Vasto: la visita a Palazzo d’Avalos tra fede e cultura
Erano almeno tredici anni che mio marito desiderava visitare Palazzo d’Avalos a Vasto, coi suoi splendidi giardini: testimonianza d’uno sfarzo colossale.
Essi si dipanano tra corridoi intersecati, perimetrati da pergolati multicolori, affacciandosi sulla vista mozzafiato del Golfo di Vasto: ti immagini quali potessero essere le giornate di cotanti signorotti in una simile ‘location’? Magari avevano i loro tormenti come tutti, disgustati da tanto lusso cui dovevano essersi tediosamente avvezzati.
L’interno del Palazzo-Museo ospita la mostra permanente del talentuoso Nicola Palizzi (e parentado), di scuola napoletana: e difatti ci ho ritrovato numerose riproduzioni di paesaggi campani; il piano superiore è occupato dalla galleria d’arte contemporanea.
Ciò che più ha solleticato la mia fantasia è la sezione di “Storia del costume”: dalle chemisier dai ricami certosini alle divise militari, dagli abiti da passeggio delle nobildonne alle tenute vedovili, eleganti nel loro colore corvino brillante.
Ed ecco che l’occhio mi si posa sull’ampiezza delle gonne georgiche con camicina candida e corpetto annesso delle contadine, sorvegliate dirimpetto dai pantaloni alla zuava e dal giacchetto in stoffa grossolana del contadinotto compagno.
Insomma: niente ‘griffe’ ma sperequazioni tessutali e di fattura, a sottolineatura del fatto che non siamo tutti uguali.
Nell’ultima sala del comparto troneggia un baldacchino dal colore funereo, ai lati del quale quattro anelli entro cui infilare aste per il trasporto a braccia: il mio pensiero si è avventurato, quasi meccanicamente, nei meandri della stupidità dell’essere umano, tra le anse della rotta difficoltosa a conquista della consapevolezza che “nasciamo liberi e uguali” (ma sarà poi vero?).
Il pomeriggio culturale è proseguito con una fugace visita alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, ospitante entro un’urna metallica intarsiata la reliquia della Sacra Spina, proveniente secondo la tradizione dalla corona della Passione di Cristo.
Recuperata da San Luigi e poi donata alla Cattedrale di Notre-Dame de Paris, una delle sue spine fu ceduta alla Chiesa passando per Ferrante Francesco II d’Avalos (anche la religione transitò per le sante mani aristocratiche dei nobil signori!) con bolla pontificia.
La narrazione vuole che la giara contenente la Spina rimase miracolosamente indenne da un incendio divampato nella notte, a mezzo del salvataggio di uno schiavo turco che ne ottenne la propria libertà.
È tuttora visibile entro la cappella secentesca fatta erigere dal marchese Diego d’Avalos, rinchiusa nell’ostensorio, in un obelisco di cristallo sorretto da due angeli.
La festa della Sacra Spina si celebra il venerdì antecedente la Settimana Santa, giorno in cui la reliquia viene portata in solenne processione per le vie della città.
E questa è solo un’esigua porzione della seduzione che una città signorile come l’antica Histonium può esercitare sul viaggiatore: si potrebbe parlare del Castello Caldoresco con la sua imponenza, della stessa mirabile piazza Rossetti, col suo gioco catottrico prodotto dai lampioni che ti trasportano in un passato fascinoso, della panoramica loggia Amblingh, della Natura selvaggia della riserva naturale di Punta Aderci… o, più prosaicamente, dei mille localini che accompagnano il turista coi loro profumi di arrosticini e brodetto e con la musica soffusa, del respiro della cultura che anima ogni sera gli angoli della città con letture, declamazioni, piccole rappresentazioni teatrali.
Insomma: una città affamata d’arte, e che ne stimola l’appetito anche a chi vi capiti in grazia della sorte.
Vasto è sempre un’ottima scelta, io vi consiglio di farci tappa.
Written by Barbara Orlacchio
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