Antonio Rezza e Flavia Mastrella: “La noia incarnita”, 300 pagine di teatro involontario, Milano

Nei giorni scorsi, presso la Feltrinelli di corso Buenos Aires di Milano, Antonio Rezza e Flavia Mastrella hanno presentato il loro libro, “La noia incarnita” , 300 pagine che descrivono il loro teatro involontario (spesso performance od arte) e totale  in cui Mastrella deve contenere l’incontenibile Rezza in una scenografia che non ha mai nulla di descrittivo.

Alle domande i due hanno risposto sempre vaghi, parziali, distratti:Forse Antonio non la sa…”, dice Flavia, “Questa la so”, ribatte Antonio. “Io penso che tu la sai“, rilancia Rezza, che risponde svogliato, a Mastrella, che è agitata e puntualizza: “Io ed Antonio non pensiamo quasi mai la stessa cosa“.

Il concetto che emerge è che “il nostro teatro è grande e difforme anche per demeriti altrui. Quindi il problema è molto più serio, non limitato alla nostra eccellenza, ma esteso anche a chi non riesce a fronteggiarci. Uno è bravo perché gli altri non ce la fanno…”, constata Antonio, che aggiunge: “Non volevo rattristare nessuno“.

I due vengono definiti, ma non sembrano apprezzarlo, “nemici della narrazione”. Flavia spiega infatti che  “a noi piace la narrazione, anche se frammentaria, ma anche noi qualcosa raccontiamo. Il pubblico ride nel momento giusto ma non sa spiegare perché”, poi, Rezza, riferendosi a Fratto X”, il loro ultimo spettacolo, al momento in scena, dice: “La narrazione ci deve stare nei teatri, ma nei bagni dei teatri!”

I due lavorano a partire dalle creazioni di Flavia, la quale inizia a pensarne di nuove non appena lo spettacolo nuovo inizia ad andare in scena.

Faccio dei lavori solo per immergermi nella corretta atmosfera. Per gFratto Xh ho fatto un lavoro fotografico sulle luci in movimento per due anni. A furia di operare così, influenzo la mia psiche e sono in grado di creare autonomamente le suggestioni che cerco. In questo caso, sono arrivata a una soluzione leggerissima che poi Mattia Vigo mi ha aiutato a realizzare, facendo un disegno di luci guardando le foto. Per gBahamuthh lavorai sui giocattoli ritrovati sulla battigia. Per gPitecush ragionai su Fontana, Burri e Robert Morris e su una allucinazione avuta in una chiesa gotica. Io rubo ma non avendo memoria, non so a chi rubo, quindi i lavori sembrano miei“. (gSono tuoi!h, è sbottato Rezza, cui l’idea di non essere l’unico, il solo, il migliore e l’avanguardia è evidentemente inconcepibile).

Quando le sculture sono pronte, Rezza le riempie con un corpo e con una storia, e poi Mastrella rifinisce. Il risultato è una somma tra performance ed arte contemporanea. gChe è poi quello che ti arricchisce di più”, scherza Rezza, ironizzando su quanto guadagna (gComunque abbiamo i soldi!!h, puntualizza poi gpotremmo avercene di più, ma li abbiamo!h)
Io creo lo spazio, dentro Antonio mette le parole e io rifinisco. E così facendo diamo frammenti di realtàh. Anche se Rezza, noto per il suo rapporto conflittuale e sfidante con il pubblico, parla di “un tipo di teatro di controspionaggio in cui veniamo continuamente fraintesi” (in g7 14 21 28h) puntualizzando (anche nel libro che si stava presentando) che glo spettatore è l’anello debole della catenah.”

È l’anello debole, ma anche la parte forse più intrigante, visto che non disdegnano di lavorare anche per la tv.
“Facciamo grande affidamento anche sulla demenza dello spettatore, se no non andremmo in televisioneh, puntualizzano infatti. gE non ci riferiamo solo a gTroppolitanih, che andava di notte, all’orario dei porcelloni. Sappiamo però come rapportarci al pubblico televisivo, e cosa succede se facciamo il pezzo dei numeri di g7 14 21 28h in tv. Portiamo cose assurde e raggiungiamo un altro pubblico rispetto a quello dei teatrih.”

Rezza e Mastrella sono ai margini della realtà teatrale anche perché tra uno spettacolo e l’altro passa un anno e mezzo, perché tutti i loro spettacoli sono sempre in cartellone (da gPitecush in avanti) e perché non ricevono contributi dallo Stato (e quindi è difficile per loro esibirsi in teatri stabili, che devono dare spazio  nel 95 percento della loro programmazione ad attori e compagnie sovvenzionate). gLo Stato ha distrutto i migliori interpreti dell’avanguardia dando loro un teatro stabile da gestire: la direzione artistica ha ammazzato l’avanguardiah, commenta Mastrella.

Il fatto di avere un repertorio, poi, è croce e delizia del duo:  “Quando avrò 97 anni, tra 50 anni, farò solo Pitecus“, ha scherzato Rezza, facendo riferimento al fatto che “Pitecus” è lo spettacolo più statico e meno fisico del repertorio, e che, quando sarà vecchio, non ce la farà più a saltare come un matto per il palco. Un a volta che avrà smesso di recitare, ha aggiunto, qualcuno potrà rifare i suoi spettacoli, ma “dovrà farli esattamente uguali, e non potrà reinterpretare niente!
“gPer noi, lo Stato deve pagare dipendenti e struttura dei teatri, ma mica la committenza dell’opera. Perché non puoi essere tranquillo mentre crei. E chi si lascia comprare andrebbe arrestato“.

In più, i due non  lavorano su uno scritto, per cui non potrebbero neppure chiedere soldi allo Stato. Che gli direbbero?

Che cosa produciamo? Niente!

 

Written by Silvia Tozzi

 

 

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