Intervista di Katia Debora Melis a Filomena Gagliardi: il fare poetico ed il libro “De viris illustribus”
Chi legge abitualmente Oubliette Magazine ha già avuto modo di conoscere Filomena Gagliardi almeno in due modi: attraverso i suoi numerosi articoli dedicati a vari autori e argomenti, e in relazione al suo ultimo libro De viris illustribus, magistralmente recensito.

Anch’io sono passata al vaglio della sua lettura e ho apprezzato, sempre più incuriosita, la sua scrittura, tanto che ho deciso di approfondirne la conoscenza proponendole un’intervista.
Filomena Gagliardi, nata nel 1980, vive a Colli del Tronto (AP), laureata in Lettere classiche presso l’Università di Macerata, dottore di ricerca in Filologia classica con diverse pubblicazioni scientifiche alle spalle. Si dedica allo studio, approfondendo temi legati all’estetica di Aristotele, e all’insegnamento di materie letterarie negli istituti secondari; collabora con diverse riviste culturali, sia cartacee che telematiche, e con associazioni. Molto attiva sui social (facebook, instagram, twitter), cura un blog personale (filomenagagliardi.blogspot).
Ha già pubblicato alcuni libri: Tempo e amore-in una stagione di prosa (Albatros Il Filo, Collana Nuove voci, 2008); Un anno nuovo, poesie (Aletti, 2009); De viris illustribus (Nulla Die, Collana Parva res, 2020).
Iniziamo!
K.D.M.: Hai un bel percorso di studi e di ricerca interamente orientato al mondo classico e attorno a queste tematiche ruotano anche molti dei tuoi vari interessi e delle tue attività. Ci sono mai stati dei momenti in cui sei stata in dubbio o hai vissuto dei conflitti, interiori o in ambito familiare, quando hai intrapreso questa strada? Mi spiego meglio: hai avuto stimoli positivi ed esempi in tal senso, vicino a te, che ti hanno incoraggiata oppure hai fatto una scelta un po’ controcorrente?
Filomena Gagliardi: Nel mio percorso di studio e ricerca ho avuto sempre come stella polare il principio che la formazione classica fosse la migliore che si potesse ricevere. Detto questo, posso dire che nel complesso tutti hanno sempre appoggiato le mie scelte. Certo in alcuni momenti particolarmente impegnativi, spesso io stessa ho dubitato di me e penso anche gli altri per riflesso: ma è normale credo. In generale penso che non avrei potuto intraprendere un’altra strada. E oggi sono in grado di dirlo con fermezza e con distacco, soddisfatta di ciò che ho ottenuto, senza rabbia per ciò che ho lasciato andare, con la consapevolezza che ho ancora tanto da imparare: frequentare i classici mantiene sempre desiderosi di migliorarsi.
K.D.M.: Ti è mai capitato di vivere un senso di straniamento e di scollamento tra la lectio degli Antichi e il tuo quotidiano oppure conciliarli è stato naturale?
Filomena Gagliardi: Posso dire che mi è capitato di vivere entrambe le esperienze. Su certe cose, infatti, sono molto legata all’antico, nel metodo che esso secondo me richiede. Studiare i classici, infatti, impone la messa in campo di una serie di qualità, quali rigore, razionalità, memoria, applicazione, oggi sconosciute. Io stessa ogni volta che faccio qualcosa di importante cerco di impormi un metodo, un ordine, una sequenza da rispettare. Da questo punto di vista gli studi classici mi aiutano. Al tempo stesso, però, mi rendo conto che spesso nella vita di tutti i giorni un eccessivo meccanicismo possa bloccare e rivelarsi inattuale, anche perché oggi viviamo in un contesto completamente diverso rispetto a quello degli antichi. In situazioni come queste, tuttavia, sono sempre loro a venirci in soccorso, in grado come sono tanto di conferire autorevolezza, quanto di insegnare l’arte della flessibilità, senza per questo essere relativisti. Su questo specifico argomento mi viene in mente un esempio tratto dall’Etica Nicomachea in cui Aristotele, spiegando il metodo adatto alla trattazione di temi etici, afferma che esso deve essere flessibile in quanto l’etica concerne il mutevole a differenza della metafisica che, studiando invece gli immutabili, necessita di un metodo rigoroso.
K.D.M.: “Essere luminosi ci rende divini” scrivevi. Cosa significa per te essere luminosi ed essere divini? Ci puoi spiegare?
Filomena Gagliardi: Per me, per una questione etimologica (e quindi di verità), la nozione del divino si ricollega a quella della luce: divinus e deus in latino sono connessi con dies, giorno; in greco, se si osserva la declinazione del nome Zeus, si noterànno διός, διί, δία (rispettivamente genitivo, dativo, accusativo singolari): troppo evidente il richiamo alla declinazione del latino dies. Infatti Zeus, nel pantheon degli dei indoeuropei, è la divinità del cielo luminoso: e in quale momento il cielo è luminoso per antonomasia se non di giorno? Il divino, quindi, è tra noi, nella normalità del nostro quotidiano, nella luce che ci sostiene ogni volta che decide di palesarsi sulla Terra: luminosa e divina è la vita.
K.D.M.: Cultura ha le sue radici nel còlere latino, coltivare. Da docente e, nel contempo, da lungodiscente quale sei, che consigli daresti ai giovani per coltivare al meglio le proprie potenzialità così da poter trarre il massimo dalla propria vita culturale?

Filomena Gagliardi: Consiglierei loro di amare in modo sano quello che fanno. Còlere, infatti, è un verbo del linguaggio religioso oltreché agricolo ed esprime la dedizione verso qualcosa o qualcuno. La dedizione si concede solo a ciò che si ama e che si ritiene fondamentale: dedizione nella sua forma più alta è quelle per gli esseri più alti, come gli dèi. Ognuno deve trovare il proprio divino da coltivare, sempre in libertà altrimenti non sarebbe amore ma dipendenza. Questo vale sempre!
K.D.M.: Il tuo è un continuo confronto col passato in riferimento al presente. Qual è il tuo rapporto col tempo e col ‘concetto di tempo’?
Filomena Gagliardi: Il tempo per me è lo scorrere della memoria che trova oggi una profonda analogia con il passato. Concepisco il tempo come una relazione, un rapporto; è nel tempo che mi ri-conosco come sempre identica e diversa. Questa concezione costringe ad un dialogo serrato con il passato, un continuo tornare indietro per trovarvi un precorrimento del presente. Ciò può conferire tanto gioia quanto dolore. Tuttavia è il tempo stesso che, scorrendo, spesso si sottrae autonomamente a noi, quando non riusciamo e non vogliamo catturarlo tutto. E tuttavia, proustianamente, anche l’oblio conserva la memoria e quindi le varie epoche.
K.D.M.: La poesia è una delle tue passioni e ne hai dato prova coi riconoscimenti letterari ottenuti e con le tue pubblicazioni. La poesia, come dice la stessa sua origine etimologica da poiéin, fare, ci rende protagonisti nell’atto creativo così proprio e peculiare. Basta questo a farci diventare ‘nani sulle spalle dei giganti’ tali da poter vedere/andare più lontano, oltre?
Filomena Gagliardi: Ti ringrazio per l’etimologia. Ovviamente non basta creare per vedere oltre. La stessa attività creativa non è qualcosa che nasce dal nulla, bensì una produzione che nasce dalla materia. Per fare poesia non bastano un’idea, una stesura immediata, un’immersione una tantum. La poesia, come la scrittura in genere, è dedizione e quindi esercizio. Solo l’esercizio aiuta a vedere sempre oltre. Bisogna imparare a riconoscere che scrivere è un lavoro, altrimenti essa resterà sempre un’attività dilettantistica.
K.D.M.: Tu operi sia in un ambito di ricerca istituzionalizzata che nella diuturna libera ricerca. Quali sono le più grandi differenze da un punto di vista della pratica e delle risultanze. Quali i pregi e i difetti che hanno le due modalità?
Filomena Gagliardi: Posto che in entrambi gli ambiti il presupposto comune è sempre la passione, la differenza forse sta negli obiettivi. Ad esempio, durante la tesi o il dottorato spesso ho dovuto selezionare il materiale infinito trovato, seppur a malincuore; la stessa cosa quando, collaborando con l’Università di Macerata come docente a contratto, dovevo preparare le lezioni; idem quando ho collaborato con le associazioni. Oppure quando mi documento per un articolo. Ma anche nel quotidiano impegno scolastico, quando preparo le lezioni per gli studenti: vorrei dir loro tante cose, dar loro svariati contributi, schede, interpretazioni e a volte lo faccio, ma il più delle volte devo sintetizzare perché i programmi scolastici sono sempre molto corposi e il tempo sempre limitato. Ogni volta soffro. Quando invece ho il lusso e il tempo (purtroppo sempre meno, ahimè) di poter studiare per il puro piacere di farlo, ovvio non mi pongo il problema del tempo o della selezione; a mio avviso prima di ogni ricerca “istituzionale” ognuno dovrebbe fare ricerca per sé, perché poi si parte avvantaggiati.
K.D.M.: Nel tuo nuovo libro De Viris Illustribus (Nulla Die. Collana Parva res, 2020, 47 pp.) trovano spazio i luoghi e le persone, in particolare uomini famosi del passato, politici, filosofi, scrittori, duci, poeti, personaggi del mito. Sono stati scelti tra i più illustri, ovvero portatori di lux e, di conseguenza, capaci d’irradiarla dintorno. E le donne? Hanno spazio in questo libro?

Filomena Gagliardi: Non ho parlato di donne, non per tagliarle fuori, ma perché volutamente ho scelto di concentrarmi sugli uomini. Unica eccezione è Saffo a cui dedico una lirica. Poi mi rivolgo ad alcune personificazioni femminili. In effetti, dopo questa pubblicazione, intendo scrivere poesie dedicate alle donne famose dell’antichità. Ci sto già pensando in realtà…
K.D.M.: Se pensi alla tua scrittura prossima ventura, come la vorresti? Riesci a immaginarla lontana dal mondo classico?
FG: A parte le poesie per le donne antiche di cui ho detto poco sopra, mi piacerebbe dedicare una raccolta ai luoghi abbandonati: amo i piccoli borghi, soprattutto quelli che insistono sulle colline marchigiane o sui Monti Sibillini. Molti di questi stanno già soffrendo dopo il terremoto del 2016 e la pandemia ne ha rallentato la ricostruzione. Il paradosso è che proprio la pandemia ci ha insegnato che dovremmo riscoprire i paesi abbandonati, dove è possibile garantire il distanziamento. Benissimo: ma se in questi luoghi magici non ci sono più le case, come è possibile accogliere i turisti? La verità è che questo posto e le persone che li abitano sono stati lasciati soli. Vorrei mettere ordine alle poesie che ho scritto sulla mia terra e scriverne ancora, poi pubblicarle, vorrei dar voce a quei paesini così fragili e così forti al contempo. Inoltre vorrei dedicarmi di più anche alla prosa, nella forma narrativa e in quella in saggistica.
K.D.M.: Lasciaci con un piccolo regalo tratto dai tuoi libri, prima di salutare insieme i nostri lettori, che ci hanno accompagnate in questa bella conversazione.
Filomena Gagliardi: Sceglierò quattro liriche:
Socrate (tratta dalla mia ultima raccolta De viris illustribus, Nulla Die, dicembre 2020)
“Socrate/ Scardini tutto/ e ossequi le Leggi./ Non conosci Verità/ ma aiuti/ a partorirla/ Sei adulatore/ ma dissacri ogni ingenuità./ Tutto su di te/ è una fiction/ Niente/ che parla di te/ è uscito dalla tua bocca./ Sei ancora/ il Paradosso/ lo scandalo/ della Filosofia.”
Uomini illustri (tratta dalla mia ultima raccolta De viris illustribus, Nulla Die, dicembre 2020)
“Talora nascono anche oggi/ uomini illustri./ Sono persone semplici/ che incontriamo per caso/ magari in biblioteca./ E ci entrano/ nella Vita./ Ci restano accanto/ quando siamo peggiori/ credono in noi/ quando noi smettiamo di farlo./ Ci hanno colpito/ fin dall’inizio/ con il calore delle loro mani./ Per chi è ferito da sempre/ queste persone/ Sono uomini illustri:/ danno Luce!/ In modo discreto/ Brillano ovunque.”
Rinuncia (dall’antologia” L’Italia dei Paesi: le radici tra abbandoni e ritorni”, in seguito alla mia partecipazione al Concorso Nazionale di Poesia “Per non dimenticare” -IX edizione- organizzato dal Comune di Coreno Ausonio nel 2018
“Incredibili sentieri/ dove nascono ginestre…/ e il giallo illumina/ l’amara solitudine.// Rintocchi di campana/ nel mezzogiorno silenzioso/ delle lucertole.// In alto/ sempre più in alto/ la meta/ la vetta/ la conquista del cielo.// Ma non resiste/ l’uomo/ nell’orizzonte/ del vivere quotidiano./ Fugge/ allora/ alla ricerca dell’Altrove,/ miseramente ignaro/ della Fortuna ereditata/ alla nascita.
Aveva il mare dentro (inedita)
“Aveva il mare dentro/ l’eroe greco/ che piangeva/ cercando/ nel fondo cangiante/ infinito/ la Madre,/ la Nereide Teti.// Aveva il mare dentro/ Odisseo,/ che del mare/ fece la sua meta/ il suo destino/ il suo dolore,/ Odisseo che veniva da Itaca.// Aveva il mare dentro/ Afrodite/ nata dalla spuma marina,/ foriera di Amore, Vita, Bellezza.// Aveva il mare dentro/ Didone/ il mare tempestoso/ chiamato Mal d’Amore./ E amando/ annegò in quel pèlago fatale.”
K.D.M.: Grazie Filomena per la tua disponibilità e per averci aiutati a conoscere meglio te e la tua bella e piacevole scrittura. A presto!
Written by Katia Debora Melis