“Un posto sicuro” di Francesco Ghiaccio: storia di una città che impara a rinascere dalla polvere

Quando ci si sveglia dopo una notte insonne e agitata la prima sensazione è quella di avere sulle palpebre un peso, ed è a quel peso che si attribuisce la responsabilità di alterare la visione della realtà.

Un posto sicuro

La pesantezza, le immagini che percepiamo sfocate e grigie ci infastidiscono, ma il desiderio di osservare sempre più nitidamente per orientarci costringe a stropicciarci gli occhi con le nocche per rendere umido il bulbo. Poi arriva l’acqua a bagnarci il viso e allora la realtà ci appare anche troppo nitida, spesso dolorosa.

La prima sequenza di “Un posto sicuro” di Francesco Ghiaccio – che firma il soggetto e la sceneggiatura con Marco D’Amore – ha in sé la suggestione di un risveglio: Luca è un giovane attore che adegua il suo talento al divertimento di una borghesia spocchiosa e algida, un giovane fortemente disilluso che dovrà ricostruire un rapporto intenso con il padre Eduardo, affetto da mesotelioma.

Eduardo, un intenso Giorgio Colangeli, è stato un operaio della Eternit, la multinazionale svizzero-belga che sin dai primi del Novecento lavorava l’amianto, la tossica polvere bianca che ricopre Casale Monferrato, città in cui i due uomini si muovono affranti.

Luca deve risvegliarsi. Lo deve a se stesso, per la sua famiglia, che il lavoro nella fabbrica ha corrotto e annientato, per un amore ancora possibile con Raffaella (Matilde Gioli). Le inquadrature si allargano sempre lentamente e tendono a contestualizzare il più possibile i personaggi. Senza didatticismo, il regista rende il peso bianco della Storia innestandola nella storia individuale e privata, evita moralismi perbenisti e struttura la narrazione per sostenere l’impegno civile e la tensione della speranza nei suoi personaggi.

Il realismo lascia il posto ad una costruzione metateatrale e onirica. Proprio Luca – che Marco D’Amore interpreta in un crescendo, dal curvo e goffo e insicuro clown all’attore vestito da operaio con la schiena dritta e lo sguardo fiero – affaticato da se stesso e dalla propria vicenda, imposterà con il padre Eduardo una rappresentazione teatrale per raccontare la realtà degli operai della Eternit: così i nomi dei due protagonisti finiscono per ricordare affettuosamente quelli dei due De Filippo, custodi di un teatro puro e coerente, e questa scelta sembra rimarcare l’importanza di un intervento culturale profondo nella società.

Un posto sicuro

Il montaggio di Chiara Griziotti imposta un ritmo lineare, coerente e dilatato in perfetta sintonia con il grigiore della fotografia di Guido Michelotti: la polvere bianca non si posa sull’anima dei personaggi, che in questo percorso di formazione intenso e caustico reagiscono alla realtà feroce dell’Eternit con il coraggio di chi si rivolge alla collettività e, superato il dolore, raggiunge una nuova consapevolezza per continuare a lottare contro il disastro ambientale e i tumori.

A Casale lo stabilimento Eternit cessò effettivamente la sua attività nel 1986; dopo una lunga battaglia legale il 3 giungo 2013 la Corte di Appello di Torino aveva portato la pena da sedici a diciotto anni per l’imprenditore Schmidheiny e aveva previsto un risarcimento di cento milioni di euro per le famiglie delle vittime di Casale Monferrato, ma il 19 novembre 2014 la Corte di Cassazione dichiarava prescritti i reati annullando la pena e l’erogazione dei risarcimenti.

Il danno ambientale e l’ingente numero di vittime (fino al 2008 sono stati diagnosticati oltre 1200 casi di mesotelioma pleurico) rappresentano nel film di Francesco Ghiaccio una presenza-assenza che si manifesta nelle scene più corali.

Casale è la città più bonificata d’Europa, sta lottando per diventare un posto sicuro, ma la situazione è pesante: in Italia non esistono posti sicuri, in Italia esistono ancora trentadue milioni di tonnellate d’amianto e la vicenda Eternit rimanda ad un altro, doloroso caso italiano: la riflessione può spostarsi, forse deve spostarsi, sull’industria per la trasformazione dell’acciaio, sull’Ilva di Taranto.

Un posto sicuro

In entrambe le circostanze, la necessità di un lavoro sicuro mette sotto scacco gli operai e le loro famiglie. Per la centralità della problematica, il film di Ghiaccio rimanda alla consapevolezza etica presente ne “Il Posto” di Ermanno Olmi.

Nonostante l’inquinamento ambientale comprometta le condizioni di vita di migliaia di persone e sia responsabile di morti premature, è difficile trovare una soluzione onesta che salvaguardi la popolazione e l’ambiente.

Al cinema di Francesco Ghiaccio va il merito di avere saputo mettere in scena una crisi profonda e dilaniante senza retorica e con estrema onestà, con una pulizia tecnica rigorosa e una impostazione che ricorda molto da vicino, seppure senza essere propriamente cinema d’inchiesta, la vocazione civile di un maestro come Francesco Rosi.

 

Written by Irene Gianeselli

 

 

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