"Generazione di Perplessi" di Roberto Saporito recensito da Fabrizio Fulio Bragoni

Lui passeggia per le strade della città con una nuova consapevolezza, una piacevole pesantezza nella tasca. Lui non lo sa ancora se userà la pistola e contro chi, ma il solo possederla e toccarla dà un nuovo senso alle giornate, un sommare ore alle ore senza il fastidio del loro lento scorrere. E quando il senso va smarrito e lo si ritrova con il semplice acquisto di una pistola, quel semplice gesto si trasforma in un piccolo miracolo.(1)

Scopertosi schiavo delle sue capacità e competenze, un giovane broker decide di sottrarsi alla routine, ma torna, prevedibilmente, all’ovile. Vittima di blocco dello scrittore “criticamente indotto” un romanziere decide di risolvere il problema alla radice. Uno squattrinato tossicodipendente ha l’occasione di rimettersi in carreggiata. Un uomo dolorosamente lucido si trova posto di fronte alla sua “data di scadenza”. Le indagini di polizia fanno luce su un vecchio caso di scomparsa dai risvolti inaspettatamente simbolici. Uno scrittore esordiente decide di porre rimedio alla scarsa attenzione accordatagli dagli editori ai quali ha sottoposto la sua opera. Vittima del mercato editoriale, l’autore di alcuni pregevoli romanzi di formazione decide di prepararsi alla stesura di un noir “divenendo” serial killer. Un misterioso assassino, mosso da moventi impenetrabili, si aggira per l’Europa…

Sono queste, tra le altre, le situazioni tratteggiate da Roberto Saporito in Generazione di Perplessi, raccolta di racconti in uscita in questi giorni per Edizioni della Sera. E se il titolo sembra alludere a una di quelle generalizzazioni dal gusto sociologico tanto care ai media, il contenuto dell’antologia è piuttosto l’opposto: una collezione -nel senso benjaminiano del termine- di esistenze, osservate sul punto di una svolta; un campionario di confronti, incontri e scontri con il reale. Un carosello di personaggi credibili, comuni, persino giustificabili nella loro incapacità di instaurare un rapporto “normale” e “pacifico” con l’esistente. Nella maggior parte dei casi, il conflitto che oppone i soggetti alla realtà oggettiva, non è dovuto a turbe o traumi strettamente personali: no, il gesto violento e liberatorio dei protagonisti è generalmente dettato dal confronto con un mondo esterno “mal costruito” e tutt’altro che “civile” e “pacifico”. Tanto che ai personaggi, solo leggermente più vessati di tutti noi, e portati appena oltre il limite, non resta che scegliere la contrapposizione violenta o “rifugiarsi” nell’autolesionismo. E così saltano fuori pistole, bastoni, seghe e persino cazzuola, calce e mattoni: tutte armi necessarie a sottrarsi a una situazione di scacco esistenziale; a tentare (invano) la soluzione di una serie di contraddizioni irrisolvibili.

Secondo la lezione della grande tradizione del noir francese -genere con il quale Saporito si è confrontato, e con ottimi risultati, nel riuscito Carenze di Futuro(2)-, l’autore rilegge il lascito esistenzialista in chiave palesemente negativa: i protagonisti dei racconti sono, sì, personaggi colti al momento di una scelta, ma una scelta fittizia, del tutto priva di alternative; in accordo con la visione romantico-schellinghiana del “tragico”, nei racconti di Generazione di perplessi, il conflitto tra uomo e mondo, tra soggetto e destino, si risolve necessariamente con la sconfitta del singolo, che può a tutt’al più “abbracciare liberamente” la “necessità naturale”.
Ma è il quadro generale ad essere cambiato: in un mondo sempre più pronto a rinunciare all’illusione dell’esistenza di un pur minimo piano teleologico, e preso atto della più totale insignificanza del destino, la “libera adesione” ha perso ogni valore positivo e consolatorio. E poi abbiamo imparato -o avremmo dovuto imparare- a riconoscere, dietro la cosiddetta “necessità esteriore”, la “cultura” -intesa come insieme delle costruzioni dell’umano, sociali o politiche- e non la natura “data” e “immutabile”.

Così, nei racconti di Generazione di Perplessi, le “vere” potenze esterne incombenti, estranee, minacciose, sono legate al “mondo dell’uomo” e alla società contemporanea – quest’ultima osservata attraverso il filtro del miglior post-modernismo internazionale. Tracce dell’Houellbecq di Estensione del dominio della lotta, del De Lillo di Rumore Bianco(3) -lettore (o “ri-lettore”) del Benjamin dei Passages– di David Foster Wallace, del Brett Easton Ellis degli stravizi e dell’Echenoz di Je m’en vais e Un An, emergono dalla pagina, ma è una questione di tematiche e punti di vista: non c’è “maniera” né tentativo d’imitazione, nello stile di Saporito, e la sua voce, nel tracciare questo quadro sconsolante, questo insieme di situazioni di fronte alle quali non si può che rimanere (eufemisticamente) “perplessi”, è chiarissima, originale, ricca di piccoli (ma preziosi) accorgimenti linguistico-narrativi(4), forte, affilata, più netta che mai.

(1)Roberto Saporito, Lui voleva, in Generazione di perplessi, Edizioni della Sera, Roma 2011, p. 77.
(2)Roberto Saporito, Carenze di Futuro, Zona editore, Arezzo 2009.
(3) Si veda per esempio il racconto Ma vai a lavorare, nel quale l’autore, tratteggiando una società nella quale non si produce più, ma si continua e si deve continuare a consumare, parla di un “Lingotto” che non è più fabbrica, “ma mecca del consumismo, luogo di consumo sfrenato”.
(4) Si noti, per esempio, il simbolico potenziamento della volontà soggettiva ottenuto attraverso la ripetizione del “Lui” in contrapposizione a “Loro” nel racconto Lui voleva…

– La recensione in originale è stata pubblicata da “Non solo noir”

http://hotmag.me/nonsolonoir/2011/05/31/roberto-saporito-generazione-di-perplessi/

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