Album debutto per i King Howl Quartet – recensione di Daniele Mei

King Howl Quartet

s.t.

Talk About Records – 2012

Un disco che si apre con una potenza e una compattezza che è rara in un esordio.

Concepito e realizzato poi, non nella desertica Arizona o nella grigia e fredda Seattle o lungo le rive del Mississipi, ma nelle belle anche se culturalmente martoriate terre italiche e ancora più precisamente nell’ancora meno probabile Sardegna, dove i King Howl Quartet nascono, vivono e operano.

Qua il discorso geografico non ha nessun alibi però: potrebbe essere musica proveniente dalle lontane terre americane, i suoni son fatti con una cura e una professionalità davvero notevole, la personalità dei componenti della band viene fuori con classe e padronanza.

La voce di Diego Pani si sposa benissimo col contesto, facendo bene il ruolo del bluesman più incazzato e di quello più oscuro e tenebroso, il suo canto a volte ricorda anche Chris Cornell dei Soundgarden.

Niente di nuovo sotto il sole sardo sia chiaro, ma magistrale e di classe è la loro interpretazione.

Il blues in Sardegna è molto amato, coccolato e seguito, con alcuni festival ed  interpreti anche molto importanti, e un lavoro di questa qualità ne certifica la passione, nelle corde di questo popolo.

Il blues che fa bollire il sangue e ti fa ballare, quello che ti rilassa, e ti fa viaggiare, quello sporco e terreno, che non si mette problemi ad andare oltre nelle sue esplorazioni che diventano rock e anche metallo, passando per stoner e grunge: questi sono i “King Howl Quartet”.

Si parte alla grande con un pezzo che sembra costruito con mezzi da lavoro pesanti, la martellante “’Mornin” spacca, il riffone cingolato traina la batteria distruttrice e viene convogliata da un basso oleoso che rende il tutto omogeneo, Diego ci canta con foga l’alternativa decisamente più incazzosa,    per il risveglio della domenica mattina, alla “Sunday Morning” dolce e minimale dei Velvet Underground.

Il disco è come un macigno di metallo che rotola sui dischi di Humble Pie, Grand Funk Railroad, MC5, ma anche Led Zeppelin e Black Keys.

Il tutto sotto lo sguardo attento dei padri Robert Johnson, Muddy Waters, Skip James ( la bella cover in chiusura “Hard time killin’ floor blues” con alla chitarra lo splendido Francesco Piu è sua) e Blind Willie Johnson (a cui viene rubata l’altra cover “Trouble soon be over”, quasi sabbathiana nell’intro dell’interpretazione dei nostri).

“No flame”, “Drunk”, “My  lord”, sono potenti pistolettate hard con struttura e sensazioni blues, “It’s the blues, Baby” è il tipo di pezzo che ho sempre sentito nella mia Piazza Europa a Narcao.

Poi arriva lei, la sognante, “fumosa”“Nocturne” e accendi il cannone, inizia il viaggio.

“Bleedin’ mouth” è un pugno in faccia, una corsa guardia e ladri, hard rock pesante, mentre l’ululato  della conclusiva Wolfman’ Calling richiama a casa i lupacchiotti a suon di hard boogie e con un finale da vero gruppo trash metal.

Bravi!

 

RECODM004

Written by Daniele Mei

 

Info:

www.kinghowl.com

www.facebook.com/kinghowl

 

Video Mornin’ prodotto da Shibuya

 

Tracklist:

1 – Mornin’
2 – No Flame
3 – John the Rev.
4 – Drunk
5 – Trouble soon be over
6 – My lord
7 – It’s the blues, baby!
8 – Nocturne
9 – Bleedin’ mouth
10 – Hard Time killing floor
11 – Wolfman’s Calling

 

2 pensieri su “Album debutto per i King Howl Quartet – recensione di Daniele Mei

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