"Cane mangia cane" di Edward Bunker – recensione di Alessandro Vigliani

Strana storia quella di certi autori americani. Finiscono in galera e invece di leggere la bibbia, cominciare a pregare per la propria anima, iniziano a scrivere, a collezionare romanzi su romanzi e a trovare contratti con case editrici interessate a certi manoscritti che poi si rivelano capolavori.

Signori, è il caso di un certo Chessman finito poi in una camera a gas o di  Edward Bunker che avendo avuto maggior fortuna, dal carcere di San Quentin c’esce non solo vivo ma da scrittore, pubblica parecchi libri e finisce per un cameo davanti alla telecamera di Quentin Tarantino (Mr. Blue ne Le Iene).

I libri di Bunker? Tanto per essere chiari: tutti belli e non ha mai fatto un corso di scrittura né ne ha mai sentito il bisogno.

Bunker scrive e scrive bene, non fa pensierini da quattro parole, le sue storie sono avvincenti e ti prendono al centro dello stomaco. In Italia se non c’è di mezzo la televisione che vuole produrre un film su Vallanzasca rendendolo un eroe o un santo, certe cose non sono possibili. Non si bussa mai alla porta di un carcere per sentire se qualcuno ha qualcosa da dire, se una storia può essere valida e meritevole di pubblicazione.

Sia dato atto agli Usa di questo. Per questo ci meritiamo mille libri di barzellette e una rivisitazione oscena di “Amici miei” mentre gli Usa si tengono stretti i loro Bunker, i loro Chessman (nonostante l’abbiano gasato) con una produzione “maledetta” fatta di tutto quello che nessuno saprà mai raccontarvi in modo duro e diretto, senza fronzoli, come i succitati autori.

Cane mangia cane” è un romanzo che fila via che è un piacere.

Scritto da Edward Bunker, edito in Italia dalla ottima collana Stile Libero Noir di Einaudi che se per la produzione italiana vacilla un po’, per quella internazionale ci porta parecchie soddisfazioni.

Cane mangia cane, 330 pagine, traduzione di Emanuela Turchetti, è la storia di tre uomini legati da un destino comune quello della malavita. Mad Dog, Diesel e Troy Cameron sono cresciuti insieme, insieme ne hanno viste di tutti i colori e insieme, in un legame indissolubile, vivono fin dai tempi del riformatorio.

I personaggi sono ben delineati, all’interno della narrazione hanno vita propria, prendono possesso della penna dell’autore e la guidano nel punto esatto in cui le loro vite avranno la svolta, il cambiamento, che nei romanzi è la prova più difficile perché è proprio in quel punto che il lettore si aspetta un cambio di ritmo.

Edward Bunker non delude, non potrebbe essere altrimenti.

Troppo vero è ciò che scrive, tanti gli anni passati in prigione in cui invece di perdersi ha scoperto la sua vena artistica e l’ha messa a frutto.

E quando una società è libera dalle logiche di certi salottini radical chic, capita che personaggi come Edward Bunker, scomodi, politicamente scorretti, pieni di precedenti da riempire un’enciclopedia, possano trovare spazio oltre che nelle librerie, al cinema, scrivere sceneggiature e diventare tra gli autori, SCRITTORI, più apprezzati del ventesimo secolo.

Chessman non solo non aveva fatto un corso di scrittura narrativa, ma non aveva nemmeno conseguito il diploma di quinto superiore.

Edward Bunker non aveva avuto tempo di studiare granché, in carcere c’era finito presto, a diciassette anni, e aveva continuato così per tanto tempo.

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