“Il capro espiatorio” di August Strindberg: chi è la vittima sacrificale?
“Vede, avvocato, l’umanità è come una tela, filo dentro filo, e quando si tira un capo l’ordito si smaglia.” ‒ “Il capro espiatorio”

“Il capro espiatorio” di August Strindberg non trae in inganno il lettore, ma è diretto e lineare in contenuto, stile e qualità descrittiva, una linea editoriale che rispetta la stessa casa editrice Carbonio Editore in ogni dettaglio.
Quindi a opera finita, dopo che sono stati disposti tutti gli elementi fondamentali si può ripercorre a ritroso l’ordito nella sua interezza, tirando un semplice filo che ricreerà il disordine iniziale. Questa l’apparente vita del protagonista Libotz, che nel creare la sua trama e nell’assistere passivo al disfacimento imposto dalla vita stessa, sviscera gli animi umani di un gruppo di persone che strutturano una società, quasi una tribù, ben ordinata in regole da essi stessi ricreate da poter destrutturare a proprio piacimento.
Relazioni di coppia che sono tutt’altro che questo, se non un banale mezzo per uniformarsi alla società, coppie che sono al limite della sopportazione reciproca e preda di un continuo avvelenarsi e offendersi, coppie in cui vive “lo spettro del silenzio”.
Relazioni di benevolo affetto reciproco che celano indifferenza e anche fastidio della persona che si ha accanto, in un tacito accordo che non deve superare la linea della verità altrimenti cade il sipario e gli attori devono ammettere di essere protagonisti di storie differenti.
Ma perché il titolo “Il capro espiatorio”?
Anticamente, durante i riti gli ebrei chiedevano il perdono dei propri peccati donando un capro espiatorio, e nella vita, in senso figurato succede di attribuire la responsabilità di ogni malefatta a qualcuno che dovrà pagare gli errori di tutti; scaricare le colpe verso qualcun altro. Quest’espressione fa riferimento a un preciso sentimento di intolleranza, quasi assume forme di odio, che si convoglia su un’unica persona, innocente, tutti riescono ad additare la vittima prescelta e bersagliarla: deve pagare per gli errori degli altri, una vittima predestinata, che riesca così a risollevare gli animi di chi non vuole accettare la realtà dei fatti, commessi in prima persona o da terzi.
Una vittima sacrificale per salvare la comunità ristabilendo un equilibrio e una risanazione per tutti i conflitti, uno stato emotivo che si espande in modo virale e in modo malsano perché la vittima prescelta è sacrificata in base a caratteristiche fisiche, sociali o morali che lo differiscono di molto dalla maggioranza e ulteriore caratteristica l’indifferenza apparente e quasi distaccata del prescelto.
In questo modo il gruppo, la società, l’individuo non devono ammettere fallimenti e responsabilità di genere, una struttura che si identifica già nei sistemi familiari in cui il genitore è onnipotente e il figlio resterà sempre un suddito. Per quanto il figlio voglia distaccarsi e ricreare una propria identità personale, basata sulla correttezza e bene comune, sembra debba espiare gli errori della famiglia, un’eredità che per quanto si voglia allontanare e rifiutare chiede il conto, all’improvviso le colpe dei padri ricadono sui figli, per quanto sia stato alto l’impegno a ripulire gli errori subiti e di cui non si è voluto prendere esempio.
Il buon nome, la reputazione sono la base del quieto vivere in una comunità, ma per sopravvivere non bisogna diventare vittime del pregiudizio e delle maldicenze. Il pregiudizio è un’arma che definisce verità distorte da convinzioni personali senza un’approfondita e reale conoscenza dei fatti. La corruzione e la falsità si palesano dove e da chi meno si aspetta.

Chi è paladino della giustizia può essere l’opposto di ciò che rappresenta, così come il miglior amico cela il peggior nemico. Il protagonista, sviscerato in ogni suo pensiero dall’acuta penna di August Strindberg, denota una personalità incline a un forte senso di giustizia, incline al perdono capace di sorvolare ogni torto subito, sempre pronto a trovare una giustificazione per ogni scelta e azione mossa da motivazioni ciniche e cattive, cerca di mantenere un costante equilibrio evitando ogni indiscrezione nei dialoghi e nei fatti, “lasciare in pace per restare in pace”.
“Macbeth dice: La vita non è che un’ombra che cammina. Una favola narrata da un idiota, che pare sublime e non vuole dire niente.” ‒William Shakespeare
Written by Simona Trunzo