“Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini: è sempre una questione di ruolo?

Caro Pier Paolo Pasolini, insieme al tuo Ragazzi di vita, sto leggendo, in luoghi e tempi necessariamente separati, Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin. I tuoi ragazzi, rispetto ai suoi, sono più incivili, maleducati, noiosi. Non ce la faccio a provare per loro la stessa empatia che sento per quelli di Alfred. Penso a quel Franz Biberkopf e al suo amico-nemico Reinhold, i quali non sono più virtuosi dei tuoi ragazzini, ma più belli da narrare e da leggere. Hanno però un’energia distruttiva che i tuoi se la scordano.

Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini
Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini

Il tuo libro Ragazzi di vita lo leggo senza (quasi mai) reagire granché, senza mai emozionarmi più di tanto. Io… Io no! No! Non posso scrivere questo! Non ha senso. Se proprio non voglio scrivere nulla, se non ho niente da dire, è meglio che taccia e che rinunci a… Ma perché? Perché devo rinunciare a…? È un mio diritto, nonché un mio dovere di lettore: o almeno un mezzo dovere. Perché mezzo? Mica me l’ha prescritto il dottore! Me lo prescrive la mia necessità di reagire davanti a ogni opera d’arte. E qui si potrebbe discutere su ‘sta folle banalità.

Il tuo romanzo Ragazzi di vita è un’opera d’arte. La prima ovvietà che mi sorge in mente è: certo! Pier Paolo Pasolini: sei un amico che avrei avuto caro, oltre che un artista. Sei anche un genio? Non so rispondere all’allucinata domanda. Il genio è uno spirito protettore che veglia su noi umani, sulle congreghe di persone, sui luoghi. Genius deriva da gignere, generare. Il genio ha la sua vis, è violento, distruttore, ri-creatore. PPP tu sei tutto questo. Mi pongo talora delle domande assurde.

Pier Paolo Pasolini, avresti oggi 103 anni e mezzo, otto mesi in meno di Edgar Morin. Potresti essere ancora un genio vivo! Non mi pare che tu avessi dei vizi alimentari, che bevessi o mangiassi in modo smisurato. Facevi sport, giocavi a pallone. Eri così snello. Con una buona dose di fortuna avresti potuto essere ancora tra noi, a dire la tua. Non riesco a immaginarti con una demenza senile o richiuso in te stesso, taciturno. Che diresti oggi di ‘sti attorucoli d’avanspettacolo che gestiscono la res publica? Quali Scritti corsari scriveresti? Ci pensi? Provo pietà per il tuo spettro! Una vera e sacrosanta pietas!

La foto che Deborah Beer t’ha fatto e che è stata messa a inizio libro è la tua vera immagine. Stai fissando non il fotografo ma il mondo che ti sta davanti. Lo sguardo è serio, paziente, riflessivo.

“‘Vaffan…,’ gli rispose Alvaro, con la sua faccia piena d’ossa, che pareva tutta ammaccata, e un capoccione che se un pidocchio ci avesse voluto fare un giro intorno sarebbe morto di vecchiaia.” – la tua ironia beffa anche a te, vero? E ti fa tanto male. La tua faccia non è granché più regolare, da quel punto di vista. È bruttina quanto intrigante. Pare quasi la mia. Comincio, ma smetto quasi subito, a segnare tutti i termini dialettali che incontro, tipo: “locchi locchi”, “pischello”, “scucchia sulla spalletta”, “correntino”, “cannofiena”: sarebbe una partita persa. Quei termini stanno covati nella tua opera. Ed è lì che andranno cercati ogni volta. Due pagine fitte richiederebbero, o tre o quattro: “perché nun sannamo a fa’ er bagno pure noi?” – perché l’acqua è bagnata e potrebbe pure pulircvi er c…! – “e era vuoto, senza stabilimenti, senza barche, senza bagnanti, e a destra era tutto irto di gru, antenne e ciminiere…”: è arrivato il fatale progresso! E la cosa te rode proprio, PPP!

Tu, Pier Paolo Pasolini, accetti di scrivere “mezzo incazzato”, ma ti rifiuti o, immagino, qualcuno t’ha indotto a evitare di scrivere le parolacce comprese nelle comune espressioni di quella gentaglia: “vaffan…”, “star lì a rompere il c…”, “Che te rode er c…” – quindi? – “‘E annamoce,’ fece con la bocca storta e alzando le spalle il Riccetto. Che è il giovane protagonista del tuo romanzo corale, polifonico e disossato. E “per primo partì il Monnezza…” – nomen che potrebbe aver ispirato quei celebri film interpretati da Tomas Milian.

E qualche insulto di basso stile ti va scappando: “a fijo de na paragula!” – e meno male che l’ha partorito, così l’hai potuto infilare nel racconto! L’episodio più bello è quello della rondine, ovvio: “… che stava affogando. Sbatteva le ali, zompava. Il Riccetto era in ginocchioni sull’orlo della barca, tutto proteso in avanti. ‘A stronzo, nun vedi che ce fai rovescià?’ gli disse Agnolo…” – lo sa bene, il Riccetto, ma per lui vale più salvare quell’innocente.

Riccetto sei tu, PPP. Non tutti la pensano come voi due: “‘E che l’hai sarvata a ffà,’ gli disse Marcello, ‘era così bello vedella che se moriva!’” – La società dello spettacolo, direbbe Guy Debord. Sto pensando all’incomunicabilità dei borghesi, così ben descritta nei film di Michelangelo Antonioni. Sta’ a sentì: “Aòh, a moro, bada ch’io nun t’ho capito capito, sa! Doveressi da esse così gentile da ricomincià daccapo, sempre si nun te dispiace, eh!”.

A pagina 34 de Ragazzi di vita scorgo un guizzo intellettuale, che avrebbe fatto alzare dalla seggia Umberto Eco e Riccardo Bacchelli e pure Fabio Fazio: “Per intanto lui e i compagni suoi dormivano in una grotta già su una scarpata del Tevere, a Testaccio…” – il pleonasmo debilita anche te, digli di smettere. O di continuare: è tutta letteratura! Non diciamo forse: lì c’è?

Pagina 36: “Il Riccetto se n’era uscito presto di casa, tutto linto e pinto e con la saccoccia di dietro dei calzoni bella gonfia.” – pronto per una nuova giornata di là… di lazzaronaggine. E questa gentildonna infuriata che fa, mio PPP?: “‘Ma va’ mmorì ammazzato’ sibilò lei, imbestialita, greve peggio d’un facchino del mattatoio.” – una da spusà e da farce fa’ na dozzina de’ marmocchi! Non sempre quel tipo, Marcello, è sereno: “Era tutto ammoppito, quasi gli veniva da piagne, si sfogava a dare calci ai serci.” – anche le sue parole sono ben ispirate (e male inspirate): “Me fa na rabbia che je cecherebbe tre occhi co du dita, a sto fijo de na mignotta!” – è uno che non te la manda mica a dire, lui! E, tanto per gradire, un paio di versi danteschi a pagina 76. E pure due versetti classici de’ Roma, poco più in basso, resa celebre da tanti che nun me va di dirli, quei nomi. Anche perché sento l’esigenza di segnalare un caso di body shaming a pagina 81, body che?: “‘Che, nun ce lo sai,’ intervenne brillante il Caciotta, ‘che pe fassi venì li ricci quello se fa scureggià in faccia?” – nun ce niente da fa’, più se va in basso e più la metafora s’infila tra le tu chiappe.

Oh, me stavo a scordà: non sempre, ma spesso, ogni capitolo presenta un esergo (vuoi di un enorme russo, vuoi di un enorme romano de’ Romano, vuoi da chi te pare) che pare un acte gratuit, come direbbe, fischiettando, Antonin Artaud. Segnalo ora (è cogente per me farlo) la discussione teologica che colgo a pagina 127. Il mistero della Madonna a me me fà… al Riccetto no, egli lascia aperte tutte le ipotesi. Bravo Riccè! Acuto è il tuo accenno a “li fiji artificiali co le provette”.

Altro miracolo: “Il Lanzetta, preso dall’entusiasmo, continuò senza più nessuno scrupolo come se ragionasse al Bar della Pugnalata, pisciando ironia dagli occhi.” – questa me l’infilo sì nella sacca, non si sa mai che possa servì. Segnalò, en passant, una condanna a tre anni a Riccetto: “per imparargli la morale” – né si poteva impedirgli di fare quello che ha fatto né evitare di punirlo. La giustizia è il destino che si accanisce sui miserabili. Non bisogna però soffrire più di quel che serve: è la vita. Un bel po’ di tempo dopo, egli “si tolse il pettinino dalla tasca di dietro dei calzoni, lo bagnò sotto la fontanella e cominciò a pettinarsi, bello come Cleopatra.” – è, quello, uno che piaciucchia!

Il tuo romanzo, Pier Paolo Pasolini, è bollente! Anche perché: “Faceva un caldo che non era scirocco e non era arsura, ma era soltanto caldo.” – tanto che “le pisciate anche appena fatte, che rigavano il marciapiede, erano secche; i mucchi d’immondezza si sfregolavano abbrustoliti e senza più odore.” – un eden de noantri! E quella sera me gettai sul lettuccio col magone per il litigio fra Alduccio e la madre – temevo che la cosa finisse male. Ma tutto è bene quel che finisce in un qualche modo. Pure il capitolo conclusivo, con tutto lo stress che procura, è digeribile. Nulla finisce del tutto, per fortuna, ché la miseria, se finisce, so’ c… di noi umani!

Non so che succederà, nella realtà imminente. Dovrei forse leggere Una vita violenta, che già tengo. Mo’ vediamo. Per fortuna ne ho tanti altri da ingurgitare, che me posso pure scordà. Ora sono stanco, come puoi immaginare. M’hai sfiatato, PPP. Anche da me fa caldo. E c’ho l’arsura. Alcuni fini tuoi ho individuato (non tutti, me sa). Esaltare la povertà come valore da salvare, finché dura almeno. Per te quei manigoldi erano degli eroici santarelli. Anche chi t’ha fatto fuori? Chi ha poi calpestato il tuo corpo con quell’auto? PPP: tu cerchi d’inoculare al lettore la tua stessa pietas. Che preghi insieme a te, se gli va. Tu li vuoi esaltare, quei demonietti, esibire alcune loro, pur celate, bellezze. Pure le loro luci vorresti salvà. Non li vuoi proprio santificare, ma, questo sì, li vuoi salvare dall’entropia culturale. Che ne sarà di quei savi pazzerelli, così originalmente squilibrati, quando dovranno adeguarsi alla normalità. Forse è proprio da quella che li vuoi a tutti i costi salvà. Tu sei un docente, un educatore. Anche tu, come tanti, vuoi far sopravvivere ogni forma di cultura, ché, hai visto mai?, potrà sempre servire.

Dal 2014, anno in cui è morta mia madre, anch’io me so’ messo a studià er mio dialetto, per cui ora mi sento un arşân tésta quêdra, con tutti gli accenti e le cediglie che è possibile infilare nella scrittura. C’è chi dice che il dialetto non debba essere mai scritto, ché perderebbe in tal modo la sua veridicità. Mi oppongo! Chi lo vuol solamente dire è libero di farlo. Chi lo vuol scrivere: Sergio Subazzoli, Savino Rabotti, Denis Ferretti e tanti altri: ecco, devono essere ammirati per il loro ardore culturale. L’italiano era un’onda fluida finché, intorno al 960 d. C. uscì quel materico Placito Capuano, che regolava una disputa fra proprietari terrieri. Verba volant! E carta canta, villano dorme! La scrittura è un atto così umano che può diventare sacro.

Pier Paolo Pasolini citazioni Ragazzi di vita
Pier Paolo Pasolini citazioni Ragazzi di vita

Non esistono, forse, opere più diverse del tuo romanzo Ragazzi di vita, de Il ponte di San Luis Rey di Thornton Wilder e de La riva delle Sirti di Julien Gracq, oltre che del citato capolavoro di Alfred. Ma per capire meglio l’una, è bene leggere l’altra, l’altra ancora e poi pure quell’altra. L’uomo è lo stesso dappertutto, diceva Agatha Christie. Perché, non esistono stirpi elette? E da chi? Sono elezioni truccate! Questo non vuol dire che gli uomini siano tutti uguali, ma assai simili sì, dall’Africa Equatoriale alla Norvegia, alla Lapponia, al Borneo, ai deserti dell’Australia. Questa è la nostra speranza: che è scientifica al 90%. E non al 100%. ché non ne esistono di tanto perfette. Come hanno dimostrato (in modo imperfetto) sia Bertrand Russell che Kurt Godel. Anche questi due avrebbero potuto far parte della combriccola di quei tuoi amati Ragazzi di vita!

Cosa occorre scrivere? Ecco una domanda che nessuno scrittore dovrebbe mai porsi. Semmai, quando avrò concluso finalmente ‘sto papiello, dirò: beh, era ora! Prendiamo ora sette od otto autorucoli a caso, Marcel Proust, Fëdor Dostoevskji, Lev Tolstòj, Gustave Flaubert, Honoré de Balzac, ma soprattutto Victor Hugo e Émile Zola: questi ultimi due sono fenomenali, capaci come sono d’affrescare pareti così immense, che uno resta, come dire, imbarlê, a bóca avîrta…! ma come caspita hanno fatto? beh, mistero! Quelli sono tutti quanti dei ragazzi di vita eterna!
Pensa a Jorge Luis Borges e a Franz Kafka, e pure a Dino Campana. Dino scrisse i suoi Canti orfici e li portò a leggere a un tipo, il quale perse poi il manoscritto. Li riscrisse e la seconda volta uscì un capolavoro, e lo si scoprì quando lo si poté confrontare con la ritrovata prima versione, che non so quanto avesse a che fare con l’immaginazione d’un Ludovico Ariosto o, e ora mi trema un pochetto la manina che tiene la matitina, che non uso da anni, il ditino sul tasto: d’un fuggitivo Dante.

Non amo le classifiche, non so conferire medaglie. M’interessa rilevare le differenze ontologiche. Franz, con tutta la sua buona volontà, e Jorge Luis, con tutta la sua cultura, non sarebbero stati in grado di scrivere I Tre Moschettieri, figuriamoci Vent’anni dopo, ma nemmeno un qualsiasi altro romanzo similmente variegato. Nemmeno Giuseppe Ungaretti e Eugenio Montale: e anch’io, come te, PPP, d’ora in poi abolirò le d eufonetiche! E nemmeno Cesare Pavese o altri, ci sarebbero riusciti, forse. Il forse è l’avverbio che ti para er culo ogni volta che serve. Si tratta di diversa abilità, non di misura di grandezza. Franz e Jorge erano diversamente abili. Ogni genio lo è. Jorge non voleva/poteva scrivere di ‘sti ragazzi, tu non volevi/potevi scrivere del suo Aleph. Né il napoleonico Victor né l’anti napoleonico Lev (chissà se nell’al di là degli artisti stanno discutendo ancora di quel caporalaccio?!) sarebbero stati in grado di scrivere Il messaggio dell’imperatore. Tot i cajòun a gh’an la so’ pasiòun! E al só carîşma! È come se mettessero Totò Schillaci in porta, e magari li para pure i tiri rasoterra, ma quelli che si spiaccicano all’incrocio dei pali manco li sa vedè. È come chiedere a Fabio Cudicini, il Ragno Nero, di districarsi in area di rigore, che, prima che riesca a scorgere dove sta er pallone, e quale piede gli è prossimo, insomma, nel frattempo il primo Roberto Rosato o Gilberto Noletti che passa glielo va a confiscà!…

Tanti sono gli autori, tante le opere scritte. Ne posseggo circa duecento di cogenti, da leggere. Poi ci sono le urgenti. Le essenziali. Le importanti. Le intriganti. Le notevoli. Le utili. Salto da una all’altra. Ora tocca a te, ora a Ralph Ellison, col suo Uomo invisibile. Ci sono autori, medi, piccoli o grossi, che prima devono vivere e soltanto dopo scrivere, e sanguìnare: Ernest Hemingway, Jack Kerouac and Henry Miller: son tipi strani, e più son strani e meglio è. E poi ci sono Louis-Ferdinand Celine, William Seward Burroughs, James Joyce, e mille altri, che non si capisce granché su quanto scrivono, ma questo non importa, appunto, un granché, ché essi sono loro e poc’altro conta. E che dire poi di Virginia Woolf? E di William Faulkner?

Anch’io sono in buona parte me. È sempre una questione di ruolo, adios, amigo! Hasta la vista! E ancora grazie, mio indefinito, salvifico e per me sacro Pier Paolo Pasolini!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Garzanti, 1955

 

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