi ci si alza e si va, come se niente fosse./ Finché non sei morto, ne hai da morire”.
Questa storia è la Storia.
Quella raccontata da Elsa Morante, dove la vita degli ultimi denuncia gli orrori dei primi. Quella dove la morte degli ultimi è scandalo sepolto nelle pieghe del tempo.
Questa isola è l’Isola.
Non è l’isola di Arturo, perché non è madre amorevole che nutre e svezza.
È madre violata da fanciulla che si ciba dei figli frutto del proprio ventre, confondendoli con la placenta.
È madre tiranna, spietata e pazza.
Tutti sono condannati a morire di vita, perché “i bambini non salvano i bambini”.
Simona Vinci ci conduce nell’isola di Leros, nel Dodecanneso, dove dal 1959 al 1990 fu attiva una struttura- lager atta ad accogliere malati di mente e, durante il periodo della dittatura dei Colonnelli, dissidenti politici.
La protagonista del romanzo è Angela che, nel 1992, si reca sull’isola con altri volontari italiani: quella che doveva essere una ricerca sul campo di quattro mesi per la redazione della tesi di laurea in giurisprudenza diventa, per la giovane, un’esperienza devastante che ne segnerà l’intero percorso umano.
Accanto a lei si intrecciano le vicende di molti altri personaggi, in un lasso di tempo epocale, quali fili di uno stesso ordito, destinati a riallacciarsi in un nodo di carta o a perdersi nella voragine di un buco di memoria.
Lo stile è poliedrico: si passa dal linguaggio crudo alla poesia, dal realismo al lirismo, dal grottesco al malinconico.
Leros è l’isola dei fantasmi.
Esseri che mostrano e sono mostrati.
Esseri che si muovono fra stracci, sangue, escrementi, umori e che dentro hanno solo il vuoto.
Esseri senza nome e senza storia, numeri e lettere sbiadite nell’archivio del tempo.
L’olocausto dell’umana dignità si è compiuto e ogni giorno si compie di nuovo.
Ci sono mille Leros.
Ci sono mille bambini con la maglia rossa e i calzoni blu, riversi sulla spiaggia.
Mille emarginati, mille abusati, mille reietti, mille pazzi, mille morti viventi.
Simona Vinci ci racconta anche dei matti di Budrio e dei migranti sbarcati o annegati in prossimità delle coste del Mediterraneo.
Ci racconta di infinite vite ghermite dall’ombra nera della follia e dell’oblio.
La storia di Leros è fantasma della Storia dell’umanità.
Cosa ci salverà?
La parola. Urlata, sussurrata, scritta.
Parola che si fa verso e poesia salvifica.
“Se dici parola non è mi dato
sapere io immagino
immaginazione è forza azzurra
che spasima dentro e oppone
alle baionette saliva e sangue”.
Written by Emma Fenu