“… e ora parliamo di Kevin” di Lynne Ramsay: l’atroce dramma della complessità della psiche umana

Inquietudine e angoscia sono due temi che, nel corso del Novecento, sono stati protagonisti nelle trattazioni e teorie di numerosi filosofi.

E ora parliamo di Kevin Lynne Ramsay
E ora parliamo di Kevin Lynne Ramsay

Quando poi vengono declinati nel cinema, il rischio di scadere in banali pellicole horror, trite e ritrite, è alto: serve quindi un regista capace di tirare le fila della complessità umana, senza essere disarcionati da una storia troppo tirata e soffocato da una trama priva di senso.

L’esempio perfetto è quello di Lynne Ramsay, che con “… e ora parliamo di Kevin” (2011) è riuscita a dar vita a un film tormentato e, al tempo stesso, in continuo divenire.

Merito sicuramente delle sceneggiatura tratta dal libro “Dobbiamo parlare di Kevin, scritto da Lionel Shriver ed edito nel 2003, che ha gli permesso di vincere il premio come “Miglior film” al London Film Festival nel 2011, lo stesso anno in cui è stato presentato a Cannes in concorso e in anteprima.

Stati Uniti, giorni nostri. Eva Khatchadourian (interpretata dall’asentimentale Tilda Swinton) è una donna di origini armene che ama divertirsi, di città e ambiziosa, ma quando incontra il suo futuro marito Franklin (John C. Reilly), la sua vita cambierà per sempre.

Rimane presto incinta, infatti, e decide di interrompere per il momento la sua carriera di scrittrice per seguire il figlio Kevin (un glaciale Ezra Miller).

Ma il rapporto tra i due è subito conflittuale: lei non sa come amarlo e lui, avvinghiato da un vero e proprio odio materno, fa di tutto per irritarla e disprezzarla.

Questo suo atteggiamento non si ripropone anche con il padre, però, per cui invece stravede ed egli non fa che difendere il bambino. Eva non sa come comportarsi, ogni azione del piccolo è un’offesa nei suoi confronti e sembra che la situazione non possa migliorare, nonostante gli sforzi di lei.

Le cose migliorano un po’ quando Kevin si sente male e la madre si mette letteralmente al suo servizio, per aiutarlo a guarire; ma dura poco, prima che la situazione ripiombi nell’inferno.

Il tempo passa e la coppia ha un’altra figlia, ma ciò non aiuta affatto il primogenito. Anzi, crescendo accanisce i suoi scherzi perversi anche su di lei, fino a compiere gesti che solo Eva sa essere sua la responsabilità, ma non ha prove per incolparlo.

Ancora più agghiacciante è l’amore del giovane, ormai adolescente, per il tiro con l’arco: il padre gli regalerà per Natale un “bellissimo” modello, che sarà lo strumento con cui ogni cosa del mondo di apparente tranquillità imploderà definitivamente.

Costruita su un continuo alternarsi di flashback, la storia racconta dell’esistenza tormenta della madre dopo che la sua vita, e quella della sua famiglia, è stata stroncata per sempre.

L’angoscia per il rapporto con il figlio si ricollega all’abbandono in cui ormai si è lasciata cadere, mentre il sorriso agghiacciante e nauseanbondo del ragazzo imperversa tra le scene drammatiche, incorniciate da una colonna sonora allegra che fa accapponare la pelle.

Al centro non c’è solo la solitudine di una persona, ma il fallimento, se non proprio il non essere mai iniziato, di un rapporto materno ormai naufragato.

O forse no, perché dagli abissi del male si può anche risalire: basta capire dentro di sé se ne vale la pena.

 

 Written by Timothy Dissegna

 

 

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