“Picasso e la modernità spagnola”: dal 20 settembre 2014 al 25 gennaio 2015 in mostra al Palazzo Strozzi di Firenze

Dal 20 settembre 2014 al 25 gennaio 2015 si terrà la mostra Picasso e la modernità spagnola, organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze e dal Museo Nactional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.

L’esposizione, dedicata a uno dei più grandi maestri del XX secolo, si compone di oltre novanta opere – ospitate all’interno del Palazzo Strozzi di Firenze – che sono rappresentative della produzione dell’artista, compreso fra il 1910 e il 1963.

La mostra, curata dal professore e specialista Eugenio Carmona, unisce e valuta le opere realizzate dal maestro con altri illustri esponenti dell’arte spagnola come Joan Mirò – con opere come Siurana e Figura e uccello nella notte –, o Salvador Dalì – con dipinti come Arlecchino –, ma anche Juan Gris, Maria Blanchard e Julio González. Tra le opere esposte sono presenti: Ritratto di Dora Maar, Testa di cavallo, Il pittore e la modella e altri disegni, incisioni e dipinti preparatori per il grande capolavoro Guernica. Si tratta quindi di un importante evento, poiché non è mai stato esposto un numero così elevato di opere fuori dalla Spagna.

Pablo Picasso è un artista multiforme, poiché la sua carriera è rappresentata dalla realizzazione di opere pittoriche, scultorie, litografiche e persino poetiche. Il suo genio è stato riconosciuto anche dagli uomini che hanno fatto parte del panorama culturale del primo Novecento come lo scrittore Marcel Proust che, in una lettera indirizzata a Jean Cocteau afferma: «Se oggi non fossi così in crisi vorrei dirvi – per quanto riguarda il signor Picasso – gli starnuti e lo spleen che instancabilmente provoca in me il blu domenicale dagli astragali bianchi dell’acrobata incompreso che danza come se stesse rimproverando Dio. Vivo con questa nostalgia […] Com’è bello Picasso».

La sua arte è venerata e apprezzata da molti, tuttavia la sua formazione è in parte diversa dagli altri pittori, poiché non ebbe un apprendistato lungo e quindi non conobbe le difficoltà che deve sostenere un giovane affinché possa imparare il mestiere. D’altra parte l’artista vive un’infanzia caratterizzata dalla presenza del padre pittore José Ruiz Blasco, il quale insegnava disegno alla scuola di belle arti. Tutto ciò ebbe un grande effetto sul giovane Picasso, che manifestò fin da piccolo il talento per il disegno.

Ciononostante, dopo aver vissuto i primi dieci anni nella sua città natia – Malaga – si trasferisce a Barcellona e lì resterà per diciannove anni. Questo periodo è importante, giacché tra il 1901 e il 1904 realizza i capolavori del primo «periodo blu», definito così da Guillaume Apollinaire il quale individua nella prima produzione dell’artista spagnolo la presenza massiccia della tonalità blu che rende i quadri cupi ravvivati solo da gradazioni dello stesso colore ma più chiare come il celeste o il turchese. Ne sono un esempio: La vita, Poveri in riva al mare, Vecchio chitarrista realizzati intorno al 1903; dipinti in cui emerge una dimensione sacra e sentimentale, dall’osservare la realtà e la miseria con sguardo compassionevole.

In seguito si apre per il pittore una nuova strada, quella rappresentata dal cosiddetto «periodo rosa», realizzato complessivamente in circa tre anni – dal 1905 al 1907 –, che si distingue per uno stile più allegro e rappresentato dalle tonalità del rosa. Da questo momento, le sue tele sono più luminose e gioiose, poiché a popolarle sono i personaggi circensi – acrobati, suonatori di strada, arlecchini. Le atmosfere, inoltre, sono di tenerezza – con note di malinconia –, come nel quadro Famiglia d’acrobati (1905). In questi stessi anni il pittore consolida una relazione con la giovane Fernande Oliver, che diventerà la modella di diversi quadri di questa fase. È in questo periodo che realizza anche i dipinti a sfondo erotico, come Les Demoiselles d’Avignon realizzato nel 1907 e conservato al MoMa di New York.

L’elaborazione della tela è particolarmente complessa. Infatti, Picasso iniziò a crearla fin dal 1906 e passò per tre diverse edizioni. Da sempre i critici dell’arte hanno analizzato la genesi di questo grande capolavoro, e differenti sono le influenze che hanno riscontrato in esso: la retrospettiva di Paul Gauguin, dopo che il maestro aveva visto il dipinto Cavalier sur la plage, che diventa basilare per l’ultima lavorazione di Les Demoiselles. Ed è proprio l’influenza di Gauguin a condurlo verso nuove sperimentazioni che, prima di questo momento, aveva risentito dell’arte post-impressionista tipica di artisti come Toulouse-Lautrec, e infine la scoperta di altri grandi artisti come Paul Cézanne. Come ha affermato lo stesso pittore spagnolo, l’ispirazione per Les Demoiselles d’Avignon è nata: «Solo in questo museo orribile, tra le maschere, le bambole pellerossa, i manichini polverosi. Les Demoiselles d’Avignon mi devono essere nate quel giorno: non per via delle forme, ma perché era la mia prima tela d’esorcismo».

Siamo nel periodo in cui Picasso scopre l’arte negra – o arte africana – avvenuta quasi per caso, che nei primi anni del Novecento ebbe molto successo e un’abbondante diffusione anche grazie ad artisti come Henri Matisse e Amedeo Modigliani. In realtà, la conoscenza di Matisse conduce Picasso alla scoperta di nuove composizioni di quest’arte e, in una conversazione avvenuta con lo scrittore e politico francese André Malraux, sostiene: «Si parla sempre dell’influenza dei negri su di me. Che dire? Tutti noi amavamo i feticci. Van Gogh afferma: l’arte giapponese l’avevamo tutti in comune. Noi avevamo in comune i negri. Le loro forme non hanno avuto più influenza su di me che su Matisse».

Che cosa affascina gli artisti occidenti dell’arte negra? Forse, e soprattutto, perché si esprime per il suo linguaggio: potente, stilizzato e molto espressivo, ma comunque influenzato notevolmente dalla realtà che circonda l’uomo, o piuttosto dalla verità di scoprire un altro mondo con una cultura diversa ma capace di donare qualcosa a chi si accosta a essa. Inoltre, e dato non trascurabile poiché è lo stesso che ispira anche Picasso, vi è la presenza delle figure femminili con le loro forme prominenti ed enfatizzate, portatrici di armonia e fertilità.

Compiendo un salto temporale, si giunge poi al periodo in cui Picasso realizza probabilmente la sua più grande opera: Guernica (1937) – la mostra di Firenze ospiterà, infatti, due sezioni interamente dedicate a quest’ultima –, che l’artista realizza in seguito allo scoppio della guerra civile in Spagna. Il maestro simpatizza per i repubblicani, poiché è fermamente convinto negli ideali della libertà contro l’oppressione dei fascisti guidati dal generale Francisco Franco. Guernica è dunque la raffigurazione del bombardamento avvenuto sulla città omonima, che si distingue per lo stile appartenente al Cubismo al quale si accosta fin dal 1912.

Guernica è un’opera molto simbolica – si pensi al toro che appare nella parte sinistra del quadro, e che rappresenta la brutalità dell’uomo che è stato in grado di generare la guerra, portatrice di distruzione –, ma più di tutto è una vera e propria testimonianza, il manifesto dell’arte moderna politicamente schierata. È nota, infatti, la risposta del maestro, che dà all’ambasciatore tedesco Otto Abetz: «È lei che ha fatto questo orrore?», «No, è opera vostra».

Emerge quindi l’arte pittorica prolifica e molteplice di questo grande artista, proprio come la sua personalità. E come lui stesso ha detto: «Per forza nel mio quadro c’è il mio io interiore, perché sono io che lo faccio. Non ho bisogno di tormentarmi per questo. Ci sarà sempre, qualsiasi cosa faccia. Magari ce ne sarà anche troppo…Il problema è il resto».

 

Written by Maila Daniela Tritto

 

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