“Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta” di Francesco Dezio: dai punk degli anni Ottanta ai giovani del Duemila
Di Francesco Dezio si è molto parlato dieci anni fa: il suo romanzo, Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli 2004), sfuggiva alle categorie letterarie tradizionali. O meglio: alle sottocategorie del genere ‘romanzo’.
Nonostante i precedenti autorevoli della letteratura di fabbrica (Volponi, Di Ciaula, Di Ruscio), fu inventata la definizione di ‘narrativa precaria’ per la storia dell’operaio, alter ego autobiografico dello stesso Dezio, assunto con un contratto di formazione e licenziato dopo un apprendistato di mobbing subito non solo dai superiori, ma anche dagli altri operai: tutti contro uno solo, il capro espiatorio Nicola Rubino.
Seguirono i consensi della critica letteraria, le diecimila copie vendute, l’appello di Dezio, che non volle ripetersi, affinché altri scrittori scrivessero di (non) lavoro e di precarietà, appello raccolto in poco tempo da Aldo Nove (che fu tra i primi ad accorgersi di Dezio), Angelo Ferracuti, Massimiliano Santarossa, Christian Frascella, Beppe Fiore, Emanuele Tonon e molti altri. Il senso più alto di quella stagione letteraria (questa stagione, perché i mali cronicizzati chiedono ancora altre narrazioni…) è stato soprattutto nella coralità, quasi che gli autori, in un’interminabile staffetta, abbiano a turno preso la parola e testimoniato letterariamente lo sfacelo lavorativo e sociale del nostro Paese: il recentissimo “Premio Campiello Opera Prima” a Stefano Valenti, autore de La fabbrica del panico (Feltrinelli 2013), premia, in fondo, anche gli autori che l’hanno preceduto, nell’Italia tutta, dalla Puglia alla Lombardia alle Marche al Friuli al Lazio.
Intanto Francesco Dezio, a quanto si deduce da dichiarazioni ed interviste, faceva di tutto per evitare la fabbrica, ricominciava la sua gavetta di studio e di lavoro, dedicandosi alla grafica non solo industriale.
Per scoprire che è ormai universale la condizione del lavoratore non pagato e licenziato, anche fuori della fabbrica, anzi, pagato tanto peggio quanto più è titolato (leggi: “non abbiamo soldi per pagarti ma ti facciamo fare esperienza”).
Di qui nasce la raccolta di racconti Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta (Stilo, Bari 2014, pagg. 125, euro 12), in cui protagonisti sono non solo operai, ma anche operatori e organizzatori di eventi culturali, laureandi, impiegati, lungo un arco di più di vent’anni: storie di proletari con o senza laurea, con o senza la testa sulle spalle.
Dai punk e tossicodipendenti degli anni Ottanta, con le loro vite avventurose, cosmopolite, a volte spezzate dall’Aids o dai regolamenti di conti con la malavita locale, ai ragazzi normali degli anni Novanta e Duemila, che vorrebbero solo un lavoro, una fidanzata, una passeggiata all’ipermercato: è la storia della deriva di almeno due generazioni, una storia che conosciamo, prevedibile, ma raccontata in modo non banale, anzi drammaticamente urlata dai personaggi, che in ciascuno degli otto monologhi–racconti parlano ognuno la propria lingua, mettendoci dentro la propria rabbia, la foga e le sgrammaticature del parlato, le parole più raffinate di chi ha studiato, gli strascichi del dialetto per chi non ha potuto farlo. Ma una polifonia di voci, suoni, rumori si sovrappone a ciascun assolo: i personaggi sono tutti appassionati di musica punk, post-punk, new wave, grunge, rock e post-rock, sulla quale modellano il proprio stile di vita e di pensiero. Grazie ad essa riconquistano diritto di parola (comicamente o tragicamente) e si riappropriano furiosamente dello spazio nel mondo di cui la Vita, il Sistema, la Politica… li hanno espropriati erodendo carriere lavorative, vite private, affetti.
Ed ecco citati, in poco più di cento pagine, circa settanta gruppi musicali nostrani e internazionali, anche con giudizi contrastanti a seconda del personaggio che parla: Wretched, AC/DC, Led Zeppelin, Clash, Underage, Kandeggina Gang, Ramones, Orda, Ultravox, Depeche Mode, Sex Pistols, Duran Duran, Not Moving, Last Call, Chain Reaction, Negazione, Kina, Kranio, Arab Strap e molti altri… ora grondanti “furore anarcoide” (p. 17) ora “più politicizzati e propositivi” (p. 20) ora soltanto ”scampoli d’ideali a buon mercato” (p. 21).
Un libro breve ma denso e divertente, disincantato, intimista eppure lacerante, che insinuandosi tra le mille pieghe delle controculture e dei movimenti degli ultimi vent’anni non dà risposte drastiche e definitive e si chiude con una domanda, sospesa tra gossip di rockstar, destini personali e privatissimi, futuro incerto di un’intera nazione.
Written by Teodoro Ricciardella
Che bell’articolo, complimenti Teodoro! io ho letto quasi tutti i libri di cui parli perché sono un’appassionata di letteratura sociale; il libro di Stefano Valenti è un resoconto di verbali di morte che lasciano senza fiato, in uno stile asciutto e vero, che si fa espressivo solo quando parla nostalgicamente del padre. Anche il libro di Tonon è un libro lirico-tragico, mentre Beppe Fiore (Nessuno è indispensabile, Einaudi) e i due libri di Francesco Dezio sono esilarantissimi ma altrettanto amari. Tutti comunque sono libri di impegno civile onesto e lucido, scritti bene e letterariamente riusciti. Buona lettura a tutti.