Intervista a Maria Giménez Cavallo: vi presentiamo il film “Anime galleggianti”

Abbiamo il piacere di intervistare la regista Maria Giménez Cavallo, che si è distinta in occasione del Premio Corso Salani all’interno del 36ª edizione del Trieste Film Festival, diretto egregiamente da Nicoletta Romeo.

Anime galleggianti Maria Giménez Cavallo
Anime galleggianti Maria Giménez Cavallo

La regista Maria Giménez Cavallo ha presentato il film “Anime galleggianti” in cui esprime il continuo mutamento del sé nel concetto di natura e vita in uno scenario naturale quale la terra di Sardegna, che con la sua bellezza incontaminata riporta in una realtà di narrazioni mitologiche facendole apparire reali, in una verità così ancestrale e al contempo attuale ispirata alla metamorfosi di Ovidio.

Maria Giménez Cavallo è nata a New York nel 1992 da madre italo-americana e padre spagnolo. Si è laureata alla Columbia University in Studi cinematografici, Studi culturali italiani e Studi culturali francesi; ha successivamente studiato in Francia ed in Italia.

“Anime galleggianti” è stato premiato da noi di Oubliette Magazine come miglior film del Premio Corso Salani.

 

S.T.: Premio Corso Salani, Trieste Film Festival: cosa hai provato quando ti hanno comunicato di far parte della rosa dei cinque finalisti? E cosa porterai con te di questa esperienza?

Maria Giménez Cavallo: Ne ero felicissima, in primis perché ho sentito l’entusiasmo sincero da parte della direttrice artistica Nicoletta Romeo che mi aveva scritto: “Che folgorazione… quanta libertà, un film fuori dagli schemi come non se ne vedevano da un po’”.  Ero stata al Festival di Trieste due anni prima per il co-production forum di When East Meets West, che mi aveva permesso di presentare una scena del film per la prima volta. Perciò è stato ancora più speciale essere invitata al festival col film finito.

È stata anche l’occasione di conoscere il cinema di Corso Salani, e di apprezzare l’indipendenza e, appunto, la libertà con cui girava. Mi ritrovo molto nell’idea di un cinema fra documentario e finzione, fra realtà e poesia. Direi che Anime galleggianti è assolutamente in linea con quell’idea produttiva. L’ho prodotto principalmente con la mia società, Anima Films, che ho fondato nel 2021 con mia madre per poter creare in modo libero. Come Salani, ho preferito la libertà produttiva di seguire un’energia vitale, senza aspettare di fare bandi e concorsi. Poi, il riconoscimento mi ha emozionata anche perché gli ultimi vincitori, Giovanni Cioni e Ludovica Fales, sono cineasti amici con cui ho partecipato al laboratorio L’Orto del mondo.

Un festival come il Trieste dà speranza ai film che sono piccoli nel budget ma grandi nel cuore, come il nostro. In un’epoca in cui l’uscita in sala diventa sempre più difficile, la possibilità di presentare a un pubblico è un vero regalo. Per me, il momento più bello del festival è stato l’incontro col pubblico, il poter fare un dibattito di mezz’ora dopo la proiezione e vedere la fila di persone entusiaste che volevano parlarmi del film. Dà speranza per il cinema vedere la partecipazione interessata degli spettatori, che reagiscono al film, che ci riflettono, che si fanno domande, e così la proiezione diventa una partecipazione attiva.

 

S.T.: “Anime galleggianti”: quando, come e perché hai scelto il titolo?

Maria Giménez Cavallo: Devo dire che Michelangelo Frammartino mi ha ispirato enormemente nella concezione di questo film. Avevo scritto la mia tesi universitaria su Le quattro volte, analizzando in particolare la trasposizione visiva della teoria della metempsicosi del filosofo greco Pitagora. Nel 2014 ho avuto la fortuna di confrontarmi con Michelangelo su quello che avevo scritto e mi ha detto una frase che mi è rimasta impressa: “I pitagorici vedevano nella polvere le anime galleggianti.” Da questo concetto sono nate le prime impressioni per questo film, che mette in scena le trasformazioni fra le specie senza confini.

Infatti, ho messo in scena il personaggio di Pitagora, che segue il film come un filo rosso. Nelle Metamorfosi, Ovidio usa la figura del filosofo Pitagora per avanzare un discorso trascendentale in cui parla delle anime che passano da un corpo all’altro. Questa mutevolezza prende una caratteristica quasi spirituale, dimostrando che tutto l’universo è connesso. Ho tentato di trasmettere quest’idea attraverso il cinema, per far diventare visibile l’invisibile.

Da piccola mi sedevo spesso ai piedi del sofà di mia nonna in salotto a guardare la fascia di luce che entrava nella stanza. La luce illuminava delle particelle che sembravano ballare. Questo percepire l’invisibile mi ha sempre affascinata, mi sembrava una specie di magia. Questo fenomeno si potrebbe paragonare anche alla sala cinema, con tutto un mondo dentro una fascia di luce. Ho anche voluto suggerire visivamente la presenza delle anime in tre momenti del film (all’inizio, a metà e alla fine) seguendo le particelle che galleggiano nell’aria e dal fuoco, come per dare corpo alle anime.

 

S.T.: “Prima del mare, della terra e del cielo, unico era il volto della natura dell’universo.” Con queste parole, riprese da Ovidio, introduci la sequenza del tuo film: qual è il tuo concetto di natura?

Maria Giménez Cavallo: Ho voluto prendere proprio queste parole dai primi versi perché esprimono bene l’idea che percorre tutto il poema ovidiano: cioè, l’idea che tutto sia connesso, che tutto sia mutabile, che tutto sia Natura. E come le Metamorfosi, anche il film comincia con un “mito della creazione” in cui le immagini dei diversi elementi (acqua, fuoco, terra, aria) si uniscono per formare l’ambiente in cui si svolgerà la storia, una Sardegna senza tempo. Capiamo il flusso della Natura, che gli elementi si trasformano l’uno nell’altro, che le piante e gli animali hanno uno spirito increato. In questi mutamenti, i miti esprimono una visione non antropocentrica in cui l’umano non è al centro dell’universo, ma ne fa parte come gli altri esseri viventi e non viventi. Per me, il film è sia un’esplorazione di una cultura locale sia un esperimento su come esprimere la presenza della Natura attraverso il metodo cinematografico. Così, quando si vede un toro, si vede il personaggio di Giove, e quando si vede l’albero di sughero, si vede il personaggio di Dafne. I personaggi non sono solo umani, ma anche animali e vegetali, e anche il paesaggio della Sardegna diventa un personaggio a sé. Infatti, la Natura è tutto. Forse io ho una visione più spirituale della Natura, animistica e pagana.

 

S.T.: La Sardegna e le “Metamorfosi” di Ovidio. Cosa ti ha motivato a scegliere la Sardegna per le tue riprese?

Maria Giménez Cavallo: L’idea concreta per questo film è venuta dall’incontro fra il reale e il magico durante un viaggio in provincia di Nuoro per le riprese del documentario Futura (2021) di Pietro Marcello, Alice Rohrwacher e Francesco Munzi. Quando i ragazzi locali, in altri aspetti moderni come tutti gli altri, ci hanno dimostrato la loro passione per il cantu a tenore, ho sentito subito qualcosa di mistico, come un richiamo a un’epoca antica. Le voci si mescolavano con il belare delle pecore, uomo e animale si univano e si confondevano fra le montagne isolate.

Approfondendo le mie ricerche sulla cultura sarda, ho scoperto i vari gruppi di maschere zoomorfe e me ne sono appassionata. La maschera di Sa Filonzana di Ottana, una maschera nera con un fuso di lana e delle forbici, mi aveva sconvolta per la sua somiglianza alla Parca greca che taglia il filo della vita. Quando l’ho detto al gruppo, però, mi hanno risposto che questa figura era loro e che forse i Greci l’avevano copiata. In quel momento ho capito che c’era un film da fare, che c’erano dei legami da tessere fra queste culture così profondamente unite nella cultura del Mediterraneo. Ho letto anche i libri dell’antropologa Dolores Turchi, che descrive i vari gruppi nell’entroterra della Sardegna, ogni paese con la sua maschera specifica, e poi sono andata a incontrarli. Questi uomini si trasformano per il rito del carnevale, che ha ancora una forte sacralità per loro, e si vestono da capra con corna e pelo. In questo modo, non sembrano più né uomini né animali, ma quasi divinità, oltrepassando fisicamente e visivamente i confini del naturale.

Poi, la natura sarda è meravigliosa: su un’isola c’è tutto – montagna, mare, laghi, deserto, campagna, ecc. Abbiamo girato il film nel corso di sei mesi, scoprendo luoghi uno più bello dell’altro, anche con i consigli della Fondazione Sardegna Film Commission. Per esempio, abbiamo scelto il Gruppo Folk Busachi Bella Mia per ballare al matrimonio di Orfeo ed Euridice, e poi abbiamo scoperto che nello stesso paese c’era un villaggio con chiesa campestre, il Novenario Santa Susanna, che era proprio quello che cercavamo. Oppure la Grotta di Su Marmuri di Ulassai, che è così grande all’interno da sembrare quasi una cattedrale, è stato un luogo ideale per gli Inferi. Ci sono stati tanti momenti di serendipità.

Non solo i paesaggi sono stati importanti, ma anche tutte le persone locali con le loro maestranze che hanno partecipato alla realizzazione del film. Cito qui solo pochi nomi: per esempio, il costumista Salvatore Aresu con gli abiti tradizionali rivisitati con fantasia, Gerardo Ferrara e il gruppo musicale Quartetto Andhira con i loro canti ancestrali, la famiglia Perra di Villa Sant’Antonio con le loro pecore pazienti, l’agricoltore Luigi Carta con il suo campo di sughere.

 

S.T.: Mitologia: passato e presente. Qual è il filo conduttore in questa narrazione tra la scelta che ti ha mosso verso questa avventura e quanto è importante per te la conoscenza della mitologia oggi?

Maria Giménez Cavallo: Quando ho riletto il poema ovidiano per scegliere gli episodi, mi sono resa conto che molti dei problemi discussi duemila anni fa sono ancora molto attuali oggi. Oltre a rappresentare personaggi che cambiano tra specie, generi e altre entità, l’opera tratta temi cruciali come l’ingiustizia, la lotta per il potere, la violenza contro le donne e la minaccia alla natura. Nel ventunesimo secolo, la base della specie umana non è cambiata così tanto, e questi miti sono, perciò, ancora urgenti. Bisogna continuare a rifletterci.

Inizialmente avevo immaginato il film senza la voce narrante. Dopo un primo montaggio, però, le persone a cui avevo chiesto consiglio non capivano tutto della trama perché non conoscevano le storie alla base. Per questo motivo ho aggiunto la narrazione che accompagna lo spettatore nella comprensione dell’azione. Fra le altre cose, il film è anche un invito a leggere le Metamorfosi e riscoprire la mitologia greco-romana.

Anche per questa ragione mi piacerebbe presentare il film nelle scuole e nelle università, proprio per rendere divertente e visivamente interessante lo studio di Ovidio. In queste settimane ho fatto delle proiezioni alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza e all’Accademia di Belle Arti di Verona. Nell’ambiente accademico, ho sentito entusiasmo fra gli studenti che conoscevano questi miti, e anche fra quelli che non li conoscevano, e abbiamo avuto modo di scambiare idee e riflettere insieme sul presente.

 

S.T.: Aracne e la sua trama. Vuoi aggiungere qualcosa nella scelta specifica dei personaggi che si palesano nel film? Un tuo preferito?

Maria Giménez Cavallo: Ovidio stesso ha ispirato lo stile narrativo, cioè il passare da una storia all’altra, a volte perdendoci in una trama all’interno di un’altra, per poi ritrovare i personaggi in un secondo momento. Questo metodo, strutturato come un flusso di coscienza, ha permesso una grande libertà sia espressiva che creativa. Abbiamo potuto filmare gli episodi indipendentemente l’uno dall’altro, facendo blocchi di riprese di 2-3 giorni durante alcuni mesi di lavoro, anche se sempre legati da un filo narrativo. Il film, quindi, è un esperimento ibrido nella forma del racconto, rivelando anche punti d’incontro fra il reale e la fantasia.

La scelta dei personaggi, invece, fra i tanti presenti nelle Metamorfosi di Ovidio, è stata difficile. Ho voluto comunque concentrarmi su quelli più noti, che lo spettatore potesse riconoscere. Poi la narrazione è cresciuta a poco a poco, e abbiamo tessuto una trama. Con mia madre, professoressa di italianistica alla Columbia University, abbiamo fatto delle sessioni di brainstorming, scrivendo nomi ed episodi su foglietti di carta che mescolavamo e poi riordinavamo per trovare un filo conduttore. Ho voluto includere casi memorabili di metamorfosi che facessero anche riflettere, come per esempio Aracne/ragno, Giove/toro, Dafne/albero.

Per definire l’episodio di Aracne, abbiamo cercato fra vari laboratori di tessitura, ogni villaggio con la sua particolarità. Alla fine, abbiamo trovato una tessitrice e insegnante appassionatissima, Bruna Cossu (Brujana) di Bosa, che ha prestato la sua arte per mettere in scena tutto il processo della tessitura, dalla filatura della lana, alle tinture naturali, all’uso del telaio. Per me, le persone locali dietro le quinte, che ci hanno trasmesso il loro sapere e condiviso con generosità la loro arte, sono altrettanto importanti quanto i personaggi del film.

 

S.T.: Cos’è per te “rinnovamento” e come lo vivi personalmente?

Maria Giménez Cavallon citazioni Anime galleggianti
Maria Giménez Cavallon citazioni Anime galleggianti

Maria Giménez Cavallo: In effetti, la Parca narratrice nel film parla della Natura, “Dea di ogni rinnovamento”. Come ci dice lei, e Ovidio da cui ho preso queste parole, tutto è in flusso continuo. Io vivo il rinnovamento con ogni progetto in cui mi lancio, corpo e anima. Personalmente, lo sperimento nella mia vita quotidiana perché sono un po’ vagabonda. Dopo la laurea alla Columbia University di New York, ho vissuto a Parigi per diversi anni, molti dei quali seguendo Abdellatif Kechiche per le riprese di Mektoub, My Love. Poi mi sono trasferita a Roma per lavorare con Pietro Marcello, e anche lì siamo stati sempre in giro per le riprese fra Futura, Le vele scarlatte e Duse. Ho vissuto un periodo in tenda e anche viaggiando con la mia macchina. Ora sto badando ai gatti per una mia amica a Roma, ma spero di partire per il Trentino e poi per l’Emilia-Romagna per i prossimi progetti.

Infine, penso che un’artista debba sempre rinnovarsi. François Truffaut diceva che un auteur fa sempre lo stesso film. Ma penso che debba sempre approfondire, per portare avanti ricerche sempre più complesse. Spero dunque di potermi rinnovare anche nei prossimi progetti!

 

S.T.: Puoi anticipare il tuo prossimo progetto o sogno nel cassetto?

Maria Giménez Cavallo: Ne ho tanti! Sento molto presente la tematica dell’umano-animale nel mio percorso di cineasta e vorrei esplorarla in modo più approfondito. Sono sempre stata affascinata dalla rappresentazione di un mondo non antropocentrico nel cinema, e da come quest’arte riesca a sciogliere la percezione dei confini tra umani, animali, piante ed elementi. Ho capito con il Balthazar di Bresson che la cinepresa può mostrare l’anima. Attraverso il primo piano di personaggi non umani possiamo immedesimarci con loro e sentire le loro potenziali emozioni.

Il mio prossimo film racconterà l’incontro folgorante tra una ragazza e un maialino: un amore materno che si evolve in un risveglio alla scoperta di un’animalità libera dagli schemi della società umana. Questo film si interroga su alcune questioni esistenziali: qual è il rapporto possibile fra umani e animali? Come si può esprimere una soggettività non umana? Quali sono i veri confini tra questi due mondi? Ho sviluppato il progetto grazie al Milano Film Network In Progress e lo vorrei girare nella Valsugana, in Trentino.

In determinati momenti, vorrei mettere la cinepresa all’altezza dello sguardo del maialino, per permettere allo spettatore di vivere un’esperienza sensoriale che si avvicini alla soggettività dell’animale. Vorrei anche far vedere il cambiamento di paradigma nello sguardo della ragazza, prima coinvolta in una visione antropocentrica e poi presa dalla scoperta della propria animalità. Si emancipa dai rigidi schematismi della società umana: è un ritorno alla Natura, una risposta all’appello della Terra.

Credo che il cinema possa cambiare il mondo, cominciando con la nostra percezione di esso. Credo in un cinema animista che possa spronare gli spettatori a non vedere più solo un corpo fisico, ma una presenza, un’anima, anche degli esseri non umani. Attraverso questo sguardo amorevole, spero di mostrare agli occhi dello spettatore non solo un animale, ma un’anima.

 

Written by Simona Trunzo

 

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Premiazione “Anime galleggianti”

 

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