“Orlanda”, libro di Jacqueline Harpman: una tragedia senza catarsi
Siamo a Parigi, di fronte alla Gare du Nord, in un bar in attesa del treno, Aline Berger, trentacinque anni, docente di letteratura inglese, tenta di leggere l’opera di Virginia Wolf “ Orlando”, in cui l’autrice, ispirandosi ad una sua amante, immagina la trasformazione di questa in un uomo, Orlando appunto.
Il romanzo sembra annoiare la professoressa, la quale è molto pentita di aver acconsentito alla sollecitazione dei suoi studenti di affrontare la lettura della scrittrice Wolf. Il tempo pare fermarsi, siamo nella zona d’ombra del ricordo; la protagonista non sa ancora quale avventura interiore l’attende.
Sul treno si trova di fronte un bel ragazzo, ventenne, Lucien Lefebre, poco curato, ma molto virile. Inconsciamente esce dal suo corpo di donna, molto bella e femminile, e si immedesima nella fisicità di Lucien; addirittura si sente un maschio, di qui il nome “Orlanda”. La parte maschile a lungo repressa chiede un posto nella psiche di Aline, esige di essere riconosciuta, in una fusione androgina, tra elemento maschile ed elemento femminile.
Dietro c’è tutto il mito platonico dell’androginia; la sua memoria parte per un lungo viaggio, quando da ragazzina giocava con i ragazzi e si sentiva un “maschiaccio”; poi l’educazione, il primo ciclo mestruale, la voglia di piacere all’altro sesso, come è naturale che sia, l’avevano trasformata. Ma fino a che punto aveva aderito ad una convenzione, imposta dalla famiglia e dalla società? Fino a quanto aveva sacrificato sull’altare della femminilità la sua anima ribelle di uomo?
Difficile rispondere a questo quesito identitario, quel che è certo è che improvvisamente la sua anima si scinde nel suo doppio, nasce una seconda Aline che sente cambiare il suo sesso, e la sua anima va ad albergare nel corpo del giovinetto: nasce così Aline/Lucien/Orlanda. Mentre Aline viaggia comodamente seduta ed equilibrata e compunta in prima classe, Orlanda vaga tra gli scompartimenti non sapendo come saziare il cieco furore sessuale che le fa desiderare Lucien fino alla totale identificazione. Il romanzo inquieta le anime sensibili, come la mia, certa che dentro ciascuno di noi si agita un altro sé che chiede di essere rappresentato.
L’arte è uno degli strumenti che possediamo per ricomporre questa scissione che ci attraversa , per cui siamo maschere pirandelliane che ripetiamo la consuetudine della nostra immagine per non perderci nei meandri di esistenze lacerate dentro i meccanicismi della psicopatologia. Il tema del doppio è un topos letterario, che affonda le sue radici nella mitologia platonica, ma che al contempo attraversa tutta la letteratura europea da Plauto in poi; fino a che punto l’uomo è in grado di sopportare il doppio di sé? Freud afferma che bisogna ammazzare una parte di sé per essere socialmente efficienti convogliando la nostra energia nella sfera riproduttiva, altrimenti rischiamo la follia, la schizofrenia, la lacerazione tra le parti che tra loro confliggono in un’eterna lotta.
Chiunque tra noi fa inconsapevolmente questa operazione psichica cercando di far coincidere il sé con il sesso biologico, ma sappiamo che la vera sessualità sta nella testa, che è il palcoscenico dell’anima e talora ci ritroviamo a dovere fare i conti con quella parte di rimosso/rimorso di aver conculcato la nostra libertà sull’altare della convenzione sociale.
È esattamente quanto capita a Aline, la quale si trova talmente eterosessuale da non trovarsi neppure di suo gradimento,perché ha represso fino all’estremo delle sue energie psichiche quella parte maschile di cui ancora serba il ricordo. Il romanzo ha un spessore evocativo drammatico altissimo, un pathos degno della più grande tragedia greca, una tragedia però senza catarsi, ma che anzi conduce ad un epilogo tragico, tutto da scoprire.
La scrittrice entra nel glomerio dell’essere umano e conduce uno scavo psicologico tanto profondo quanto destabilizzante, attraverso riferimenti letterari raffinati e impegnativi: Wolf, Proust, Shakespeare, la fisica quantistica, che ha aperto nuovissimi orizzonti nella percezione dell’uomo e del mondo come pura energia, per cui anche i sassi sono materia viva e vegeta e tutto è panteisticamente animato, anche ciò che apparentemente è fermo.
A questo proposito consiglio vivamente il testo il Capra (premio Nobel in fisica) “Il tao della fisica”, in cui si getta un ponte tra fisica e filosofia. Anche il testo “Orlanda” di Jacqueline Harpman è profondamente filosofico/psicoanalitico: un romanzo prezioso che si muove con disinvoltura stilistica tra i turbamenti di un’anima scissa tra uomo e donna, passato e presente, realtà e finzione. Meno male che ci pensa l’arte a ricomporre gli individui, perché la follia è un baratro nel quale si può scivolare con estrema facilità.
Written by Giovanna Albi