Intervista di Irene Gianeselli alla scrittrice Sara Rattaro: lo splendore della speranza
Sara Rattaro è laureata in Biologia e in Scienze della Comunicazione, ha frequentato il master in Comunicazione della Scienza «Rasoio di Occam» a Torino prima di essere assunta come informatore farmaceutico.
Coltiva da sempre la passione per la scrittura e le sue storie si ispirano ai racconti delle persone che incontra.
Il suo esordio narrativo è con “Sulla sedia sbagliata” (Morellini, 2010). Il suo secondo romanzo, “Un uso qualunque di te“, Giunti 2012, da marzo a maggio ha avuto cinque ristampe, ed è stato venduto in Spagna, Germania, Olanda, Bulgaria, Russia, Ungheria e Turchia. Il terzo romanzo “Non volare via” è pubblicato da Garzanti (maggio 2013) con grande successo.
Continua il successo di “Niente è come te“, Garzanti (settembre 2014) con cui la Rattaro ha vinto il Premio Bancarella 2015. Il suo ultimo romanzo “Splendi più che puoi” (Garzanti, 2016) è vincitore del Premio Rapallo.
I.G.: Ti ringrazio per la disponibilità. Come hai scoperto la scrittura?
Sara Rattaro: Scrivo da quando ero giovanissima, una ragazzina, quindi direi che è una scoperta scolastica, però non mi facevo leggere. Forse ero impaurita dal giudizio degli altri, e non avevo ancora quella sicurezza necessaria, tanto è vero che mi sono poi laureata in Biologia e ho fatto un’altra strada. Una volta adulta e con un lavoro, la voglia di scrivere era ancora forte ed era sparita la paura di essere letta e criticata, ma con lo scrivere intendevo soddisfare più una esigenza personale, non pensavo sarei diventata una scrittrice. Ho cominciato con un piccolo editore, in realtà la mia vita è cambiata radicalmente dal 2010. Il mio è un percorso di cui vado molto orgogliosa e credo sia il sogno di ogni autore fare un passo alla volta, siamo tutti affascinati dal grande botto, dal successo immediato, ma è molto difficile poi riuscire a mantenere questo rapporto con il lettore. Il mio invece credo sia un percorso molto solido, ho cominciato con un piccolissimo editore, con delle poche ma buone vendite e conquistando molti dei lettori che ancora oggi mi seguono, poi ho continuato con una casa editrice piuttosto grande, la Giunti, che mi ha permesso di essere conosciuta da un pubblico più ampio, poi è stata la volta di “Non volare via” che ha consolidato questo rapporto con i lettori, di “Niente è come te“, vincitore del Premio Bancarella e adesso “Splendi più che puoi”: credo che questo sia il libro che più di tutti mi abbia dato credibilità presso i lettori perché qui ho affrontato un tema scottante, un tema di cui si parla poco e male, di cui si scrive molto poco se non a fiammate, ma non raccontando cosa è veramente la violenza sulle donne, e anche per queste ragioni un tema poco interessante per gli editori. Forse se io non avessi vinto il Bancarella non avrei potuto pubblicare una storia così forte. Ieri mi hanno fatto un complimento bellissimo durante la presentazione alle Terme di Comano, hanno detto «Sara Rattaro è riuscita a creare un rapporto così forte con i suoi lettori da potersi permettere di pubblicare un romanzo con un tema così difficile». I miei lettori mi hanno sostenuto e io sono grata e contenta. Ho avuto molta fortuna perché lavoro con persone da cui imparo molto, ma il rapporto con i lettori e i librai per il nostro mestiere è fondamentale e uno scrittore che non ha ancora compreso questa cosa, deve capirla al più presto. Nel bene, senza per forza strizzare l’occhio al lettore, bisogna considerare che i lettori sono coinvolti, bisogna meritare la loro fiducia.
I.G.: Cosa scegli tra essere e fare la scrittrice?
Sara Rattaro: Questa è una domanda da un milione di euro! Penso di essere una scrittrice, comincio a crederci. Non è una cosa così facile, sto acquistando sicurezza in quello che faccio libro dopo libro, presentazione dopo presentazione, e non penso di essere arrivata, anzi, spero di avere ancora molto da salire. Mi considero sempre un po’ al punto di partenza e all’inizio di una nuova avventura.
I.G.: Franca Rame quando metteva in scena “Lo stupro” raccontava che gli uomini le dicevano di vergognarsi di essere uomini dopo averla guardata in teatro. Quanto è stato difficile da donna raccontare la storia di cui scrivi in “Splendi più che puoi“?
Sara Rattaro: È difficile nei termini in cui tu vuoi che sia difficile. Io l’ho affrontata spero con molta trasparenza, la mia non è una storia per le donne come spesso viene definita, anzi, la mia è una storia soprattutto per gli uomini, perché le donne sanno benissimo di cosa stiamo parlando e non hanno niente da imparare, sono gli uomini che vanno emotivamente coinvolti: i criminali non hanno nulla a che fare con gli uomini con cui conviviamo, con i padri, i fratelli e gli amici che non userebbero mai la violenza per discutere e chiarire qualcosa. Proprio questi uomini a volte sono distanti, poco coinvolti, come se fossero sempre sotto accusa anche loro, invece non è così. In questo libro c’è un padre, quello di Emma, la protagonista, c’è il nuovo amore di Emma che deve affrontare questo problema con lei, quindi ci sono uomini che soffrono, soffrono per la violenza subita dalle loro donne. Quindi bisogna cominciare a parlare chiaro rispetto a questa situazione: dietro una donna che subisce violenza c’è sempre almeno un uomo che subisce la violenza con lei. Il modo in cui l’ho raccontato è questo, non è stato difficile ma doloroso.
I.G.: Eppure proprio in questi giorni lo avvertiamo chiaramente: la questione di genere ci sfugge di mano.
Sara Rattaro: Ci sta sfuggendo di mano da troppo tempo, non sono d’accordo con il dire che adesso siamo in stato d’emergenza, lo stato d’emergenza c’è sempre stato. Il problema è un problema culturale, educativo e dal dopoguerra ad oggi le cose avrebbero potuto cambiare. Ad oggi invece continuiamo a fornire un modello educativo diverso per il maschio e per la femmina differente. Questa è la base su cui nascono le violenze sulle donne. I maschi devono raggiungere obiettivi difficili, essere i capo famiglia, quelli che primeggiano, quelli che non devono mai chiedere. Le donne sempre un passo indietro, meno pagate, sempre in silenzio, non devono mettere in ombra l’uomo che hanno accanto, devono invece sopportare e avere pazienza. È chiaro che se una donna non sta in questo schema, l’equilibrio si va a rompere. Ma le donne non possono vivere più in questo schema, abbiamo il diritto di avere gli stessi stipendi e le stesse cariche, abbiamo le pari opportunità. Il problema è che in realtà c’è discriminazione, è innegabile. Io dico sempre che noi continuiamo a dare una educazione dell’affettività diversa a seconda del genere, molte donne sono figlie di situazioni di violenza, ci sono donne cresciute in famiglie in cui le madri, le nonne, hanno sopportato delle situazioni di sottomissione. Quindi denunciare e ribellarsi è complicato e si insegna che una donna non se la deve andare a cercare, così non si insegna l’amore né l’affettività. Se tu insegni ad una bambina che può essere picchiata, abusata, violentata solo per il modo in cui è vestita, le abitudini, gli atteggiamenti che ha, questa bambina non può crescere sicura di sé e della propria libertà e autorizzi i maschi a picchiare, abusare e violentare. Questa di fatto non è affettività. Noi tutte siamo cresciute sentendoci dire vedi di non andartela a cercare, perché se poi succede qualcosa di drammatico tu hai sbagliato strada, vestito o sorriso e la colpa è tua. Noi continuiamo a spostare l’attenzione sulla donna picchiata: sul perché lei non se n’è andata, sul perché lei ci ha fatto dei figli, sul perché lei l’ha sopportato, ma perché non ci chiediamo la ragione per cui lui l’ha picchiata? Non ci occupiamo di donne che non subiscono violenza, ci chiediamo queste cose sulla donna violentata o picchiata perché a monte c’è un uomo che l’ha picchiata. Perché continuiamo a processare la donna? Perché non poniamo attenzione a lui, all’uomo che picchia?
I.G.: Molti infatti leggendo il tuo romanzo commentano focalizzando l’attenzione sulle scelte della protagonista.
Sara Rattaro: Tutti. Io sono stata la prima a chiedere ad Emma perché non se ne fosse andata prima. È una cosa che non bisognerebbe mai chiedere perché tradotta, questa frase significa “ma allora ti piaceva stare lì”? A nessuna donna piace stare lì e farsi picchiare. A monte ci sono milioni di motivi: non avere dei soldi, non sapere dove andare, essere sole, avere paura per i figli… questo va accettato, dobbiamo ancora lavorare su questa consapevolezza perché pensiamo sempre al “non andartela a cercare”. È inimmaginabile che lei sia rimasta col marito sei anni, vuol dire che le piaceva rimanere lì con lui a farsi picchiare dalla mattina alla sera. Quindi noi continuiamo ad approcciarci in questo modo, perché? Perché facciamo un processo a lei invece di farlo a lui. È lui che l’ha picchiata per sei anni. Perché lui non s’è fermato? Perché lui non è stato fermato? Nessuno si pone il problema, come se il problema potesse risolversi solo nel momento in cui lei riesce ad andarsene, invece l’uomo violento rimane l’uomo violento, il problema non è risolto. Abbiamo salvato una vittima, ma l’uomo è sempre violento.
I.G.: Parlavi di Emma, della vera Emma. Come è nato il progetto di “Splendi più che puoi“?
Sara Rattaro: Per caso, ero ad una presentazione e una signora alla fine mi ha fermato dicendomi che aveva una storia da raccontare. Io le ho chiesto a caldo cosa ci fosse in questa storia perché i miei lettori avrebbero dovuto leggerla, ero in promozione con “Non volare via”, stavo crescendo e non avevo ancora una visibilità, era anomalo che una persona mi cercasse così, adesso magari ha più senso. Questa donna mi ha risposto «Io sono stata sequestrata da mio marito durante il nostro matrimonio, però ora sono qua. Erano gli Anni Novanta, è passato molto tempo e adesso voglio che questa storia diventi il mio passato». Io ero stupita, un po’ ingenuamente, ormai siamo troppo abituati al femminicidio. L’idea che lei fosse viva, splendente, bella, padrona della propria vita mi ha stupita. Si parla di violenza sulle donne solo quando le donne vengono uccise, invece ci sono quelle che si salvano e non ne se parla, non si lascia passare un messaggio di speranza, si fa passare un messaggio di rassegnazione. Non avrei mai inventato una storia di femminicidio, né di violenza perché penso sia una mancanza di rispetto per chi subisce davvero tutto questo. Perciò ho scelto di raccontare una storia vera piena di speranza.
I.G.: Molto interessante è che sono presenti nel libro dei riferimenti al percorso legislativo per la tutela dei diritti delle donne. Per esempio: solo nel 1996 è stata riconosciuta la violenza sessuale contro la persona, prima si parlava di atto contro la moralità.
Sara Rattaro: Ero una donna adulta nel ’96 e mi ricordo che quella legge mi piacque molto, anche se poi non mi piacque come fu gestita. Quella legge impiegò vent’anni per essere legiferata. Il Parlamento si è chiesto per vent’anni se le donne potevano essere offese come persone o come morale pubblica. La parità c’è ma solo nel momento in cui è un uomo a concedercela, quasi sempre la donna è sottomessa a questa benevolenza maschile. Siamo un Paese fortemente cattolico e la religione cattolica nella sua parte oscura dice qualcosa di estremamente negativo, dice del poter fare senza far sapere. Molto spesso è più importante quello che pensano gli altri rispetto a quello che realmente accade, purché non si sappia. La legge italiana racconta il problema culturale alla base della violenza sulla donna: di fatto tutelare i diritti delle donne non tutela solo le donne, tutela tutti, quella legge del ’96 tutela i padri, i fratelli, gli amici, gli innamorati e quella è una legge di un Paese civile, però arrivò in ritardo. Poi ci stupiamo del perché si faccia fatica a denunciare: fino a quindici anni fa non c’era una legge, cosa andavi a denunciare? Ovviamente oggi la legge c’è ma continuiamo a considerare la violenza come una cosa di cui vergognarci, da tenere nascosta. Fino agli Anni Novanta le donne dovevano gestire l’uomo violento, sopportarlo, affinché la comunità non fosse turbata, offesa. Noi siamo ancora qui, stiamo facendo molti passi avanti, ci vuole molto coraggio, le donne che riescono a denunciare sono delle eroine: avranno il mondo contro. Dare delle spiegazioni, affrontare processi, crescere i figli vivendo nascoste, è eroico.
I.G.: A volte anche il femminismo comporta del marciume ideologico.
Sara Rattaro: Non esiste una sola parte nel mondo in cui le donne abbiano più diritti degli uomini. Quindi nel momento in cui crediamo nelle pari opportunità siamo femministe e femministi. In questo senso io intendo il femminismo, certamente non intendo che la donna debba diventare come l’uomo. Gli uomini non sono gli unici nemici delle donne: le donne non sanno coalizzarsi, a meno che non ci sia sorellanza. Anche le donne accusano le donne. Pensiamo alle donne che assumo una posizione di potere: diciamo che quelle sono “donne con le palle” e continuiamo a mascolinizzare e di fatto continuiamo a sostenere la cultura maschilista. Mettiamo in dubbio le capacità della donna al potere se è bella, carina, simpatica eccetera, se è una donna poco avvenente la massacriamo perché brutta. Una bella al potere non la accettiamo ma non accettiamo nemmeno una in gamba al potere. Bisogna sempre trovare un secondo perché. Tempo fa ricordo che girava una foto di Pierce Brosnan con la moglie e questa donna non rientrava propriamente nei canoni hollywoodiani. In questa immagine questa donna come tante fu massacrata perché troppo brutta, non magra, non giovane. Però se ci fosse stata nella foto con l’attore una ragazza di vent’anni l’avremmo comunque massacrata perché non è giusto che una giovane donna si prenda un uomo maturo. Siamo di una crudeltà allucinante.
I.G.: La violenza ha aperto l’anno nella notte di Capodanno: a Colonia le donne sono state violentate ed è un fatto che è già caduto nell’ombra.
Sara Rattaro: Si toccano le donne. Quando si vuole ferire una società civile con scopo terroristico, si toccano le donne. Perché le donne sono le portatrici della vita. Dietro tutto questo voglio pensare ci fosse un disegno di tipo terroristico e siccome non sono degli stupidi è chiaro che hanno umiliato le donne. Lo hanno sempre fatto: dal Ratto delle Sabine. Per citare i più recenti: accadeva in Bosnia, in Cecenia. Le donne in guerra sono sempre state massacrate. Togliere alle donne la libertà significa mettere in ginocchio una società.
I.G.: Tra l’altro a volte le donne pare debbano demandare la propria felicità ad altro: lavoro, figli, marito. Come, secondo te, le donne possono costruire la propria felicità?
Sara Rattaro: Questa è una bella domanda. Io dico sempre che si può essere felici senza avere dei figli. Ovviamente poi l’opinione pubblica si divide in due: se non hai figli non sei una donna completa e quindi non puoi essere felice. Invece io da mamma dico che si può essere felici anche senza figli, intanto perché i figli sono una fonte di preoccupazione e di ansia pazzesca perciò ci sono dei sentimenti e delle emozioni e un amore che provi solo nei confronti di un figlio, ma questo non significa essere felici, la felicità è una questione personale. Molti la confondono con l’emozione, la serenità, l’innamoramento, ma prima di tutto bisogna chiarire cosa si intende per felicità e poi bisogna cercare di comprendere come si può raggiungere. Certo se i tuoi obiettivi sono un lavoro che ti piace, un figlio desiderato, un amore importante, è chiaro che sei serena e puoi anche essere felice, però è come dici tu, non possiamo demandare a qualcun altro la nostra felicità. Siamo sempre lì: perché ci hanno educate a stare all’ombra di un uomo e quindi se non c’è un uomo che ci fa ombra siamo esposte. Poi le donne hanno un problema biologico crudele, c’è sempre questo rincorrere qualcosa che non puoi avere. Anche questa è una questione culturale. Io mi sono sposata da poco, dopo tanti anni di convivenza e un figlio e quindi la mia vita non è cambiata granché, ma nel momento in cui mi sono sposata mi sono sentita accolta da una sorta di benevolenza diversa, assurdamente diversa: non è cambiato nulla in realtà, però l’atteggiamento della gente è cambiato, come dire, adesso siete legalmente presentabili. Io mi presentavo anche prima.
I.G.: Prima dicevi che molto spesso noi non sappiamo amare. Come si impara ad amare?
Sara Rattaro: Non so se sono la persona più adatta a dirlo, devo ancora capire se io stessa ho imparato ad amare. Credo che amare qualcuno sia veramente rispettare la sua vita, credo che molto spesso scegliamo delle persone, ma poi vogliamo che diventino come desideriamo noi e che non rimangano più quello che erano quando ce ne siamo innamorati. Rimaniamo affascinati da qualcosa che poi vogliamo spegnere, magari inconsciamente per paura che qualcun altro si innamori di quella luce. Tendiamo a volere cambiare gli altri, però è anche vero che la convivenza ci viene imposta dall’esterno: il concetto di famiglia è imposto dall’uomo non dalla natura, naturalmente la biologia ci direbbe di procreare, fare figli, anche con partner diversi, mentre noi dobbiamo essere fedeli, con quel felici e contenti, sempre in due, un due che è anti biologico.
I.G.: Il punto di rottura nel romanzo è la maternità. La forza del personaggio è proprio nella crescita, nel comprende che quel “due” è una forzatura.
Sara Rattaro: Sì, lei ci mette un po’ a capire che questo uomo è così, e che non passerà. Credo prima mancassero anche dei modelli per salvarsi, era una situazione assolutamente anomala. La maternità ha un grandissimo pregio: ti fa apprezzare quanto la tua vita può essere lunga. Personalmente faccio pensieri che prima non avrei mai fatto, adesso sceglierei subito di vivere quarant’anni di alti e bassi piuttosto che venti alla grande. Fatemi vivere quarant’anni in sordina perché mio figlio ha bisogno che io ci sia, almeno fino ad un certo punto. Per questo la protagonista non salva solo se stessa, ma anche sua figlia, la vita che sono entrambe. Del resto non è pensabile lasciare una figlia con un uomo violento che nel peggiore dei casi dopo otto anni di carcere esce e può rifarsi una vita.
I.G.: Come possono difendersi le donne dalla violenza?
Sara Rattaro: La violenza sulle donne ha una sua serialità, quasi sempre, questo lo dicono gli esperti dei centri antiviolenza, uguale a se stessa. La prima fase è la violenza psicologica: la vittima viene isolata, denigrata. Io ti dirò che sei brutta, antipatica, incapace, dopodiché attacco la tua rete: le tue amiche sono stupide, i tuoi familiari non ti hanno mai amato, i tuoi compagni di lavoro ti fanno le scarpe, il tuo capo ti fa le scarpe… io ti picchio quando tu hai rotto con tutti perché ormai ti vergogni, hai litigato con tutti per difendere proprio lui. Occhio alle persone che controllano i soldi, non ti fanno uscire, ti controllano, ti dicono che possono mantenerti e tu puoi non fare nulla, quelli che ti dicono di non metterti la gonna perché sei una poco di buono. Dovrebbe esserci un decalogo per le bambine in quinta elementare. Invece no, ci sono i libri per ragazzi in cui il ragazzo stronzo, violento, maltratta le ragazze e tutte dietro, tutte a rincorrerlo. Se invece parliamo di un caso di violenza conclamata la donna deve rivolgersi a qualcuno che sappia cosa fare. Quindi occorre rivolgersi al medico di famiglia, il medico ha studiato per aiutarti, conosce i centri antiviolenza a cui affidarti e non desti sospetti se vai a farti visitare. Oppure ti puoi rivolgere direttamente al centro antiviolenza, affidandoti totalmente ad un percorso lungo, doloroso sicuramente, piuttosto complicato. Ma quando si denuncia bisogna mettersi in salvo e al sicuro, non si può continuare ad avere lo stesso telefono, devi cambiare telefono, non devi essere reperibile, se rimani devi cambiare le serrature. Se torni a casa dopo la denuncia hai la peggio sicuramente. Bisogna affidarsi a qualcuno che sa cosa fare, non è questione di “ti aiuto perché ti voglio bene”, deve essere qualcuno che non ti giudichi in questo percorso necessario.
I.G.: E gli uomini cosa possono fare?
Sara Rattaro: Gli uomini non violenti devono aiutare le donne, devono schierarsi, scarpe rosse o no devono scendere in piazza con noi e dirlo che non c’entrano, che non sono violenti. Una persona violenta se è consapevole deve farsi aiutare. Gli specialisti accettano di lavorare solo con chi supera alcolismo e altri fattori e chi cura la propria schizofrenia. La violenza è violenza. Se mi picchi io mi devo portare in salvo. Poi facciamo psicologia, sociologia per capire quali sono le sofferenze, ma nel momento la violenza è violenza, il perché non interessa. Credo qualche successo ci sia anche, però è un altro discorso. Gli altri, i non violenti, devono combattere la violenza, intervenire e soprattutto schierarsi, c’è un lungo cono d’ombra per cui non si capisce mai da che parte stai. Ci sono sempre alle mie presentazioni i padri che sanno di cosa sto parlando, che capiscono che io non ce l’ho con gli uomini. Poi ci sono quelli che invece ti dicono che qualcuna deve saltare per mantenere l’ordine: è chiaro che se io ho mille amanti tu non sei autorizzato ad uccidermi! Il fatto che magari venga uccisa una prostituta comporta un tipo di processo, per una donna figlia di buona famiglia il processo segue tutt’altro iter. Si fanno sempre due pesi e due misure e questo non va bene. Non esiste mai una giustificazione alla violenza.
Written by Irene Gianeselli