“Noi”, romanzo di Evgenij Zamjatin – recensione di Nino Fazio
Tutto si muove con l’esattezza della macchina, nessuno spazio per l’improvvisazione, per un’emozione e per tutto ciò che esuli da una vita meccanica. Leggendo “Noi” del russo Evgenij Zamjatin si ha sin dalle prime pagine l’impressione del déjà vu: un romanzo di fantascienza distopica in cui una società fittizia – ma nemmeno poi tanto – viene spacciata per vera; un protagonista apparentemente inquadrato nel grande unicum che è lo Stato Unico; una variabile impazzita che sconvolge la linearità dell’equazione-vita, trasformandola in un’esistenza di contrabbando, le cui tracce sono custodite in un prezioso, quanto compromettente, diario.
Arrivato forse a un quarto dell’opera, nella mente del lettore si insinua insistentemente un nome: Winston Smith. Ebbene sì! C’è molto, forse troppo, in comune con il ben più celebre “1984” di Orwell, il quale pare attingere a piene mani dal capolavoro che non venne mai pubblicato in URSS e che egli stesso recensì nella versione francese.
Nella città di vetro e acciaio dello Stato Unico i numeri – così vengono chiamati gli uomini – conducono meccanicamente la loro esistenza, vivendo come un essere solo, una gigantesca marionetta manovrata dal Benefattore, il garante della felicità matematicamente esatta. Come ne “La leggenda del grande inquisitore” di Dostoevskij, il binomio libertà-felicità appare impraticabile.
Il mondo tracciato dalla sapiente penna di Zamjatin è scritto a caratteri matematici, disegnato con linee rigorosamente geometriche che esaltano la perfezione del grande Stato Unico.
D-503, l’autore del diario segreto, è il costruttore dell’Integrale, la navicella che deve esportare negli altri pianeti “il benefico giogo della ragione”. Sarà la conturbante I-330 a far nascere in lui per la prima volta una coscienza individuale, diversa da quella collettiva dello Stato Unico.
Nella spietata critica del taylorismo e della scienza assoluta che sta alla base del totalitarismo sovietico, trova posto l’eterna lotta tra materialismo e simbolismo, due percezioni opposte della vita.
La scrittura dapprima rigorosamente logica diviene via via sempre più armoniosa e quasi poetica, accompagnando gli sviluppi più intimi dell’io del protagonista.
Il 2500 è una data fittizia dietro la quale si celano gli anni venti del ‘900, artificio questo che non mette al riparo l’autore dalla censura sovietica. Costretto dal regime a non scrivere, riesce nel 1932 a farsi commutare tale pena nell’esilio, per lui ben più sopportabile.
In letteratura, come nell’arte in generale, l’intertestualità è quasi impossibile da evitare e spesso nasconde solo una profonda ammirazione più che un mero plagio. Ciò che conta è il risultato finale che, nel caso di “1984”, è eccellente.
Appare però singolare come “Мы” (“Noi” in russo) possa essere finito nei meandri polverosi della letteratura, adombrato forse dal successo del romanzo orwelliano, al quale esso stesso aveva notevolmente contribuito. Un motivo in più per assaporarlo in tutta la sua autenticità.
“– Questo è insensato! È assurdo! Non capisci che ciò che voi tramate è la rivoluzione?
– Sì, la rivoluzione! Ma perché è assurdo?
– Assurdo perché la rivoluzione non può essere. Perché la nostra rivoluzione – non lo dici tu, ma lo dico io – è stata l’ultima. E non ci può essere nessun’altra rivoluzione. Lo sanno tutti.
L’aguzzo, ironico triangolo delle sopracciglia:
– Mio caro: tu sei un matematico. E in più sei un filosofo matematico: dimmi l’ultimo numero.
– Cioè? Io… io non capisco: quale ultimo numero? […] Ma, I-330, questo è assurdo. Dal momento che il numero dei numeri è infinito, quale ultimo numero vuoi da me?
– E tu quale ultima rivoluzione vuoi? Non c’è un’ultima rivoluzione, le rivoluzioni sono senza fine.”
Written by Nino Fazio
Straordinario romanzo e buona rece. Ho trovato interessante un altro racconto distopico sempre sul genere di società future poco raccomandabili (per me auspicabili), ed è: “Uno sguardo dal 2000” di tale Bellamy, scritto addirittura negli anni 80 del XIX secolo.