“Arte tra pittura e poesia” mostra di Simona Sentieri: presso L’Ottagono di Bibbiano

La mostra “Arte tra pittura e poesia” ha avuto sede presso L’Ottagono – galleria comunale di Arte contemporanea a Bibbiano. L’ultimo giorno, il 26 novembre 2023, ho avuto occasione di visitarla e di parlare, come già accadde altrove, con l’autrice.

Arte tra pittura e poesia - Simona Sentieri
Arte tra pittura e poesia – Simona Sentieri

Simona Sentieri è una donna lieve come una piuma e tetragona come una piramide, che ogni tanto si eleva in cielo e da lì inizia a brillare di luce propria e riflessa.

È una che dice del suo artistico operare: “La pittura è la finestra del mio guardare, la poesia è la mia terra che guardo da quella finestra…” – e anche: “… Le Arti sono solo luoghi, dove noi possiamo aprire delle finestre, luoghi senza porte dove possiamo entrare e uscire o fermarci senza permessi. Tutto il resto è il mondo”l’Arte, in primis, è un evento che scorre in uno spazio-tempo e che necessita di una continua scelta operativa da parte del suo autore, in quell’imprecisato attimo che conduce alla creazione.

Dopo di che interviene l’Altro, che ne rimane dapprima abbagliato e, come gli viene, poi reagisce.

Michelangelo, per giungere alla propria anima, le toglieva di dosso quel che non gli pareva essenziale. Leonardo cercava di snidare da un’immagine la storia del suo evolversi, e vi aggiungeva la sua umana esperienza, che mai gli dava tregua. Buonarroti era un uomo che cercava nel mondo l’assoluta divinità. Da Vinci indagava il mistero in una porzione circoscritta del cosmo. Il primo era un mistico, il secondo uno scienziato. Ed è tra queste due estremità che avviene il gioco dell’Arte.

Ogni opera di Simona Sentieri è in bilico fra la corposità della materia e la magia dell’ineffabile. Dopo aver osservato a lungo le varie opere e dopo la conversazione che ebbi con Simona, ho continuato a lasciarle libere di evolversi in me. Ed esse continuano ancora a fronteggiare alcuni angoli della mia anima.

Terrore silenzioso (2020): una paura coglie l’uomo libero, ed è che qualcosa s’imbuchi pericolosamente nel suo imo, non all’improvviso, ché se ne accorgerebbe, ma a poco a poco, silenziosamente, inesorabile come una condanna, creando un collegamento esiziale con la sua volontà, giungendo fino al naso, dopo di cui poi l’infettato sarà costretto a respirare nel modo che gli è stato imposto. E la vittima sarà il nuovo agente infestante, che trasmetterà l’Oscuro Male ai suoi cari.

Appartenenza (2019): si vive in un Kósmos non infinito ma illimitato, che s’espande a ogni istante. Due sono le direttive rivolte a noi minuscoli enti connaturati: la fuga dal se stesso originario, l’entropia, e l’eterno ritorno verso quel ch’era a noi intimo un tempo, la Singolarità verso cui tutto pare condannato a gravitare. Noi non apparteniamo ad alcuno dei due incubi, ma a entrambi. Ci è concesso fuggire e ci è permesso l’eterno ritorno, secondo il nostro, pur risicato, libero arbitrio. Questa è l’esistenza, la cui unica speranza è covata nella mente di quei due mostri, che tali, si spera siano in apparenza, ma che, alla fine, collaborino, in ambito locale, per reggere il nostro pur caduco e trasmettibile bene. Non accade forse lo stesso con Yin e Yang, ingiustamente diffamati in quanto presunti portatori del male e del bene? E con Śiva e Visnù? E col Grande Fattore e il suo Maldestro Consanguineo? Che Dia-Mine!

Maga Circe (2023): quell’occhio tranquillo nulla ci dice se non che ci appartiene, e che noi siamo tenuti a seguirne il destino. Ma un’ora fatale scoccherà, dopo di cui cercheremo riparo da tanta, sovrumana, bellezza.

Black flower (2023): quella stella nera ci sta attendendo, ma cosa ci separa da essa, istanti o eoni? Ma pur sempre ci aspetterà. Al momento abbiamo da fare, da vivere nel nostro, intimo Kàos.

Ego-reflecto (2023): il mondo è bello perché varia di continuo sia i suoi interpreti che il palcoscenico dov’essi riflettono la commedia a loro concessa. Qualunque sia l’attore l’a cui doniamo la nostra battuta, esso prima o poi sparirà, e di lui serberemo in eterno l’imago. Come garantiva John Keats, a thing of beauty is a joy for ever! E noi partecipiano a essa.

Auto-ritratto (2023): quante ne passa, quante ne affronta, di cose e di fatti, una persona che nulla va cercando se non se stessa. E che non può che giungere a individuare il suo quid all’esterno, perché la sua vista è lì rivolta, e non più soltanto alla sua misteriosa Profondità. Il pericolo che si corre lo si verrà a sapere solo allorché i graffi ricevuti rimarranno prodigiosamente indelebili.

Penelope (2023): per definizione, è colei che attende. Chi? Nella migliore delle ipotesi è se stessa. Nella peggiore è chi, appena la rivedrà, ben presto le dirà: Ciao, cara, a presto! Senz’atro tornerò a trovarti, quando la Sorte me lo concederà!

Lady Woolf e la scrittura (2022): tale simbologia è il medium che conduce all’interno di se stessa. Lei alberga dentro di noi, e quando la rigettiamo cessa di farci del male: toccherà poi all’Altro   assaggiarne la salubre tossicità. La prima tappa ha inizio in un luogo imprecisato, battuto quotidianamente dai nostri passi: è la nostra immagine interna. Le sue forme strane, i suoi fonemi ricchi di spirito, finiranno per depauperarci. Ma un bel dì torneranno, con forme appartenenti ad altre anime ma assai simili alla nostra, e sprigionanti una novella energia!

Illmatar legend (2022): è l’ombrosa e splendente figlia del vento, coi suoi occhi verdi e acerbi, e quelle vermiglie e polpose labbra, e Lei ci trasporta lassù, fra le aranciate nubi, e laggiù, nel fuoco ardente… Ma perché Lei intende farci scordare il luogo della nostra casa natìa? Perché essa, ci sussurra, è Dappertutto. Dove, esattamente?, le chiediamo. E lei ci ripete: Dappertutto, anche mille miglia distante da me. Tanto io sarò sempre Colà, ad aspettarvifinché rimarrà quella macchia rosso sangue, io là sarò, a condividere il vostro tanto atteso destino.

Calipso (2023): occorre fare una sosta, anche lunga, al fine di riassorbire l’energia necessaria per poter finalmente ripartire. Sarà doloroso, per me, riprendere la marcia, perché, quella purpurea macchia, non potrò più fare a meno di continuare a sognarla.

Dipingo fiori per non farli morire (2023): la frase è di Frida Kahlo, la quale, si dice, mai del tutto si sopì in ogni prezioso attimo della sua per sempre giovane vita. Sì, questa è un’esagerazione, ma così era lei: ex-agerata, per sempre evasa dall’argine. Ed è come il fiume degli Egizi, che con le sue inondazioni rende fertili le zone più brulle. I fiori più odorosi son quelli che crediamo eterni: sempre a star a sentire quel monito dell’eterno giovane John Keats.

Amo-rose (2022): Vincent Van Gogh amava I girasoli, Simona le rose, io i ciclamini, qualcun altro le violette. Cos’hanno i fiori di tanto speciale? Semplicemente fioriscono, e poi appassiscono, muoiono, e dai loro semi ogni volta rinascono. Che altro vuoi dalla vita, se non un vago e temporaneo decesso?

Lettera senza risposta (2023): la puoi anche tempestar d’oro, oppure riempir di cartaccia, quel che conta di una lettera è contenuto nell’anima di chi l’ha scritta e che è poi trasvolato in chi l’ha ricevuta. Quel che vale è quel magico volo, quel passaggio, non tanto l’oggetto trasmigrato.

Rifl-essi (2015): cogli da terra gli oggetti più abietti, sviliscili finché ti è possibile, tagliali, smembrali, e poi ricuciscili gli uni insieme agli altri, eternandoli. Essi formeranno una nuova entità. Essi sono come le nostre esperienze, spezzate e ricomposte: ogni volta ricreate. Dentro di loro sono riflessi i nostri incerti passati e, anche se non puoi ancora scorgerli, tutti i possibili futuri.

Delia (2021): di quell’astro che ha una forma così mutevole e misteriosa, che ogni sera appare e all’alba declina, che si può dire se non che mantiene, nel suo errare, la propria ragione d’essere, l’essenziale sua funzione? Tu lasciati smuovere, lasciati attrarre, precipita dentro la sua sembianza, ché essa ti recherà ovunque, e sarà ogn’ora con te, verso un eventuale e forse certo ritorno, in un periodo da lei ben definito, che però s’ignora, ma ben poco importa. Necessario è soltanto che tu mantenga la sua indeterminata traiettoria.

Neve (2019): un cristallo di neve non smarrisce la sua inclìta bellezza, allorché si trasforma, con tutte le sue lanugini, in un corpo mal vissuto, sofferto, deteriorato dai propri guai. Quel che serve è il movimento che conduce all’eternità, e non l’eternità che si conchiude in se stessa. In ogni fine è covato un nuovo inizio, con la conseguente rinascita.

Ecate (2021): se credi che il tuo cammino sia finito, non disperare, ché è solo un’illusione. Il tuo sarà un perenne scorrere intorno alla tua angoscia e, quando sarai stufo di lei, potrai anche abbandonarla. E lei rimarrà là, ad aspettarti, paziente, come un’anima in pena per il suo amato figliolo, che un fatidico giorno partì verso una nuova esistenza. Non ti dimenticare mai di lei, ché là è rimasta, in sempiterna attesa di te.

Non ha alcun senso chiedersi se Simona Sentieri sia un’artista figurativa oppure astratta, avendone entrambe le caratteristiche. Quel che stupisce in lei, che emerge semplicemente parlandole, è l’energia che mette a disposizione del prossimo con cui sta interagendo. La sua è una comunicazione che coinvolge e che conduce alla correlazione, all’entanglement quantistico che si crea con l’Altro. Non v’è in lei, in quel frangente, alcuna tendenza all’isolamento, anche se fu nella solitudine che lei decise cosa utilizzare, cosa riciclare, cosa frapporre, cosa far comunicare con che. La sua opera d’Arte è il cammino che lei ha percorso per giungere a te, e che tu dovrai, borgesianamente, completare. Un groviglio di Sentieri che si biforcano all’infinito.

Che siano pezzi di latte d’olio per veicoli a motori, colori estratti da ossidi di ferro, oppure residui di chissà quale materiale, il momentaneo fine è di ottenere l’amalgama che consenta di trasferire un pezzo della sua anima in quella del suo prossimo futuro.

Arte tra pittura e poesia mostra di Simona Sentieri
Arte tra pittura e poesia mostra di Simona Sentieri

La sua azione è paragonabile a quella di Jackson Pollock che nel suo gesto non perseguiva un’immota Unicità, ma un’energetica Generalità da condividere con gli altri.

Se non v’è una trasmissione di spirito, l’Arte è morta ancor prima di nascere.

La Poesia di Simona Sentieri, per questo e per tant’altro d’ineffabile, è sempre feconda di vita, la Sua che s’innesta con la Nostra, mediando gli opposti, per farli poi confluire in una mistica spirale, che poi iniziano a vorticare nell’alveo della sua opera, e che infine saranno ri-utilizzabili, rinnovati ingredienti di una caritatevole ed esistenziale pietanza.

E questo varrà per tutti Coloro che, accettando di confrontarsi con la sua Arte, finiranno per condividere con lei una parte di sé. Non sarà facile, ve l’assicuro, ma vi garantisco che quell’Incontro sarà, ogni volta, altamente probabile e umanamente certo.

 

Written by Stefano Pioli

 

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