In mostra i cimeli di Eduardo De Filippo presso la Basilica di San Giovanni Maggiore, sino al 29 giugno, Napoli
“Napule è ‘nu paese curioso:/ è ‘nu teatro antico, sempre apierto./ Ce nasce gente ca senza cuncierto/ scenne p’ ‘e strate e sape recita” – (Eduardo De Filippo)
Sino al 29 giugno si terrà la mostra dal titolo Eduardo, luoghi, vita, opere dedicata a uno dei più grandi artisti del Novecento: Eduardo De Filippo. Sarà dunque possibile visionare la ricostruzione del camerino dell’artista e l’esposizione di molti cimeli di scena, custoditi all’interno della Basilica di San Giovanni Maggiore di Napoli. A trent’anni dalla scomparsa la città intende celebrare la memoria collettiva del grande commediografo e attore napoletano, che ha ereditato il talento dal padre Eduardo Scarpetta.
Tutti noi ricordiamo Eduardo per la sua memorabile commedia, Natale in casa Cuppiello, portata in scena al Teatro Kursaal di Napoli il 25 dicembre 1931, e che è continuamente riproposta ai telespettatori durante il periodo delle festività natalizie. Sebbene l’opera sia associata a un periodo di gioia, l’obiettivo del commediografo è di tratteggiare la realtà che lo circonda, offrendone una versione tragicomica delle relazioni intessute fra i personaggi. All’iniziale atto unico, sono stati aggiunti altri due – quello di apertura e quello conclusivo. L’impegno con cui è stato svolto questo lavoro si evince quindi dalle parole dell’artista: «Parto trigemino con una gravidanza durata quattro anni».
Con le sue opere il commediografo ha reso universale il linguaggio del teatro, arrivando a tutti gli spettatori, in particolare grazie alla produzione televisiva di Miseria e Nobiltà – andato in onda il 30 dicembre 1955 −, Filumena Marturano (1962), L’arte della commedia (1976), Gli esami non finiscono mai (1976), Cuore (1984), e molte altre. Pertanto, egli è stato capace di raggiungere la popolazione, che aveva da poco iniziato a prendere dimestichezza con il nuovo mezzo di comunicazione, utile alla formazione dell’opinione pubblica.
Se, infatti, come sostiene Jürgen Habermas: «I mezzi di comunicazione di massa non furono soltanto decisivi per gli effetti contagiosi della diffusione su scala mondiale. Anche la presenza fisica delle masse che dimostravano nelle piazze e nelle strade ha potuto sviluppare il suo impatto rivoluzionario, diversamente da quanto avveniva nel XIX e nella prima metà del XX secolo, solo nella misura in cui fu trasformata dalla televisione in una presenza ubiquitaria», lo stesso Eduardo ha contribuito allo sviluppo di questa consuetudine, con la nascita del teleteatro – la trasposizione televisiva delle sue commedie ricche d’immagini, voci, suoni, corpi, volti e gestualità in grado di emozionare −, che pian piano si è imposto grazie al contributo di altri registi come Dario Fo, Luca Ronconi – tra i fautori del neorealismo cinematografico −, Luigi Squarzina e Marco Paolini.
Il primo lavoro televisivo di Eduardo è Ditegli sempre di sì − una commedia scritta nel 1927, trasmessa l’8 gennaio 1962 − e costituisce il tentativo di adattare le sue opere al nuovo mezzo di comunicazione. In effetti, le immagini diffuse dalla televisione hanno la capacità di inviare dei contenuti che fanno parte della realtà, ciò che cambia è il modo secondo cui si riorganizza la percezione sensoriale. Seguendo perciò la ben nota definizione di Marshall McLuhan secondo cui «il mezzo è il messaggio», il commediografo avrebbe operato con due sistemi diversi – da un lato le tecniche di produzione teatrale, dall’altra quelle televisive −, ma entrambi capaci di trasmettere lo stesso contenuto: la realtà che circonda l’uomo.
Tuttavia, nessun altro attore o drammaturgo si è imposto in televisione più di quanto abbia fatto Eduardo. Infatti, nel saggio Vita di Eduardo, lo scrittore Maurizio Giammusso afferma che: «A Eduardo riuscì insomma quello che forse sarebbe piaciuto a Pirandello, quando più volte cercò di avvicinarsi al cinema americano o quando riscrisse per Max Reinhardt i Sei personaggi in cerca d’autore, immaginando di recitare egli stesso sullo schermo la parte dell’autore». L’attore è riuscito nel suo intento: giungere nelle case degli italiani, anche di quelli che non l’avevano mai visto recitare, ma del quale conoscevano la sua fama solo per sentito dire.
Negli anni Sessanta, quando ancora il commediografo doveva prendere dimestichezza con il nuovo mezzo, è stata trasmessa la commedia in tre atti Filumena Marturano – inserita nella raccolta Cantata dei giorni dispari, le opere scritte fra il 1945 e il 1973, che come suggerisce il nome rappresentano gli episodi di vita negativi, per distinguerli dai «giorni pari», in altre parole quelli fortunati e felici −, in cui lui interpreta il protagonista Domenico Soriano, mentre a Regina Bianchi è affidata la parte di Filumena, che nella versione teatrale era di Titina De Filippo. La commedia ha avuto un grandissimo successo tanto che Vittorio De Sica ne ha tratto il film Matrimonio all’italiana (1964), con la celebre interpretazione di Sofia Loren e Marcello Mastroianni.
Finanche con Filumena Marturano Eduardo mette in scena la crisi della famiglia patriarcale borghese. Infatti, la storia – ambientata a Napoli − intende riflettere sia sulla società italiana in età repubblicana sia sui modelli di comportamento della sessualità, che fanno ricordare la coraggiosa battaglia portata avanti dalla senatrice Lina Merlin per la chiusura dei bordelli: la nota Legge Merlin del 20 febbraio 1958 n.75, con cui fu abolita la prostituzione legalizzata in Italia. D’altronde la stessa Filumena – una matura signora con un passato da prostituta − rappresenta la donna che ha subito le ingiustizie da parte della collettività. Malgrado ciò non vuole arrendersi, poiché capisce che la sua dignità è importante e la difende sino all’ultimo.
«Chissà, forse un giorno la gente si scervellerà per capire, dalle mie commedie, qual era la mia concezione della vita, e non s’accorgerà che neanche io ho capito niente, che nessuno capirà mai niente e che forse capire, in fondo, è inutile», dice il commediografo che, dopo la prima fase del teatro «scarpettiano» – messo in evidenza dai canoni farseschi della tradizione – vuole distaccarsi per comprendere qualcosa che sia pertinente alla realtà e ai cambiamenti dell’epoca. Infatti, il suo lavoro è orientato a un’analisi attenta del dopoguerra, e ai temi che costituiscono parte della società postbellica napoletana.
La fortuna dell’artista non raggiunge solo l’Italia, bensì anche l’estero – la versione in inglese di Filumena Marturano (1977) diretta da Franco Zeffirelli e interpretata da Joan Plowright, moglie dell’attore e regista Laurence Oliver, ne è solo un esempio. D’altra parte Eric Bentley, uno dei più importanti critici teatrali americani, parla di lui come di un «un attore, forse il migliore attore, fratello di un grande attore e di un’attrice ancor più grande. Per chiunque arrivi in Italia con gli usuali preconcetti sul modo di recitare italiano, per chiunque abbia visto qualcuno degli artisti italiani più famosi di questi ultimi tempi o riesca oggi a cogliere una ultima eco della generazione di D’Annunzio nella voce del vecchio Ruggeri, Eduardo sul palcoscenico è una sorpresa. […] Questo suo stile è uno stile completamente differente da quello che mi aspettavo. È uno stile realistico. Si scosta ben di rado dalla vita. Niente stilizzazione. Sia nella parlata che nel gesto, tutto è imitazione della vita: il ritmo, l’accento, il tempo».
In effetti, Eduardo non riesce a scindere il teatro dalla sua vita personale, poiché per lui è impossibile compierne una divisione: il teatro è pur sempre la sua vita. Infatti, come ha affermato Enzo Biagi in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 6 marzo 1977: «Teatro significa vivere sul serio quegli che gli altri recitano male». Anche a distanza di anni le opere dell’artista sono sempre attuali e riescono a mantenere l’attenzione sugli spettatori. In fondo, per Italo Calvino l’arte è l’unico antidoto che permette all’uomo di fronteggiare il fenomeno dell’omologazione. L’arte, come quella di Eduardo De Filippo, permette di dare voce alle nostre emozioni e ai nostri ideali, e di realizzare altri mondi – forse migliori − che siamo solo in grado di immaginare.
Written by Maila Daniela Tritto