“Eudeamon” di Erika Moak: prigioni sempre più personalizzate per hikikomori in cerca d’amore

Libro strano, Eudeamon: facile da leggere, difficile da collocare. La storia si svolge in un futuro prossimo, in una città – Eudemonia – in tutto e per tutto uguale a quelle in cui oggi si vive tranne che per una cosa: i banesuits.

I banesuits sono delle tute iper-aderenti, nere e lucide – dall’estetica estremamente simile a quella BDSM, e non a caso – che isolano completamente chi le indossa dal mondo esterno. Sono state congegnate per essere delle prigioni mobili all’interno di un programma sperimentale per riformare il sistema carcerario, a cui i condannati partecipano su base volontaria.

Anziché isolare le persone all’interno di una prigione, le si confina in una solitudine ancor più estrema: chiusi all’interno del proprio banesuit, ci si ritrova impossibilitati a interagire non solo con il mondo esterno, ma anche con gli altri condannati di Eudemonia, i cosiddetti “Banes”.

Il romanzo inizia con un incontro: Katrina Nichols, giornalista con lo spirito della reporter (nonché morbosamente attratta dal potenziale erotico dei banesuits), riesce finalmente ad avvicinare un Bane. Quel che sta facendo è illegale e lo sa, ma in un sistema ingiusto il giusto agisce illegalmente. Katrina, infatti, non si fida del nuovo programma sperimentale, di cui si sa così poco e di cui così poco si può venire a sapere: la Ashton Technologies, inventrice dei banesuits, non si scuce e, oltretutto, è vietato avvicinare un Bain.

L’incontro, breve e troppo poco soddisfacente, convince Katrina a fare il passo definitivo: commettere reato, essere condannata e poter così diventare un Bain. Il vero romanzo inizia qui: quando la giornalista viene inglobata dal banesuit e tutto il resto scompare, perché lei scompare per tutto il resto tranne che per un’entità: il suo Custodian, il programma che per tutto il tempo della “detenzione” non solo si occuperà del suo benessere (e malessere) fisico, ma anche di ricordarle cosa possa e non possa fare come Bane, in un elenco che – giorno dopo giorno – farà scoprire a Katrina di essere confinata in uno spazio così stretto da farle rasentare la follia.

È difficile parlare della trama di Eudeamon senza fare spoiler, e fare spoiler significherebbe rovinare al lettore il lungo viaggio – sociale e interiore – che Erika Moak ha congegnato, passo dopo passo, da intraprendere come un antropologo che – più nolente che volente – si trovi catapultato in una società distopica.

Eudeamon è una grande distopia, ma parla al presente: le tematiche che solleva già popolano la società contemporanea, rendendo Eudemonia una città in cui certi processi sono sì estremizzati, ma poco, quel tanto che basta per rendere palesi le conseguenze di alcune tendenze.

Il romanzo parla di detenzione, portando a galla il presupposto implicito alla base del sistema carcerario: l’isolamento.

Isolamento come invisibilità, come già postulato da Foucault (Sorvegliare e punire): allontanare i “diversi” (siano essi criminali, folli, malati) dalla società, recludendoli in strutture chiuse e quindi impenetrabili. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore – lontano dal pensiero. Così scopre di essere Katrina una volta rinchiusa nel banesuit: benché sia fisicamente all’interno di Eudemonia, benché cammini sugli stessi marciapiedi battuti dai liberi cittadini, lei non esiste se non come Bane da evitare per evitare di incorrere in una sanzione.

Eppure Katrina tutt’altro che libera: il Custodian monitora ogni suo movimento e pensiero, secondino personale e non corruttibile. Il banesuit diventa così il trionfo di una proposta fatta dal giurista Jeremy Bentham più di due secoli fa: il Panopticon, una struttura architettonica ideata per sorvegliare i detenuti senza che essi sappiano se sono sorvegliati o meno, con la conseguenza – utilissima per il secondino – che essi si comporteranno sempre come se fossero sorvegliati. Già applicato in 1984 di Orwell, il Panopticon subisce in Eudeamon un’ulteriore interpretazione, un’ulteriore “miglioria”: la struttura architettonica non serve più, il secondino neanche. Un individuo costantemente sorvegliato, come accade grazie al Custodian, non abbisogna più di essere isolato geograficamente: il suo corpo diventa prigione.

L’isolamento è quindi non solo soluzione sociale, ma anche punizione individuale: costretta nel banesuit, Katrina sperimenterà sulla propria pelle gli effetti dell’alienazione, e quanto l’interazione sociale compartecipi alla formazione dell’identità. Sola, completamente sola, si troverà – benché all’interno di una città – allo stato selvaggio, inerme e impaurita come una bestia, costantemente all’erta per sfuggire al dolore. La serenità della vita quotidiana, che in lei era diventata noia, si tramuta in una chimera. Rimbalzata come una pallina da ping pong da una necessità all’altra, intravederà i confini che portano alla follia.

Eudeamon parla anche d’amore, un amore primordiale confinato là dove l’individuo non è ancora un essere sociale. Arriverà inaspettato, totale e sconvolgente, così pervasivo da cambiare completamente la visione che Katrina ha del mondo.

Ciò che fa riflettere è che tale amore nasce da un solipsismo che tanto ricorda quello dell’odierno fenomeno hikikomori: l’autoisolamento estremo di alcuni individui, che rigettano il mondo esterno (al punto di non uscire più dalla propria camera) per dedicarsi completamente alle proprie passioni.

Quel che Moak propone, insomma, è un serpente che si morde la coda: anziché rileggere la contemporanea tendenza all’iper-individualizzazione, che viene spesso contrapposta ai “bei tempi in cui la gente stava tra la gente e non su internet”, decide di usare proprio questa condizione per proporre una nuova base concettuale da cui partire per ridefinire l’amore, che ammicca – voluto o non voluto? – allo Genie di goethiana memoria.

Un concetto di amore condivisibile o deprecabile? A voi il piacere di leggere e giudicare.

Erika Moak, nata in Arkansas nel 1975, laureata in storia dell’arte, è diventata famosa con il libro Eudeamon.

 

Written by Serena Bertogliatti

 

Info

Wikipedia BDSM

 

2 pensieri su ““Eudeamon” di Erika Moak: prigioni sempre più personalizzate per hikikomori in cerca d’amore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *