“Inni alla notte” di Novalis: un bisogno di pietà poeticamente espresso

Inni alla notte è una raccolta di versi e parti in prosa ritmica di uno dei poeti più romantici per eccellenza: il tedesco Novalis (1772- 1801), pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg.

Inni alla notte – Novalis

Essi rappresentano l’unico ciclo di poesia compiuto pubblicato quando l’autore era ancora in vita, essendo il testo comparso sull’ultimo numero di Athenaum nell’agosto del 1800. Esistono varie edizioni, non ultima la versione digitale disponibile su Amazon, e quella edita nel 2012 da Feltrinelli, con traduzione di Susanna Mati e testi originali a fronte.

Novalis è stato anche teologo e filosofo, ed è per questo che la sua poesia, riprendendo l’idea fichtiana dell’io assoluto, quale fonte infinita di realtà, diventa elemento magico, capace di trasformare il mondo. In qualità di atto supremo, egli si sente autorizzato, tramite essa, a vivere “secondo capriccio”, avendo potere di libertà creativa assoluta.

Nonostante vi siano controversie in proposito, gli “Inni alla notte” con sottotitolo “canti spirituali”, sono stati scritti fra il 1799 e il 1800 e sono composti da sei inni che esprimono la concezione che Novalis aveva del mondo, di pari passo con la sua religiosità.

L’opera è stata concepita dopo la prematura morte della giovanissima fidanzata, anche se non nell’immediato. Qualche anno dopo, infatti, egli ha avuto una “visione” della defunta che gli ha fatto scoprire una dimensione ultraterrena.

Gli Inni sono quindi il frutto di un lungo e difficile processo di pensiero iniziato proprio con la morte della giovanissima Sophie von Kùnn nel 1797, da circa un anno fidanzata del poeta e che lui avrebbe desiderato un giorno sposare.

La morte non appare più come la fine di tutto, come per gli antichi, bensì l’inizio di una nuova esistenza, e per personificare questo stadio superiore, Novalis sceglie l’immagine della notte.

Nel primo inno, si chiarisce il rapporto fra vita e morte; l’eterno dualismo fra luce e buio, dove la notte appartiene ad un mondo sacro, non sottoposto alla natura terrena.

Deve sempre tornare il mattino? Non avrà mai fine la violenza terrena?”, si chiede il poeta.

In quest’inno appare uno dei termini preferiti da Novalis, per i quali è conosciuta la sua poesia: la Sehnsucht, ovvero quell’anelito inappagato, infinito e rivolto a qualcosa di grande della cui infinità si è consapevoli.

Novalis

Nel secondo inno, la scoperta viene subito delusa, poiché l’ebbrezza che deriva dal vino, dall’amore o dalle droghe permette di comunicare col “sacro sonno” anche di giorno. Seppur si tratti di soluzioni temporanee, si accenna ad un’ipotetica “età dell’oro” che sta per tornare.

Nel terzo inno, Novalis tenta di dare una definizione del rapporto fra i due mondi, quello della luce e quello della notte. E lo fa evocando l’esperienza mistica della visione della tomba della sua fidanzata, Sophie von Kùnn, annotata nel suo diario nel 1797. Questa visione appare come una rinascita, che lo ha reso partecipe dei due mondi, quello diurno e quello notturno.

Nel quarto inno, il poeta si erge a testimone del legame fra i due mondi, destinato a “rendere sacro attraverso l’amore il mondo della luce”. La morte e la notte non si contrappongono alla vita. Anzi, è solo avendone una chiara consapevolezza che l’uomo può vivere serenamente.

Nel quinto inno il poeta compie una trasposizione. Ciò che per lui è stata l’amata, in grado di aprirgli gli occhi sul processo di conoscenza, Cristo lo è per l’umanità. Cristo ha vinto la paura della morte, cosa che gli antichi non erano riusciti a fare, e quindi egli ha dato inizio ad un processo di “risveglio”.

Nel sesto inno Novalis dà un significato unitario al destino personale del poeta e dell’umanità.

Senza dubbio una lettura interessante, quella di questi “Inni alla notte”, perché in fondo in essi il poeta affronta il tema attuale del rapporto che l’uomo ha con la morte. Una riflessione che ha da sempre incuriosito il genere umano, ispirando la moderna poesia europea.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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