"The Academy is over", Gabriele Casale e Luca Ferullo, dal 3 dicembre al 10 gennaio 2012, Palazzo Zenobio a Venezia

. THE ACADEMY IS OVER .

“MEMORIES FROM UNDERGROUND & STORIES FROM OVERGROUND”

GABRIELE CASALE  LUCA FERULLO

 A cura di Michela Di Stefano

3 dicembre – 10 gennaio – Inaugurazione 3 dicembre ore 15.30

La fine dell’accademia, come quella di ogni percorso formativo, rappresenta il termine di un ciclo e l’entrata in un mondo che spesso richiede grande determinazione in cambio di nessun tipo di assicurazione. Non c’è alcun segnale che suggerisca la direzione migliore per arrivare alla strada della propria realizzazione. Bisogna rischiare. Anche di sbagliare. Ciò che importa è avanzare, passo dopo passo, verso quel mondo che si vorrebbe desiderare reale.

Tracce di un viaggio alla ricerca di questo percorso sono le opere di Gabriele Casale e Luca Ferullo, giovani artisti che raccontano orizzonti possibili e dimensioni mutevoli di mondi immaginati e vissuti. Testimonianze di chi, oltre a voler scoprire ciò che c’è e ricordarne il perché, cerca di costruire ogni giorno, con passione, quel sogno di libertà senza fine.

 … ci sono dei luoghi, dentro di noi, nei quali convivono vicine, una accanto all’altra, tutte le esperienze che una vita intera ha raccolto lungo il suo percorso … se si potesse intraprendere un viaggio in queste regioni della nostra anima, esse ci apparirebbero probabilmente come le immagini che Gabriele Casale ci presenta: lastricate di frammenti diversi per forma e colore, delineate da particolari figurativi che, seppur definiti singolarmente, esprimono un vago inventario di elementi anatomici, cromatici e sinestetici diversi.

 … le immagini che Luca Ferullo ci presenta sono cartoline da un viaggio alla scoperta della forma originale del mondo. Una terra che non si riduce ad essere sferica secondo l’ottica scientifica o piatta secondo l’umana vista, ma emerge con una propria forma vitale e metamorfica. Tra le sue fessure prolificano e crescono case di coralli e cristalli, arroccamenti di pietre dure colorate, incastonate tra le fenditure della crosta terrestre. In questi angoli di cosmo, lo spazio si presenta interno ed autocostruito.   

Luca Ferullo: Stories From Overground

                                                                “Sognai un mondo di cristallo, a quei tempi: non lo sognai,

                                                                  lo vidi, un’indistruttibile gelida primavera di quarzo.

                                                                  Crescevano poliedri alti come montagne, diafani: per 

                                                                  raggiungerli mi avventavo su pareti lisce come specchi;

                                                                  scivolavo indietro; m’afferravo agli spigoli, ferendomi;    

                                                                  correvo lungo perimetri ingannevoli, e ad ogni svolta era  

                                                                  una diversa luce, irradiante, che la montagna conteneva.”

                                                Italo Calvino, La memoria del mondo

 Si narra che un tempo l’aspetto della terra fosse molto diverso da quello che noi vediamo oggi. Essa era un agglomerato grezzo di roccia e metalli, condensati dal raffreddamento dell’antico magma incandescente. Un composto denso di prismi e solidi di vetro, formati da una pasta di molecole varie che ha invaso e cementato la struttura del mondo.

L’uomo iniziò così a chiamare ‘terra’ quello strato su cui camminava alla conquista della vita, sul quale vi costruiva la sua casa e nel quale coltivava il suo terreno; si rese presto conto che il suolo su cui era ospite non era altro che il sottile involucro esterno di un pianeta immenso, del quale era difficile indovinarne la stessa forma. Percorrendolo ci s’imbatteva infatti in colline ed avvallamenti, gole ed altipiani, promontori, baie ed insenature. E poi terra e ancora terra.

Le immagini che Luca Ferullo ci presenta sono cartoline da un viaggio alla scoperta della forma originale del mondo. Una terra che non si riduce ad essere sferica secondo l’ottica scientifica o piatta secondo l’umana vista, ma emerge con una propria forma vitale e metamorfica. Tra le sue fessure prolificano e crescono case di coralli e cristalli, arroccamenti di pietre dure colorate, incastonate tra le fenditure della crosta terrestre. In questi angoli di cosmo, lo spazio si presenta interno ed autocostruito, governato da un presente assoluto che sospende il paesaggio in una pausa tra cielo e terra. Forme biomorfiche simili a lune nuotano nell’atmosfera celeste come isole sperdute in un oceano d’aria.

Il disordine geometrico con il quale Luca reinventa il mondo, presenta il profilo urbano di una metropoli fantastica che vive e respira, in bilico tra volo spericolato e crollo rovinoso.

Nessun essere vivente sembra abitarla eppure le finestrelle luminose degli edifici colorati sembrano osservarci tanto quanto noi scrutiamo al loro interno. “Tutto ciò che brilla vede”, afferma Bachelard ed infatti le minuscole luci che illuminano le finestre divengono gli occhi della casa, primo mondo che protegge l’essere umano da tutto ciò che esiste come sconosciuto al di fuori. La forma diviene così, attraverso il segno di Luca, il simbolo stesso in cui si materializza la vita. Essa è animata in sé stessa, vigile su tutto ciò che la circonda.

Ferullo attraverso le sue opere sembra raccontarci che una semplice immagine, se inventata, può aprire un mondo completamente nuovo. Al medesimo tempo il mondo può rivelarsi infinitamente vario se osservato dalle finestre del nostro immaginario.

Gabriele Casale: Memories From Underground

                                                                                    “Vi sono nella memoria di ogni uomo certe cose                 

                                                                                              che non a tutti confida, ma solamente agli amici.

                                                                                              Ve ne sono anche certe altre che egli non confida      

                                                                                              nemmeno agli amici,  ma solamente a se stesso, e                

                                                                                              anche a se stesso le confida in gran segreto.

                                                                                              Ma ve ne sono, infine, delle altre ancora, che

                                                                                              l’uomo ha paura di confidare persino a sé

                                                                                              medesimo.”

                                                                              Dostoevskiy, Memorie dal sottosuolo

 Ci sono dei luoghi, dentro di noi, nei quali convivono vicine, una accanto all’altra, tutte le esperienze che una vita intera ha raccolto lungo il suo percorso. Lì si nascondono, frammentate, le estati magiche della giovinezza, i viaggi solitari della maturità, le sacre promesse non mantenute di quando si credeva all’eternità di un amore. Lì si trovano, senza un ordine logico e consequenziale, i filamenti di un passato remoto che il tempo, con il suo corso, ha sedimentato nelle zone buie della nostra interiorità. Se si potesse intraprendere un viaggio in queste regioni della nostra anima, esse ci apparirebbero probabilmente come le immagini che Gabriele Casale ci presenta: lastricate di frammenti diversi per forma e colore, delineate da particolari figurativi che, seppur definiti singolarmente, esprimono un vago inventario di elementi anatomici, cromatici e sinestetici diversi. Questi mosaici, composti nel segreto della nostra intimità, sembrano testimoniare ciò che scriveva il poeta russo Brodskij:“La memoria ha in comune con l’arte la tendenza a selezionare, il gusto per il dettaglio”; lo stesso diletto che ci procura il ricordo di un particolare di un volto, la sfumatura tra le pieghe di un sorriso, la semplicità di uno sguardo che sembrava antico quanto il mondo.

Ma ricordare vuol dire innanzitutto dimenticare il presente, prendere il largo dalla nostra indaffarata vita quotidiana per addentrarci nelle terre selvagge dell’oblio. Le immagini che affiorano dagli strati profondi del mare inconscio, sembrano essere governate da una corrente puramente casuale; la stessa con la quale Gabriele, dopo aver strappato in tanti pezzi i disegni eseguiti nel periodo accademico, ha deciso di assemblarli nelle composizioni dei collage presenti in mostra. Tale gesto di selezione accidentale dei lacerti desunti dai vecchi disegni sembra voler far emergere, attraverso il rituale di una dimenticanza razionale, un recupero istintivo della propria creatività. Stracciare i disegni dell’accademia diventa un gesto audace di chi, opponendosi ad una creatività dettata ed imparata, decide di dare spazio alla propria irripetibile inventività. Dimenticando un modo esteticamente corretto di fare arte, Casale ci ricorda che l’immaginazione compare quando si ritrova un contatto più giocoso e semplice con le cose.

Il quadro d’insieme diviene così la topografia di un passato sezionato e ricucito in una nuova trama figurativa del mondo, che mostra quello che Rivière indicava come delle “formazioni sottomarine che il pensiero cosciente incontra ad un tratto e contro cui si squarcia. Un mondo sommerso sul quale non possiamo avere se non scarse e casuali informazioni”. Andare alla ricerca di questa immensità all’interno di noi stessi si traduce, in maniera direttamente proporzionale, ad un’intensità del sentire ciò che è fuori. La grandezza, infatti, progredisce nel mondo nella misura in cui l’intimità si approfondisce.

La mostra resterà aperta dal 3 Dicembre al 10 Gennaio, tutti i giorni dalle 10 alle 18 lunedì chiuso.

Info cazenobioagostinelli@hotmail.it Palazzo Zenobio, fondamenta del soccorso, Dorsoduro 2596 Venezia, Italia

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