Il taccuino del giovane cinefilo presenta “Quando c’era Marnie” di Hiromasa Yonebayashi
È giunto finalmente anche in Italia l’atteso gioiellino del 2014 targato Ghibli, purtroppo etichettabile stavolta come “last” e non semplicemente come “latest”.
Hiromasa Yonebayashi torna alla regia dopo la felice esperienza di “Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento” (2010), e adatta un romanzo del 1967 della scrittrice britannica Joan G. Robinson, particolarmente caro a Miyazaki, e che dà pure il titolo internazionale al lungometraggio (“When Marnie Was There”).
Significative sono alcune somiglianze fra le due produzioni animate: entrambe ospitano protagonisti malati (al cuore o d’asma), destinati ad un periodo di convalescenza in campagna, trascurati dai genitori, bisognosi di un’amicizia autentica.
Ed ecco che l’introversa dodicenne Anna, parallelamente al giovane Shō che da sempre aspettava l’apparizione degli gnomi, sogna e successivamente conosce di persona la bellissima Marnie, che dice di abitare da tempo nella villa di fronte l’acquitrino, entità che fin dal principio della vicenda aveva attirato le attenzioni di Anna in quanto fascinosamente disabitata.
L’amicizia che immediatamente viene stretta tra le ragazze, dichiarata da tutt’e due segreto prezioso ed inconfessabile, spinge progressivamente la protagonista a condividere i suoi malesseri interiori che la tormentano nel profondo dell’anima.
Marnie appare sempre più chiaramente l’alter ego positivo di Anna: se l’una si sente apprezzata e tesse ottimi legami con conoscenti vecchi e nuovi, l’altra è un peso e non riesce a sentirsi a proprio agio nella società, la prima è graziosa e adorna di qualità, la seconda si considera sgradevole e senza alcun talento.
Eppure, nonostante tali intime opposizioni, o forse proprio grazie agli esempi emblematici che esse rappresentano, i caratteri delle due fanciulle non si rivelano affatto inconciliabili, saldando al contrario le loro esperienze in un vincolo tenero e allo stesso tempo di solida costituzione, portando Anna ad uscire dalla sua bolla satura di istinti di ribellione repressi e di vacillante autostima, e a far nascere in lei sinceri sentimenti di affetto e addirittura di amore, pur messi alla prova da sospetti di tradimento e da un filo d’invidia sotterranea (quella suscitata dalla presenza dell’amico d’infanzia di Marnie Kazuhiko), che ricorda allo spettatore quanto umana sia la matassa di materie che vengono trattate nel lungometraggio.
È inoltre interessante notare come in questa complessità di rimandi che si possono intercettare all’interno della trama giochino un ruolo essenziale, propriamente di motore della narrazione, la distanza incolmabile percepita da giovani e adulti in vita fra loro, si voglia per un eccesso di apprensione (cui pur tuttavia è possibile scampare adottando uno stile e un’etica come quelli degli “zietti campagnoli”) o per uno sconsideratamente lungo distacco dai figli, così come la distanza ancora più grande, per di più zavorrata da frustrazioni alla cui origine è impossibile porre rimedio, che impone la morte dei genitori, fonte di sofferenze, senso di abbandono e (sorprendentemente in quest’occasione) di riduzione della persona, senz’ombra di volontà propria, a fonte di reddito, ma anche innesco di infinite nuove scintille, liberazione di fantasie, apertura di inedite strade; ed è facilmente appurabile come tutto questo accadesse ai tempi di Biancaneve (1937) in maniera perlomeno accostabile a Big Hero 6 (2014).
Terminando con la dovuta attenzione prestabile alla tecnica e all’estetica, “Quando c’era Marnie” rappresenta (a malincuore) l’epigono della gradevolezza visiva che gli aurei prodotti nipponici del più o meno recente passato hanno saputo regalare al mondo intero: lo studio e la resa dei paesaggi terreni ed acquatici, interni ed esterni, l’incantato fluire dei lineamenti femminili dai grandi occhi, malinconici e ridenti, non possono che suscitare stupore e serenità in chi abbia un minimo di sensibilità artistica… e fosse anche semplicemente venuto al corrente della generosa distribuzione concessa in suolo italico al 20° film ghibliano per il cinema.
Delicatissime le musiche, corredate nei titoli di coda dalle parole ed armonie significative di “Fine on the Outside”, cui dà voce Priscilla Ahn, purissima espressione della catarsi cui va incontro Anna al termine del suo soggiorno fuori città. Dal canto suo, Yonebayashi si è indubbiamente superato, impreziosendo la scrittura e alimentando lo stile registico di nuove forze creative e di disinvoltura, suggerendo con efficacia apprezzabile, ma in definitiva pur sempre carente di plasticità ed incisività, la magia che il Maestro continua a spargere attorno alla sua creazione immortale.
Written by Raffaele Lazzaroni
Info
Youtube Il Taccuino del giovane cinefilo
Youtube Fine on the Outside – Priscilla Ahn